Incompatibilità consigliere comunale ex articolo 63, comma 1, n.2) e comma 2 D.Lgs. n.267/2000

Territorio e autonomie locali
13 Maggio 2022
Categoria 
12 Cause ostative all'assunzione e all'espletamento del mandato elettivo
Sintesi/Massima 

L’art. 63 comma 1 n.2 Tuoel, dispone una causa di incompatibilità per i consiglieri comunali che si trovano ad aver parte direttamente ed indirettamente in appalti nell’interesse del comune. E’ rilevante l’affidamento della gestione dei servizi socio – assistenziali del comune ad una fondazione nel cui consiglio di amministrazione il consigliere comunale riveste il ruolo di presidente. L’assenza di finalità di lucro dell’attività svolta dalla fondazione non è sufficiente ad escludere la sussistenza dell’ipotesi di incompatibilità. Il comma 2 dell’art.63 esclude l’applicazione della suddetta ipotesi solo per coloro che hanno parte in cooperative sociali, iscritte in pubblici registri.

Testo 

Viene chiesto di conoscere  l’avviso di questo Ministero in relazione alla possibile sussistenza di una causa di incompatibilità ai sensi dell’art.63 commi 1 e 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 in capo ad un consigliere comunale che riveste, in seno ad una fondazione onlus avente sede nel territorio comunale, la carica di presidente del consiglio di amministrazione. Con la stessa nota viene altresì evidenziato che la fondazione gestisce sul territorio comunale una struttura di accoglienza per anziani, di proprietà della fondazione medesima e il comune detiene una quota di proprietà di uno degli immobili sui quali insiste la casa di riposo, non esercitando alcun controllo sulla fondazione stessa. Lo statuto della fondazione prevede inoltre che la fondazione non ha scopo di lucro e persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale nel campo della beneficienza e dell’assistenza sociale e socio - sanitaria. Dal quesito inoltrato emerge, altresì, che nell’anno [...], il comune ha stabilito di affidare in appalto alla predetta fondazione il servizio di assistenza domiciliare comunale per la durata di un anno, servizio che in precedenza veniva svolto da una dipendente comunale cessata perché collocata a riposo.
L’art.63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 disciplina le cc.dd. incompatibilità d’interessi, le quali hanno la finalità di impedire che possano concorrere all’esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l’imparzialità (cfr. Corte costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997, n 44; Id., sentenza 24 giugno 2003, n.220). In particolare, l’ipotesi prevista dal comma 1, n. 2), del menzionato art.63,  è ravvisabile in presenza di un duplice presupposto: il primo di natura soggettiva ed il secondo di natura oggettiva. Sul piano soggettivo, è necessario che l’interessato rivesta la qualità di “titolare” (ad esempio, di impresa individuale) o di “amministratore” (ad esempio, di società di persone o di capitali) ovvero di “dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento”, quale può essere, a titolo esemplificativo, l’istitore o il procuratore di un’impresa commerciale o il direttore generale di una società per azioni. L’ampia formulazione della norma dimostra che le menzionate qualità soggettive devono risolversi, in definitiva, in poteri di gestione e/o di decisione relativamente all’appalto. Dal punto di vista oggettivo, è necessario che l’amministratore locale, rivestito di una di tali qualità, intanto può considerarsi incompatibile, in quanto abbia parte in servizi nell’interesse del comune. L’espressione “avere parte” è qui usata per indicare una situazione di potenziale conflitto del soggetto titolare dell’interesse particolare rispetto all’esercizio imparziale della carica elettiva. Ciò comporta che sia la nozione di partecipazione, sia quella di servizi devono assumere un significato il più possibile esteso e flessibile e che è irrilevante la natura, pubblicistica o privatistica, dello strumento prescelto dall’ente locale per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali. (cfr. Corte di Cassazione, sez. I, sentenza 22 dicembre 2011, n. 28504; Id., sentenza 16 gennaio 2004, n.550; Id., sentenza 17 aprile 1993, n.4557). La Suprema Corte di Cassazione, a tal proposito, ha precisato che gli avverbi “direttamente o indirettamente” – che, nella disposizione in esame, seguono la locuzione “ha parte” – debbono intendersi riferiti non