Se sussiste una causa ostativa all'elezione di un consigliere al momento della candidatura, il consiglio comunale deve dichiarare la nullità dell'elezione pure nell'eventualità in cui, prima della convalida degli eletti, dovesse intervenire la riabilitazione.
È stato formulato un quesito in merito alla sussistenza dell'obbligo di convocazione straordinaria del consiglio comunale, come richiesto da un quinto dei consiglieri, per la discussione ed eventuale votazione sulla richiesta di reintegro di un amministratore decaduto ai sensi del D. Lgs. n.235 del 2012. Al riguardo, si osserva in linea generale che l'art.39, comma 2, del decreto legislativo n.267/00 prescrive che il presidente del consiglio comunale è tenuto a riunire il consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri o il sindaco, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste. Il diritto ex art.39, comma 2, citato, "... è tutelato in modo specifico dalla legge con la previsione severa ed eccezionale della modificazione dell'ordine delle competenze mediante intervento sostitutorio del Prefetto in caso di mancata convocazione del consiglio comunale in un termine emblematicamente breve di venti giorni" (T.A.R. Puglia, Sez.I, 25 luglio 2001, n.4278). L'orientamento che vede riconosciuto "... il potere dei consiglieri di chiedere la convocazione del Consiglio medesimo" è definito come "diritto" dal legislatore è, quindi, ormai ampiamente consolidato (sentenza T.A.R Puglia, Lecce, Sez.I, del 4 febbraio 2004, n.124). La questione sulla sindacabilità degli argomenti su cui è richiesta la convocazione straordinaria dell'assemblea vede un consolidato orientamento secondo cui al presidente del consiglio spetti solo la verifica formale in merito alla sussistenza del prescritto numero di consiglieri, non potendo comunque valutare l'oggetto. La giurisprudenza in materia si è da tempo espressa affermando che, in caso di richiesta di convocazione del consiglio da parte di un quinto dei consiglieri, "al presidente del consiglio comunale spetta soltanto la verifica formale che la richiesta provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non può sindacarne l'oggetto, poiché spetta allo stesso consiglio nella sua totalità la verifica circa la legalità della convocazione e l'ammissibilità delle questioni da trattare, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell'assemblea in nessun caso potrebbe essere posto all'ordine del giorno" (T.A.R. Piemonte, n.268/1996; T.A.R. Sardegna, n.718/2003). Inoltre, si è sostenuto che appartiene ai poteri sovrani dell'assemblea decidere in via pregiudiziale che un dato argomento inserito nell'ordine del giorno non debba essere discusso (questione pregiudiziale) ovvero se ne debba rinviare la discussione (questione sospensiva) (T.A.R. Puglia-Lecce, Sez.I, 25 luglio 2001, n.4278 e sempre T.A.R. Puglia-Lecce, Sez.I, 4 febbraio 2004, n.124). Premesso il descritto quadro normativo e giurisprudenziale in tema di obbligo di convocazione straordinaria del consiglio comunale ai sensi dell'art.39 T.U.O.E.L., nel caso di specie l'oggetto posto all'ordine del giorno presenta indubbi profili di peculiarità che meritano di essere ulteriormente approfonditi. Occorre preliminarmente soffermarsi sulla nuova disciplina in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive (d.lgs. n.235/2012 "Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo"), con particolare riferimento al divieto di candidatura per i soggetti che versino nelle condizioni stabilite dall'art.10 e segg. del d.lgs. n.235/2012 ed alle conseguenze derivanti dall'accertamento di tali condizioni. Nello specifico, in primo luogo il legislatore è intervenuto statuendo che, nei casi in cui le riferite condizioni ostative si configurino ex ante, i provvedimenti di elezione o nomina dei menzionati soggetti sono affetti dal vizio radicale della nullità. Di conseguenza, gli organi che li hanno adottati sono tenuti a revocarli appena ne vengano a conoscenza (vd. art.10, comma 3, d.lgs. n.235/2012). Il richiamato decreto legislativo n.235/2012 si occupa, altresì, di disciplinare le conseguenze della riscontrata sopravvenienza ex post delle suddette cause ostative. In proposito, il comma 7 dell'art.11 del T.U. in commento stabilisce che l'amministratore già eletto, il quale si trovi successivamente a versare nelle condizioni di cui all'art.10, decade ope legis dalla carica ricoperta, dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione. Tanto