Sospensione di diritto di un consigliere comunale ex art.11 del D.Lgs. n.235/2012 e successivamente assolto perché non punibile per particolare tenuità del fatto

Territorio e autonomie locali
11 Febbraio 2020
Categoria 
12 Cause ostative all'assunzione e all'espletamento del mandato elettivo
Sintesi/Massima 

La formulazione letterale della disciplina del D.Lgs. n. 235/2012 esclude la possibilità di estendere la sua applicazione a pronunce diverse da quelle che infliggono una condanna, sia pure non definitiva.

Testo 

Un sindaco è stato sospeso ai sensi dell’art. 11 del D. Lgs. n. 235/2012, a seguito di sentenza di condanna in primo grado per i reati di cui agli artt. 81 e 323 c.p.
Viene chiesto se permanga la condizione ostativa nei confronti del predetto sindaco a seguito della sentenza con cui lo stesso è stato assolto dal reato ascrittogli “ai sensi dell’art. 131-bis c.p., perché non punibile per particolare tenuità del fatto”.
Secondo l’autore del quesito permarrebbero i presupposti per la sospensione in quanto l’ordinamento sembra attribuire all’assoluzione per tenuità del fatto la valenza di una sentenza di condanna (art. 651-bis c.p.p.) che lascerebbe intatto il fatto – reato nei suoi elementi costitutivi di tipicità, antigiuridicità e colpevolezza, agendo solo come causa di esclusione della punibilità.
Al riguardo si rappresenta che allo stato della vigente legislazione tali argomentazioni non sono sostenibili per le ragioni di seguito esposte.
La sentenza emessa dalla Corte di Appello ha assolto il sindaco in questione - come riferito nella richiesta di parere - per i reati di cui agli artt. 81 e 323 c.p., ai sensi dell’art. 131-bis c.p.
Quest’ultimo stabilisce che: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
A sua volta, tale norma va letta, nel caso di specie, in combinato disposto con l’art. 530, comma 1, c.p.p., a mente del quale: “Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo”.
La decisione di cui trattasi è pur sempre una sentenza di assoluzione riguardante condotte criminose per le quali è esclusa la punibilità, stante la particolare tenuità delle stesse e, pertanto, non equiparabile in via interpretativa a una sentenza di condanna per gli effetti di cui al D.Lgs. n. 235/2012.
Quest’ultimo, infatti, agli articoli 10 e 11, nell’individuare, rispettivamente, le cause di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, e le conseguenti ipotesi di sospensione e decadenza dalla carica, testualmente fa riferimento alle pronunce di condanna.
Pertanto, la formulazione letterale della disciplina del D.Lgs. n. 235/2012 esclude la possibilità di estendere la sua applicazione a pronunce diverse da quelle che infliggono una condanna, sia pure non definitiva, tenuto conto del consolidato, costante orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità secondo il quale le cause di incandidabilità, così come quelle di ineleggibilita', derogando al diritto sancito dall'art. 51 Cost. di tutti i cittadini ad accedere alle cariche elettive, sono di stretta interpretazione e devono rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire la soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate.
Peraltro, un’eventuale interpretazione estensiva delle norme sopra richiamate anche alle sentenze di assoluzione emesse ai sensi dell’art. 131-bis c.p. comporterebbe, come conseguenza paradossale, la impossibilità di applicare “l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità”, a norma del comma 3 dell’art. 15 del più volte richiamato D. Lgs. n. 235/2012, in quanto l’istituto della riabilitazione presuppone necessariamente la sussistenza di una sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 179 c.p., con la conseguenza che la persona assolta ai sensi dell’art. 131- bis menzionato verserebbe in una condizione di incandidabilità permanente, atteso che per le cariche elettive presso gli enti territoriali la riabilitazione costituisce l’unica causa di estinzione dello stato di incandidabilità.
Inoltre, si ritiene che dall’art. 651- bis c.p.p. non possa desumersi una equiparazione tout court tra le sentenze che dichiarano la particolare tenuità del fatto e le sentenze di condanna.   
Ciò in quanto tale disposizione attribuisce sì alla sentenza penale irrevocabile di proscioglimento, pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento, efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, ma ne limita l’operatività solo per le finalità tassativamente indicate nella norma stessa, vale a dire, “nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale”.
Né può inferirsi l’equiparazione con le sentenze di condanna dalla circostanza che i provvedimenti pronunciati ai sensi dell’art. 131-bis c.p.p. vanno iscritti nel casellario giudiziale, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), del D.P.R. n. 313/2012. Ciò in quanto, come evidenziato anche dalla giurisprudenza di legittimità, l’iscrizione di cui trattasi assolve “esclusivamente a quella funzione di memorizzazione della loro adozione destinata (…) ad esplicare i suoi effetti nell’ambito del sottosistema definito” dall’art. 131-bis c.p.p. “ed all’interno del circuito giudiziario”. “La procedura di memorizzazione delle pronunzie adottate per tenuità dell’offesa costituisce” – ad avviso delle SS.UU. penali della Corte di Cassazione – “strumento essenziale per la stessa razionalità ed utilità dell’istituto”, atteso che “l’assenza di annotazione determinerebbe, incongruamente, la possibilità di concessione della non punibilità molte volte nei confronti della stessa persona”. (Cfr. Cass. SS.UU. penali, sentenza n. 13681 del 25/02/2016 e sent. n. 38954 del 30/05/2019). Consequenzialmente alla finalità cui è sottesa l’iscrizione nel casellario giudiziale, nella più recente sentenza viene stabilito che della stessa  “non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell'interessato, del datore di lavoro e” anche  “della Pubblica Amministrazione”.
Sulla scorta delle sopra delineate coordinate normative e interpretative, si ritiene, pertanto, che nel caso di specie vada esclusa la prospettata causa di incandidabilità, sussistendo le condizioni per il reintegro del consigliere sospeso ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 235/2012.