Il precedente rapporto di lavoro intercorrente tra il consigliere e un comune estinto a seguito di fusione non determina incompatibilità, trattandosi di un soggetto giuridico distinto dal comune presso il quale il consigliere è risultato eletto.
E’ stato chiesto l’avviso di questo Ufficio in ordine alla eventuale sussistenza di una causa di ineleggibilità in capo a un ex consigliere comunale, candidato sindaco poi eletto consigliere, dipendente di un comune estinto a seguito di fusione, dai cui ruoli è stato, poi, trasferito per mobilità verso una casa di riposo inizialmente costituita come Ipab e successivamente trasformata in Azienda pubblica di servizi alla persona, dove è stato in servizio quale direttore.
Si riferisce, inoltre, che il consigliere, dopo il ballottaggio, ha accettato la carica di assessore comunale e vicesindaco, dichiarando, altresì, l’insussistenza di cause ostative all’accettazione della carica, per poi dimettersi da quest’ultima dopo che il consiglio comunale aveva provveduto alla sua surroga quale consigliere comunale, in applicazione dell’art. 64, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000.
La prima doglianza dei consiglieri di minoranza, autori della richiesta di parere, riguarda la sussistenza di una presunta causa di ineleggibilità in capo al consigliere comunale in questione sia ai sensi dell’art. 60, comma 1, n. 11) del D.Lgs. n. 267/2000, sia del successivo n. 7) del medesimo articolo, posto che il consigliere “sarebbe di fatto un dipendente comunale, e non un dipendente di ruolo della ASP”. Un’ulteriore doglianza riguarda la partecipazione del consigliere in questione alla seduta della giunta comunale in cui si è approvato lo schema di bilancio consolidato dell’ente, contenente anche il bilancio della ASP del 2018, all’epoca in cui il predetto ex consigliere comunale era direttore dell’azienda, configurandosi nella sua persona il ruolo di controllore della stessa.
Al riguardo si rappresenta quanto segue.
Le cause di ineleggibilità prospettate in capo al consigliere di cui si tratta sono disciplinate, rispettivamente, dai nn. 7) e 11) dell’art. 60, comma 1, del D. Lgs. n. 267/2000, da leggersi in combinato disposto con il comma 3 del medesimo articolo.
In primis, va evidenziato che l’articolo 60 del D. Lgs. n. 267 del 2000 elenca i casi tassativi di ineleggibilità alla carica di consigliere comunale, ossia le cause limitative del diritto di elettorato passivo, che “devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, ricollegantisi alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate” (così Corte Cost., sent. n. 25/2008; v., altresì, Corte Cost., sentenze nn. 306/2003, 132/2001, 141/1996). Il Supremo Giudice delle Leggi ha rimarcato che “è proprio il principio di cui all’art. 51 della Costituzione a svolgere il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione). Pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale” (in questi termini Corte Cost. n. 25/2008 cit.; v. anche, Corte Cost., sent. n. 288/2007). Dunque, secondo il costante insegnamento della Corte Costituzionale, il diritto di elettorato passivo, quale diritto politico fondamentale, intangibile nel suo contenuto di valore ed annoverabile tra i diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 della nostra Carta Costituzionale, può essere unicamente disciplinato dalla legge e può essere limitato soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali parimenti fondamentali e generali; pertanto, essendo le disposizioni normative in materia di ineleggibilità e di incompatibilità di stretta interpretazione ed applicazione, le stesse non sono suscettibili di interpretazione analogia o estensiva (v. Corte Costituzionale, sent. n. 44 del 20.02.1997; v. anche Cass. Civ., sez. I, sent. n. 28504 del 22.12.2011).
Quanto al fondamento delle cause di ineleggibilità, la Suprema Corte di Cassazione ha osservato che lo stesso è da rinvenirsi nell’esigenza di garantire la “regolarità” del procedimento elettorale, escludendo soggetti che, per la loro particolare posizione, possono influenzare la compagine elettorale; in ossequio al principio di uguaglianza, formale e sostanziale, occorre che tra i vari candidati via sia parità di armi, ossia nessuno deve trovarsi, rispetto ad altri, in condizioni di vantaggio nella competizione elettorale (in tal senso v. Cass. Civ., sez. I, sent. n. 3902 del 16.03.2002).
Ciò premesso, il n. 7) del primo comma del citato articolo 60 del T.U.O.E.L. dispone testualmente che: “Non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale: […] i dipendenti del comune e della provincia per i rispettivi consigli”.
La ratio della disposizione in parola, oltre a quella di assicurare la regolarità del procedimento elettorale e garantire l’uguaglianza tra i competitor, è anche quella di garantire il più possibile l’attuazione del principio di separazione tra politica e gestione.