già alla condizione oggettiva, bensì a quella soggettiva; in altri termini, il legislatore, qualificando il modo della partecipazione al servizio, ha inteso, specificamente, rafforzare l’effettività della norma e limitare il diritto di elettorato passivo non soltanto nei confronti del soggetto, al quale, in ragione della partecipazione al servizio con una determinata qualità soggettiva (titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento), il conflitto di interessi sia immediatamente e formalmente riferibile, ma, con un chiara finalità antielusiva, anche nei confronti del soggetto che debba, secondo le circostanze del caso concreto, considerarsi come il “reale” portatore dell’interesse “particolare” potenzialmente confliggente con quelli “generali” connessi all’esercizio della carica elettiva (cfr. Cass. Civ., sez. I, sentenza n.11959 dell’8.08.2003; Cass. Civ., sez. I, sentenza n.550 del 16.01.2004). Con riferimento alla espressione “servizi”, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che: “la formulazione assai ampia della disposizione in esame ("servizi nell'interesse del comune") è giustificata dalla sua ratio: il legislatore, infatti, intende comprendere in essa - nel modo più ampio possibile, appunto - tutte le ipotesi, in cui la "partecipazione", (….), in servizi imputabili al comune - e, per ciò stesso, di interesse generale - possa dar luogo, nell'esercizio della carica del "partecipante", eletto amministratore locale, ad un conflitto tra interesse particolare di questo soggetto e quello generale dell'ente locale”. Ed allora, secondo la Corte, “la disposizione in esame ("colui che ha parte in servizi nell'interesse del comune") si riferisce al soggetto che, rivestito di una delle predette qualità soggettive, partecipi - eventualmente insieme con altri soggetti, anche pubblici - ad un "servizio pubblico", così inteso, come portatore di un proprio specifico e "particolare" interesse contrapposto a quello "generale" dell'ente locale e, quindi, potenzialmente confliggente con l'esercizio "imparziale" della carica elettiva”. (Cass. Civ., sez. I, sentenza n.550 del 16.01.2004). Ciò posto, e relativamente alla questione rappresentata, elemento determinante della fattispecie è dato dalla sussistenza dell’affidamento della gestione dei servizi socio – assistenziali del comune alla fondazione nel cui consiglio di amministrazione il consigliere comunale riveste il ruolo di presidente. L’affidamento, dunque, presuppone la stipula di un contratto e, come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, in materia di affidamento di appalti pubblici, (cfr. Tar Basilicata n.194 del 20.03.2018) all’esito dell’espletamento della gara, dopo la stipula del contratto tra il Comune e l’aggiudicatario, sorge per l’appaltatore – consigliere comunale l’incompatibilità di cui all’art.63 comma 1 n.2 del TUOEL. Inoltre, l’assenza di finalità di lucro dell’attività svolta dalla fondazione non è sufficiente ad escludere la sussistenza dell’ipotesi di incompatibilità. Il comma 2 dell’art.63 ha, infatti, escluso l’applicazione della suddetta ipotesi solo per coloro che hanno parte in cooperative sociali, iscritte in pubblici registri dal momento che solo tali forme organizzative offrono adeguate garanzie per evitare il pericolo di deviazioni nell’esercizio del mandato da parte degli eletti ed il conflitto di interessi, anche solo potenziale, che la medesima persona sarebbe chiamata a dirimere se dovesse scegliere tra l’interesse che deve tutelare in quanto amministratore dell’ente che gestisce il servizio e quello che deve tutelare in quanto consigliere del comune che di quel servizio fruisce. Si rammenta, in ogni caso, che la valutazione in ordine alla eventuale sussistenza di ipotesi di incompatibilità è rimessa al consiglio comunale. Infatti, in conformità al generale principio per cui ogni organo collegiale è competente a deliberare sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la verifica delle cause ostative all’espletamento del mandato è compiuta con la procedura prevista dall’art.69 del decreto legislativo n.267 del 2000, che garantisce il contraddittorio tra organo ed amministratore, assicurando a quest’ultimo l’esercizio del diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa di incompatibilità contestata (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 10 luglio 2004, n.12809; Id., sentenza 12 novembre 1999, n.12529).