Quesito su: Diritto di accesso di un consigliere comunale, ad un parere legale richiesto dall’Ente con delibera.
Si fa riferimento ad una nota con la quale è stato chiesto il parere della scrivente in ordine all'accessibilità dei pareri legali da parte dei consiglieri comunali, ed in particolare circa il diniego del Sindaco al rilascio di copia del parere legale, richiesto con delibera di Giunta n. 47 del 4 ottobre 2003.
In particolare, si chiede di conoscere se sia sottratto all'accesso il parere richiesto dall'organo esecutivo comunale per l'istruttoria del rilascio di una concessione edilizia nell'ambito di un piano di lottizzazione.
Si deve, preliminarmente, osservare che l'accesso dei consiglieri comunali e provinciali agli atti amministrativi dell'ente locale -disciplinato dall'art.43 del T.U.E.L. n.267/2000- risulta particolarmente tutelato, in quanto volto a consentire un pieno ed agevole espletamento del mandato, garantendo agli stessi di ottenere dagli uffici tutte le notizie utili a tal fine.
Dalla titolarità del diritto di accesso del consigliere comunale, costantemente sottolineata dal Consiglio di Stato nella sua peculiarità, discende l'assenza dell'onere della motivazione da parte del consigliere, come più volte confermato dallo stesso Consiglio ( vedasi sia la sentenza del 13 novembre 2002, n. 6293: 'il consigliere comunale non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, né gli organi burocratici dell'ente hanno titolo a richiederlo', sia la sentenza n. 5109 del 26 settembre 2000).
Sembrerebbe, pertanto, che la finalizzazione dell'accesso del consigliere all'espletamento del mandato sia il presupposto sufficiente a legittimarlo.
Viceversa, ne diviene, al tempo stesso, il limite, poiché l'esercizio del suddetto diritto si configura come funzionale allo svolgimento dei compiti istituzionali.
Dall'ampia legittimazione del diritto di accesso da parte di un consigliere comunale, non consegue, infatti, che la posizione sostanziale fatta valere dallo stesso sia definibile quale 'diritto generalizzato ed indiscriminato ad ottenere qualsiasi tipo di atto dell'Ente' (Commissione per l'accesso ai documenti ed anche C.d.S., sez. V, 8 settembre 1994, n. 976).
Conseguentemente, è appena il caso di ricordare che i dati acquisiti devono essere utilizzati effettivamente per le sole finalità del mandato e non per fini personali, in osservanza del dovere del segreto d'ufficio cui anche i consiglieri sono tenuti, nel rispetto dei principi di pertinenza e di non eccedenza (C.d.S., sez. V, 26 settembre 2000, n. 5109).
Per determinare l'accessibilità del parere legale in questione, risulta chiarificatrice sia la richiamata sentenza del Consiglio di Stato del 2 aprile 2001, n. 1893, sia la precedente, analoga pronuncia del medesimo Consiglio in data 26 settembre 2000, n. 5105.
L'Alto Consesso ha ritenuto che la posizione dei consiglieri comunali non possa essere talmente privilegiata da consentire loro l'accesso a tutti i documenti, anche segreti, dell'amministrazione, assumendo solo l'obbligo di non divulgare le relative notizie.
Un accesso ai documenti da parte del consigliere comunale, ritenuto prevalente anche sul segreto professionale, verrebbe ad assumere una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni
giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale).
Si afferma, infatti, nelle citate pronunce della sezione V, che il mandato politico-amministrativo affidato al consigliere, pur esprimendo il principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività non può, nell'attuale contesto normativo, autorizzare un privilegio così marcato, a scapito degli altri soggetti interessati alla conoscenza dei documenti amministrativi, con sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto.
Se ne deduce, così, che il diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai dati effettivamente utili all'esercizio del mandato ed ai soli fini di questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, nonché rispettando il dovere di segreto 'nei casi espressamente determinati dalla legge', e 'i divieti di divulgazione dei dati personali'.
