La fattispecie ricade pienamente nella previsione dell’art. 78, comma 2, del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che dispone per i pubblici amministratori il dovere di astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado.
L’obbligo di astensione preso in considerazione dal legislatore, finalizzato a salvaguardare il buon andamento e l’imparzialità dell’attività dell’ente locale, ricorre ogni qualvolta vi sia una correlazione immediata e diretta tra la situazione personale del titolare della carica pubblica e l’oggetto specifico della deliberazione (intesa come attività volitiva a rilevanza esterna).
Il Consiglio di Stato ha rappresentato come la regola dell’astensione dell’amministratore deve trovare applicazione in tutti i casi in cui egli, per ragioni di ordine obiettivo, non si trovi in posizioni di assoluta serenità rispetto alla decisione da adottare, ribadendo successivamente che “…la regola che vuole l’astensione dei soggetti interessati è di carattere generale e tende ad evitare che, partecipando gli stessi alla discussione e all’approvazione del provvedimento, essi possano condizionare nel complesso la formazione della volontà dell’assemblea, concorrendo a determinare un assetto complessivo dello stesso provvedimento non coerente con la volontà che sarebbe scaturita senza la loro presenza…” (cfr. C.d.S., Sez. IV, sent. 21 giugno 2007, n. 3385, cit.).