Ha osservato la Corte di Cassazione che ciò che conta, al fine della sussistenza della causa di ineleggibilità in parola, è la presenza delle condizioni tipiche del rapporto di impiego subordinato, così come declinate dalla giurisprudenza amministrativa ed ordinaria formatasi in materia, quali la sottoposizione ad ordini e direttive e l’inserimento del lavoratore nella struttura dell’ente (v. Cass. Civ., sez. I, sent. n. 6082 del 18.03.2006). L’articolo 60, comma 1, n. 7), del T.U.O.E.L., infatti, pone l’accento sul dato formale della dipendenza, subordinando la ineleggibilità alla sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente con il Comune. Dunque, come opinato anche in passato dalla Suprema Corte di Cassazione, la causa di ineleggibilità che colpisce i “dipendenti” del comune riguarda i “dipendenti” come tali dell’ente, a prescindere dalla natura, pubblica o privata, del relativo rapporto e dalla durata, determinata o indeterminata, dello stesso, nonché dalla circostanza che il lavoratore sia in posizione di distacco presso altro ente, tenuto conto che il distacco agisce sull’aspetto funzionale e non sul rapporto di servizio (in questi termini Cass. Civ., sez. I, sent. 8975 del 03.12.1987).
Orbene, posto che nella relazione del segretario comunale del comune in questione e dal curriculum vitae del consigliere comunale – entrambi allegati al quesito in esame - si evidenzia che il predetto ex amministratore locale non è mai stato dipendente del predetto ente presso il quale ha presentato la propria candidatura alla carica di sindaco e per il quale è stato consigliere comunale (fino alla nomina quale componente della giunta municipale) e poi assessore e vicesindaco, non può ritenersi sussistente - alla luce delle coordinate normative e interpretative sopra delineate - un rapporto di lavoro con il comune di cui trattasi rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 60, comma 1, n. 11).
In proposito, si aggiunge che a nulla rilevano, con riferimento alla causa ostativa in esame, il precedente rapporto di lavoro intercorrente tra il consigliere e l’estinto comune, né quello intercorrente – ed ancora in corso con l’ASP, trattandosi di un soggetto giuridico distinto dal comune presso il quale il consigliere è risultato eletto.
Con riferimento a tale rapporto lavorativo con l’ASP, potrebbe venire in rilievo eventualmente la fattispecie disciplinata dal n. 11) del ripetuto art. 60 del T.U.O.E.L. che prevede l’ineleggibilità per gli amministratori ed i dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di coordinamento del personale di istituto, consorzio o azienda dipendente rispettivamente dal comune o dalla provincia.
Ai fini della sussistenza di tale causa di ineleggibilità, è necessaria una condizione di natura soggettiva e una di natura oggettiva. Sotto il profilo soggettivo, ai fini che qui interessano, è necessario che l’interessato rivesta la qualità di “amministratore” ovvero di “dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento”. Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che il potere di coordinamento “non può essere riconosciuto al personale direttivo in genere e neppure al personale chiamato a coordinare attività e compiti di altri dipendenti, ma solo a quei funzionari i quali svolgano tale attività a livello che, per la sua qualità e quantità, sia tale da incidere sulla politica complessiva dell’ente sottoposto a vigilanza, ovvero sulle scelte rilevanti nei rapporti con il comune che esercita la vigilanza”. (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 9 febbraio 1995, n. 1465; Id., sentenza 6 dicembre 1985, n. 6131).
Per ciò che concerne il presupposto di natura oggettiva, con orientamento ormai consolidato, la giurisprudenza ha individuato i tratti distintivi del rapporto di dipendenza di un ente rispetto ad un’amministrazione comunale “nella esistenza di un potere di vera e propria ingerenza tale da incidere sul processo formativo della volontà dell’organismo dipendente e nella finalità di cura dell’interesse pubblico perseguito, che esiti nell’esercizio di poteri di informazione, di ispezione, di posizione di indirizzi gestionali, di preposizione e rimozione di tutti gli amministratori o di parte di essi … L’ente dipendente, in siffatta condizione, si configura come mero strumento della volontà direttiva dell’ente sovraordinato, titolare della funzione amministrativa affidata alla cura della struttura subordinata, nei cui riguardi si determina un vero e proprio obbligo di adempiere i compiti fissatile». In tal senso, vanno qualificati come “dipendenti” «pure gli enti che godono di autonomia amministrativa, patrimoniale e contabile ove siano comunque preposti a compiti inclusi in quelli istituzionali dell’ente territoriale e siano soggetti all’ingerenza e alle scelte di quest’ultimo con riguardo alla loro costituzione e persistenza in vita”. (ex multis, Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 21 novembre 2013, n. 26123; Id., sentenza 16 gennaio 2012, n. 438; Id., sentenza 11 dicembre 2012, n. 25944; Id., sentenza 18 luglio 2008, n. 20055; Id., sentenza 18 ottobre 2006, n. 22346; Corte di Cassazione, Sezione feriale, sentenza 28 settembre 1994, n. 7886).
