Incandidabilità del sindaco ex D. Lgs. n.235/2012

Territorio e autonomie locali
6 Marzo 2020
Categoria 
12 Cause ostative all'assunzione e all'espletamento del mandato elettivo
Sintesi/Massima 

La causa ostativa di cui all’articolo 10 lett. d) del D.Lgs.235/12 non sussiste se il sindaco è stato condannato per reati commessi nella qualità di direttore di cantiere, non rivestendo in tal caso la qualità né di pubblico ufficiale, né di incaricato di pubblico servizio.

Testo 

I consiglieri di minoranza di un comune hanno lamentato il sopravvenire di una causa di decadenza a carico del sindaco dell’ente, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che ha condannato il predetto amministratore alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, “pena condizionalmente sospesa e non menzione nel casellario giudiziale”.
I citati consiglieri hanno invocato la sussistenza della ipotesi di cui all’art. 10, comma 1, lett. d) del D.Lgs. n. 235/2012, in particolare in relazione al reato previsto dall’art. 356 c.p., ritenendo che quest’ultimo sia stato commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, con conseguente decadenza di diritto dalla carica ricoperta.
Al riguardo, si osserva preliminarmente che, nella fattispecie in argomento, non può trovare applicazione la preclusione contemplata dall’art. 10, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, atteso che la pena in concreto comminata - per effetto della diminuzione conseguente al rito del patteggiamento - è inferiore alla soglia dei due anni di reclusione ivi prevista.
In ordine all’eventuale operatività della incandidabilità contemplata dalla lett. d) del menzionato art. 10, comma 1, lett. d) del D.Lgs. 235/2012, con riferimento al reato di cui all’art. 356 c.p., si rappresenta quanto segue.
La norma citata prevede una causa di incandidabilità per “coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera c)”.
Tale norma, che riproduce quanto in precedenza disposto dall’art. 15, comma 1, lett c) della L. n. 55/1990 – come modificato dalla L. n. 475/1999 – poi trasfuso nell’abrogato art. 58, comma 1, lett. c) del D. Lgs. n. 267/2000, “contiene una norma di chiusura, volta ad impedire l’esclusione dall’area della decadenza di comportamenti non specificamente previsti, ma egualmente lesivi dell’interesse protetto, con la conseguenza che la incandidabilità e la decadenza operano con riferimento ad ogni condotta che integri la componente materiale di una fattispecie criminosa autonoma (o di una circostanza aggravante estrinsecantesi nell’abuso dei poteri o nella violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione)”. (Cfr. Corte di Cassazione, sez. I civ., sentenza 27/07/2002, n. 11140).
Come la giurisprudenza ha avuto modo di precisare, la norma in esame si riferisce non soltanto “ai delitti per i quali l’abuso dei poteri o la violazione dei doveri costituisca un elemento costitutivo della fattispecie (c.d. reati propri), nonché a quelli per i quali sia stata in sede penale contestata (e ritenuta) l’aggravante di cui all’art. 61, n. 9) c.p.”, ma anche a quei “delitti (…)  che, di fatto, sono stati commessi dal soggetto in occasione o in relazione all’esercizio delle pubbliche funzioni”, come pure ai “delitti (…) per i quali l’abuso dei poteri o la violazione dei doveri, pur non dando luogo alla contestazione dell’aggravante, ha assunto tuttavia una rilevanza determinante nella struttura dell’imputazione, sotto il profilo del nesso causale fra la condotta e l’evento (art. 40, comma 2, c.p.) o dell’elemento psicologico (art. 43, comma 1, ultimo capoverso)”. In ogni caso, sia l’applicazione dell’aggravante, sia la sussistenza di un nesso tra l’esercizio delle pubbliche funzioni e la commissione del delitto, come pure la sussistenza di una violazione dei doveri o abuso dei poteri, devono essere espressamente ritenute sussistenti dal giudice penale. “E questa valutazione dell’autorità giudiziaria penale non può essere sostituita, integrata o contraddetta da autonome valutazioni dell’autorità amministrativa, giacchè la legge n. 16/92” - oggi D. lgs. n. 235/2012 – “non consente alcun margine di discrezionalità”. (Cfr. Consiglio di Stato, Ad. Gen, 25 novembre 1993, Gab. 126/93, sez. / - n. 708/93).
In proposito, occorre infatti tenere presente che, trattandosi di disposizioni che incidono sull’esercizio del diritto di elettorato passivo – inviolabile ai sensi dell’art. 2 della Costituzione – la restrizione di tale diritto è ammissibile soltanto nei limiti strettamente necessari alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti e secondo le regole della necessità e della ragionevole proporzionalità (cfr. Corte costituzionale, sentenza 23 giugno 2008, n. 240; Id., sentenza 3 ottobre 2003, n. 306).
Conseguentemente, le norme che comportano limitazioni al diritto di elettorato passivo sono di stretta interpretazione e, pertanto, vanno applicate nei limiti di quanto sia necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate, onde evitare un eccessivo sbilanciamento a favore della salvaguardia della moralità dell’amministrazione pubblica rispetto ad altri interessi costituzionali quale quello previsto dall’art. 51 della Costituzione.
Ciò stante, ai fini della verifica circa l’applicabilità della causa ostativa sopra citata al caso sottoposto all’attenzione di questo Ufficio, sarà pertanto necessario verificare se, nella fattispecie prospettata, taluno dei reati commessi dal sindaco sia rilevante ai sensi dell’articolo 10 lett. d) del D.Lgs. 235/12.
Come emerge dalla sentenza, il sindaco è stato condannato per i reati sopra citati, avvinti dal vincolo della continuazione, commessi nella qualità di direttore della società a cui sono stati appaltati alcuni lavori.
Facendo applicazione delle sopra delineate coordinate interpretative giurisprudenziali al caso in esame, si ritiene che non potrà trovare applicazione la causa ostativa di cui al ripetuto articolo 10 lett. d) del D.Lgs. 235/12, atteso che nessuno dei reati commessi dal sindaco – ivi incluso quello previsto dall’art. 356 c.p. -  rientra nel novero dei “delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio”.
 Il predetto amministratore locale, infatti, quale direttore responsabile del cantiere della società in questione, non riveste la qualità né di pubblico ufficiale, né di incaricato di pubblico servizio, e nemmeno risulta contestata l’aggravante di cui all’art. 61, n. 7) c.p. Né tanto meno, nel caso prospettato, l’autorità giudiziaria ha ritenuto sussistente un abuso dei poteri o una violazione dei doveri.