Sussiste la causa di incompatibilità nei confronti di consigliere comunale, condannato con sentenza della Corte dei Conti passata in giudicato, innanzi allo stesso giudice contabile o di istanza per la rateizzazione del debito.
(Parere dell'11 giugno 2021) E' stato richiesto un parere sulla ricorribilità o meno della causa di incompatibilità ex articolo 63, comma 1, n.5, d.lgs. 18/8/2000 n.267, nei riguardi di un consigliere comunale condannato dalla Corte dei conti con sentenza passata in giudicato. In particolare, sulla questione si riferisce che a seguito della rideterminazione a ribasso da parte del comune dei canoni di locazione di immobili comunali da cui nasce l’indebito accertato con la predetta sentenza, il consigliere comunale potrebbe proporre ricorso ex articolo 211 d.lgs. 174/2016 innanzi allo stesso giudice contabile, oltrechè proporre istanza di rateizzazione del debito.
Occorre premettere che l’articolo 63, comma 1, n.5 del d.lgs. 18/8/2000 n.267, dispone che non possa ricoprire la carica di sindaco, di presidente della provincia, di consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale “colui che, per fatti compiuti allorchè era amministratore o impiegato, rispettivamente del comune o della provincia ovvero verso istituto od azienda da essi dipendente o vigilato, è stato, con sentenza passata in giudicato, dichiarato responsabile verso l’ente, istituto o azienda e non ha ancora estinto il debito”.
La chiara lettera della norma definisce una causa di incompatibilità la cui ratio, come chiarito dalla giurisprudenza, “risiede nell'esigenza che il consigliere dell'ente territoriale eserciti sempre le funzioni pubbliche in modo trasparente ed imparziale, senza prestare il fianco al sospetto che la sua condotta possa essere, in qualche modo, orientata dall'intento di tutelare il suo interesse contrapposto a quello dell'ente che è stato chiamato ad amministrare”. (Corte di Cassazione, sez. I, sentenza del 4 maggio 2002, n.6426)
Si ritiene, altresì, utile precisare che il giudizio ex articolo 211 d.lgs. 174/2016 può essere adito "qualora ai fini della relativa esecuzione sorga questione sull' interpretazione di una decisione della Corte dei conti, le parti, l'amministrazione o l'ente interessato possono promuovere il giudizio di interpretazione del titolo giudiziale. L'atto introduttivo si propone davanti al giudice che ha emesso la decisione. Il procedimento è regolato dalle disposizioni che disciplinano il giudizio ad istanza di parte".
A questo riguardo la giurisprudenza del giudice contabile ha affermato in materia “che il giudizio di interpretazione "si colloca nell'ambito della disciplina dell'esecuzione delle decisioni e si caratterizza per un'intima interconnessione genetico - funzionale con le forme di attuazione di quest'ultima. Esso, infatti, rappresenta un'ipotesi di cognizione eventuale del giudice contabile che, ancorchè autonoma rispetto al procedimento seguito per l'esecuzione della decisione, è strutturalmente e funzionalmente connessa a quest'ultimo, non potendo l' interpretazione integrare o modificare in executivis le statuizioni contenute nella decisione, ma soltanto chiarirne i contenuti precettivi, così come emergono dal complesso motivazione - dispositivo" (in siffatto modo Sez. III Centr. n.496/2017). Sicchè il giudizio per interpretazione può essere instaurato unicamente al fine di chiarire quale sia l'esatta portata delle statuizioni contenute in una sentenza, ove insorgano difficoltà nella relativa fase esecutiva, a causa del loro contenuto difficilmente intellegibile o addirittura ambiguo, mentre il giudice non è legittimato a procedere annullamenti, revoche o modifiche di statuizioni precedentemente emesse (in termini Sez. III Centr. n.414/2018). (Corte dei Conti Sez. III App., Sent. (ud. 26/02/2021) 05-03-2021, n.74)
Dal chiaro indirizzo del giudice contabile consegue, quindi, che l’eventuale istaurazione del giudizio di interpretazione del titolo giudiziale non può modificare la sentenza di cui si fa questione, che in sostanza rimane nel dato essenziale da cui deriva la causa di incompatibilità, e cioè l’esistenza e la permanenza di un debito del consigliere comunale nei confronti dell’ente amministrato, fatta eccezione il caso in cui vi sia la temporanea sospensione degli effetti della sentenza del giudice contabile. Peraltro, l’eventuale istaurazione di un giudizio di interpretazione, che come detto può essere proposto per chiarire alcuni punti del dispositivo ritenuti dalla parte ricorrente non chiari ed esclusivamente per l’esecuzione della sentenza medesima, potrebbe dar luogo all’ulteriore causa di incompatibilità prevista nel comma 1, n. 4 dello stesso art. 63 - lite pendente con l’ente di appartenenza - che nel caso specifico prevede che “La lite promossa a seguito di o conseguente a sentenza di condanna determina incompatibilità soltanto in caso di affermazione di responsabilità con sentenza passata in giudicato”.
Si aggiunge, inoltre, che l’incompatibilità di cui all’art. 63, comma 1, n.5, a maggior ragione continua a sussistere per tutto il tempo in cui sia astrattamente possibile (ma non sia stato ancora proposto) il ricorso di conto ex art. 211 d.lgs. 174/2016, oppure nell’ipotesi di presentazione di istanza di rateizzazione del debito. A questo riguardo, nel caso in cui il predetto amministratore dovesse presentare istanza di rateizzazione della somma dovuta, il costante indirizzo di questo Ministero conferma che continua a persistere la predetta causa di incompatibilità, in quanto la rateizzazione è soltanto una modalità di pagamento e, quindi, di estinzione del debito che così continua a permanere fino a quando non risulti versata l’ultima rata.
Alla luce delle considerazioni che precedono, questo Ministero ritiene che nel caso di specie sussistente in capo al consigliere comunale la causa di incompatibilità di cui al citato articolo 63, comma 1, n.5, d.lgs. 18 agosto 2000, n.267.