premesso, appare evidente come la cessazione dalla carica ricoperta consegue direttamente al verificarsi della causa ostativa e, quindi, precede necessariamente la deliberazione dell'organo di appartenenza che, conseguentemente, ha natura meramente dichiarativa ed è preordinata alla surrogazione del consigliere decaduto con il primo dei non eletti della medesima lista. Pertanto, inconferente, rispetto al caso in specie, è il richiamo all'istituto della revoca dell'atto amministrativo, ex art.21-quinquies della legge n.241 del 1990. Come già evidenziato da questa Direzione Centrale con parere emesso in data 21/07/2020, in tale contesto normativo la sentenza di riabilitazione prevista dall'art.15, comma 3, d.lgs. 235/2012 "... per gli amministratori locali […] costituisce l'unica causa di cessazione della condizione di incandidabilità, atteso che l'articolo 13 del decreto legislativo n.235/2012 prevede una durata di detta condizione ostativa alla candidatura ... solo per i membri del parlamento nazionale ed europeo". Al riguardo, giova segnalare una recente pronuncia della giurisprudenza amministrativa in cui si sottolinea la peculiare natura della sentenza di riabilitazione e dei suoi effetti. Come ivi affermato, "la riabilitazione […] in questo contesto costituisce, quindi, un istituto che vale ad attestare in modo più sicuro il riacquistato possesso dei requisiti morali da parte del condannato perché opera sulla base di una valutazione ex post della condotta dello stesso e, a differenza dell'estinzione della pena, non opera ope legis, ma postula una specifica pronuncia costitutiva, fondata sulla verifica di prove effettive e costanti di buona condotta" (T.A.R. Lazio-Roma, sez.II, 03/05/2019, n.5636). L'evidenziata natura costitutiva della sentenza di riabilitazione risulta, peraltro, coerente con le conclusioni già rassegnate da questo Dicastero nel parere sopracitato, in cui si afferma l'efficacia ex nunc della pronuncia in parola, così da escludere che il consigliere dichiarato decaduto possa essere riammesso nell'attuale compagine consiliare, già reintegrata per effetto della surroga. Ed invero, alla luce delle considerazioni che precedono, il riacquistato possesso, per effetto della riabilitazione, dei requisiti morali indispensabili per l'accesso non può che consentire al riabilitato soltanto di partecipare alla successiva competizione elettorale. A conferma si evidenzia che sussistendo la causa ostativa al momento della candidatura, il consiglio comunale è tenuto a dichiarare la nullità dell'elezione pure nell'eventualità in cui, prima della convalida degli eletti, dovesse intervenire la riabilitazione. Conclusivamente, alla stregua di quanto sopra considerato, il soggetto de quo ha perso lo stato di consigliere comunale in forza di una disposizione di legge che non si ripristina per effetto di una sentenza di riabilitazione, che, si ribadisce, elimina solo la condizione ostativa a future eventuali partecipazioni a competizioni elettorali. Diverso sarebbe stato il caso in cui l'intervenuta decadenza fosse stata dichiarata, ad esempio, sulla base di una sentenza di condanna non concretizzante i presupposti previsti dal d.lgs. n.235/2012, oppure di una condanna rilevante ai sensi del più volte citato T.U., ma successivamente annullata in sede di giudizio per revocazione, che, a differenza della riabilitazione, opera ex tunc. Per quanto sin qui osservato, sorgono perplessità in ordine all'argomento posto all'ordine del giorno, che sembrerebbe potersi ricondurre alla fattispecie di "oggetto impossibile", trattandosi di una questione rispetto alla quale appare preclusa la possibilità giuridica di deliberazione da parte dell'organo consiliare. Infatti, in ossequio al principio di rappresentatività diretta, non pare ammissibile che l'organo consiliare sia chiamato a deliberare sulla possibilità di ripristinare lo stato di consigliere comunale legittimamente e irrimediabilmente perso per effetto dell'applicazione di una disposizione di legge imperativa. Tuttavia, essendo rimessa al presidente dell'assemblea la valutazione della ricorrenza dell'impossibilità dell'oggetto, nel caso in cui lo stesso dovesse procedere alla convocazione dell'organo ed il consiglio dovesse deliberare il reintegro della persona decaduta dalla carica, si segnala la necessità di proporre dinanzi al competente tribunale l'azione di cui all'art.70 del T.U.O.E.L..