Orbene, l’ASP di cui il predetto ex consigliere comunale è dipendente con mansioni di direttore, si configura quale “azienda dipendente” dal comune nato dalla fusione. Pertanto, nel periodo considerato, poteva ritenersi astrattamente sussistente, in capo al consigliere, la causa di ineleggibilità in commento. Tuttavia, dalle informazioni fornite a questo Ufficio risulta che l’ex consigliere di cui trattasi, in qualità di direttore dell’ASP, è stato collocato in aspettativa prima del giorno fissato per la presentazione delle candidature. Pertanto, seppure, ad una verifica concreta da parte dell’ente fossero risultati sussistenti i requisiti di cui all’art. 60, comma 1, 11) del T.U.O.E.L., in ogni caso avrebbe trovato applicazione il comma 3 dell’art. 60 secondo il quale: “le cause di ineleggibilità previste nei numeri 1), 2), 4), 5), 6), 7), 9), 11) e 12) non hanno effetto se l’interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell’incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature”.
Ciò stante, sulla scorta delle sopra delineate coordinate normative e interpretative, tenuto conto delle informazioni trasmesse con riferimento alla situazione riguardante la fattispecie rappresentata a questo Ufficio, si ritiene non sussistente in capo all’ex consigliere comunale alcuna ipotesi di ineleggibilità alla carica nell’ambito delle elezioni comunali.
Ad ogni buon conto, si rileva comunque che, allo stato attuale, il predetto non riveste più né la carica di consigliere comunale, né di assessore/vicesindaco presso il comune di cui trattasi.
Per ciò che concerne, infine, le doglianze in ordine alla paventata illegittimità della deliberazione della giunta comunale di approvazione dello schema del bilancio consolidato del comune per l’anno 2018, si condividono le valutazioni espresse dal segretario generale dell’ente, il quale ha evidenziato che la predetta deliberazione è stata assunta nel periodo in cui il succitato consigliere/assessore non svolgeva l’incarico di direttore dell’ASP.
Inoltre, non assume, comunque, alcun rilievo la circostanza che il sopra citato documento contabile riguardava anche il bilancio del 2018 dell’ASP all’epoca in cui il predetto ne era direttore, posto che si tratta di un documento della programmazione economico-finanziaria dell’ente, che ha lo scopo di rappresentare la situazione finanziaria e patrimoniale e il risultato economico della complessiva attività svolta dal comune attraverso le proprie articolazioni organizzative, i suoi enti strumentali e le sue società controllate e partecipate, rispetto al quale, non si ritiene configurabile l’obbligo di astensione di cui all’art. 78, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000.
Quest’ultima norma, infatti, prevede l’obbligo di astensione dal prendere parte alla discussione e alla deliberazione di atti del consiglio o della giunta comunale, ove l’amministratore in questione sia portatore di interessi propri o di parenti o affini fino al quarto grado.
In particolare, come chiarito in giurisprudenza, “La regola della astensione del consigliere comunale deve trovare applicazione in tutti i casi in cui il consigliere, per ragioni obiettive, non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale; in tal senso il concetto di “interesse” del consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire alla adozione di una delibera”. (Cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 28 gennaio 2011, n. 693; Id., sentenza 25 settembre 2014, n. 4806).
Il dovere di astensione troverà, quindi, applicazione ogni qual volta che - alla luce di una verifica da effettuarsi in concreto con riferimento al contenuto della singola deliberazione ed alla posizione di ciascun amministratore - sia ravvisabile una situazione di conflitto di interessi nel senso indicato dalla giurisprudenza sopra richiamata.
Tale conflitto di interessi non si ritiene rinvenibile nel caso di specie in cui, come innanzi, già evidenziato, la giunta comunale ha provveduto ad approvare un atto della programmazione economico – patrimoniale dell’ente avente carattere generale e non discrezionale che riguarda tutti soggetti che rientrano del perimetro di consolidamento ai sensi dell’art. 11 bis del D.Lgs. n. 118/2011, tra i quali, nel caso di specie, anche l’ASP di cui trattasi, rappresentandone i dati contabili riferiti all’anno 2018.