Si sostiene, tuttavia, da parte del Consiglio di Stato, che la legge 241/90, introducendo alcune limitazioni di carattere oggettivo, ha pure definito le ipotesi in cui determinate categorie di documenti sono sottratte all'accesso (art. 24, comma 1) ed ha, quindi, ridimensionato la portata sistematica del segreto amministrativo che non esprime più un principio generale ma costituisce un'eccezione al canone della trasparenza.
Il Consiglio di Stato ha poi affermato che l'innovazione legislativa apportata dalla citata legge 241/90, ' per quanto radicale, non travolge le diverse ipotesi di segreti, previsti dall'ordinamento, finalizzati a tutelare interessi specifici, diversi da quello preordinato alla mera protezione dell'esercizio della funzione amministrativa'.
Pertanto, pur se, per stessa ammissione del Consiglio di Stato, la definizione dei limiti delle discipline del segreto, i cui documenti vengono sottratti all'accesso, non risulta per nulla agevole, in tale ambito rientrano sicuramente gli atti redatti dai legali e dai professionisti in esecuzione di specifici rapporti di consulenza con l'Amministrazione, che può ricorrere alle consulenze legali esterne in diverse forme ed in diversi momenti della propria attività amministrativa.
Lo stesso Consiglio ha quindi ulteriormente evidenziato tre diverse fattispecie di parere legale, a seconda del contesto in cui lo stesso viene richiesto che influisce sulla disciplina dell'accesso ai documenti.
In primo luogo, si analizza l'ipotesi dei pareri e delle consulenze, richiesti nell'ambito di un'istruttoria volta all'adozione di un atto finale nel quale viene anche citato per motivarne l'adozione.
Si tratta quindi, di pareri legali con funzione endoprocedimentale che, pur traendo origine da un rapporto privatistico, caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, risultano assoggettati all'accesso, in quanto oggettivamente correlati ad un procedimento amministrativo.
Altra ipotesi è quella in cui il ricorso alla consulenza avvenga a seguito di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrario o amministrativo) oppure dopo l'avvio di attività precontenziose tipiche (tentativo obbligatorio di conciliazione) e sia, pertanto, finalizzato alla definizione di una strategia difensiva.
Infine, il Consiglio di Stato si sofferma su una terza ipotesi in cui si profila la possibilità che la richiesta di parere legale avvenga in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all'esito del procedimento ma precedente l'instaurazione di un giudizio o l'avvio dell'eventuale procedimento contenzioso, in modo da consentire all'amministrazione di articolare una linea difensiva in ordine ad una potenziale lite.
In queste due ultime ipotesi, l'orientamento del Consiglio di Stato è che tali pareri legali, chiesti a fini difensivi, siano sottratti all'accesso e restino, pertanto, tutelati dal segreto.
Per esprimere un parere definitivo sulla questione prospettata dalla S.V. circa l'accessibilità o meno degli atti cui è stato negato l'accesso, risulta di fondamentale importanza, l'acquisizione di ulteriori elementi sulla natura degli stessi, soprattutto mediante l'invio di una copia della delibera di Giunta n. 47 del 4 ottobre 2003.
Ciononostante, anche in assenza di una diretta conoscenza della delibera con la quale è stato chiesto il parere legale, si può innanzitutto convenire che il diniego risulta carente nella motivazione laddove non dà conto delle varie ipotesi oggetto di disamina da parte del Consiglio di Stato.
Conseguentemente, alla luce degli elementi attualmente in possesso, si può solo dire che qualora, a seguito degli ulteriori riscontri da effettuare, sia accertato che il parere legale richiesto dalla Giunta comunale di Quadrelle rivesta un carattere endoprocedimentale e sia pertanto ascrivibile alla prima ipotesi esaminata, non potrebbe ritenersi sottratto all'accesso 'qualificato' del consigliere, non essendo 'ictu oculi' ricollegabile ad alcuna controversia in atto o in fieri.
Solamente in tale caso si ritiene infatti che si possa condividere la tesi della S.V. volta ad ottenere il parere legale in questione per l'espletamento del proprio mandato istituzionale.