Effetti della sentenza di riabilitazione di un consigliere comunale dichiarato decaduto

Territorio e autonomie locali
21 Luglio 2020
Categoria 
11 Controllo sugli Organi degli Enti Locali
Sintesi/Massima 

La pronuncia di riabilitazione consente la candidatura del consigliere dichiarato decaduto alla successiva competizione elettorale, ma non la sua riammissione nell’attuale compagine consiliare, già reintegrata per effetto della surroga.

Testo 

E’ stato chiesto l’orientamento di questo Ufficio circa la possibilità di reintegrare nel consiglio comunale, per effetto di una sentenza di riabilitazione, un consigliere dichiarato decaduto in seguito a una sentenza di condanna, ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo n. 235/2012.
Al riguardo, si osserva che il decreto legislativo n. 235/2012 ha abrogato gli articoli 58-59 del T.U.E.L. (rispettivamente relativi alle “Cause ostative alla candidatura” ed alla “Sospensione e decadenza di diritto”), che dettavano la disciplina delle cause di incandidabilità alle cariche elettive degli enti locali, originariamente contenuta, anche per le Regioni, nella legge n. 55/1990. Nel formulare la nuova disciplina delle cause ostative alla candidatura alle cariche elettive negli enti locali, il legislatore ha operato una ricognizione delle norme in materia già contenute nel T.U.E.L., introducendo, al contempo, ulteriori ipotesi di incandidabilità.
A chiusura del sistema delle incandidabilità, l’articolo 15 del decreto legislativo n. 235/2012, al comma 3, riproducendo sostanzialmente il contenuto del comma 5 dell’articolo 58 del T.U.E.L., stabilisce: “La sentenza di riabilitazione, ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, è l'unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilità…”. E’ il caso di precisare che per gli amministratori locali la riabilitazione costituisce l’unica causa di cessazione della condizione di incandidabilità, atteso che l’articolo 13 del decreto legislativo n. 235/2012 prevede una durata di detta condizione ostativa alla candidatura alle cariche elettive solo per i membri del parlamento nazionale ed europeo. Il succitato articolo 15 conferisce esclusivo rilievo all’intervenuta riabilitazione in sede penale, “rendendo in tal modo possibile evitare che l’esclusione dell’elettorato passivo, derivante dalla condanna definitiva, abbia una durata illimitata e si sottragga ad ogni possibilità di rimozione” (cfr. T.A.R. per il Lazio, sentenza n. 8696/2013).
Già sotto la vigenza dell’articolo 58 del T.U.E.L., la giurisprudenza costituzionale aveva chiarito che l’incandidabilità non rappresenta un aspetto del trattamento sanzionatorio penale derivante dalla commissione del reato, e nemmeno una autonoma sanzione collegata al reato medesimo, ma piuttosto l’espressione del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate, stabilito dal legislatore (Cfr. Corte cost., sent. 15 maggio 2001, n. 132).
In merito alla riabilitazione, la giurisprudenza di legittimità, con riguardo a quanto disposto dalla legge n. 55/1990, aveva precisato che “la causa ostativa non si applica solo a condizione che la pronuncia di riabilitazione sia intervenuta prima della presentazione della candidatura, attesa l’efficacia ex nunc di tale pronuncia, e senza che assuma, all’uopo, rilievo la data di presentazione della relativa domanda da parte dell’interessato” (Cass. civ., Sez. I, sent. 2 febbraio 2002, n. 1362). La Corte di Cassazione ha confermato questo principio anche successivamente, affermando che “Il sistema giurisprudenziale costituzionale sembra dunque lì aver individuato il fondamento di quelle previsioni nella necessità che, per il candidato o l’eletto, non deve «venir meno un requisito soggettivo essenziale per l’accesso o la permanenza nell’organo elettivo». Ed è in base a tale fondamento che deve ribadirsi l’orientamento già espresso da questa Corte, con la sentenza 1362/02. La legge ordinaria, bilanciando una pluralità di valori costituzionali, ha fatto prevalere quello, pure di rango parametrico più elevato, dell’accesso (e della permanenza) alle cariche pubbliche elettive soltanto di coloro che possiedono, al momento dell’elezione (o successivamente ad essa), i requisiti espressamente stabiliti dalla stessa legge per essere eletti (o per mantenere la carica elettiva)”(Cass. civ., Sez. I, sent. 8 marzo 2004, n. 7593). Secondo la Corte si tratta di “un vero e proprio interesse sostanziale alla salvaguardia della pari capacità elettorale dei cittadini […] che mira ad eliminare quei vantaggi ottenuti scorrettamente per questo o per quel candidato, illecitamente avvantaggiatosi con comportamenti “non virtuosi” sul piano dell’agire comune o nell’ambito delle funzioni pubbliche, per quanto successivamente essi non siano più censurati o censurabili, in ragione del buon comportamento tenuto dal suo autore, il quale potrà così tornare a competere anche nell’ambito elettorale” (sent. 8 marzo 2004, n. 7593 cit.).
Alla luce di quanto sopra, stante la sostanziale identità di disciplina dettata sul tema in esame dal decreto legislativo n. 235/2012 e dalla previgente normativa, è possibile confermare il principio espresso dalla Corte di Cassazione con le succitate sentenze, escludendo che il consigliere dichiarato decaduto in seguito a sentenza di condanna, sebbene riabilitato, possa rientrare a far parte del consiglio comunale. L’efficacia ex nunc della pronuncia di riabilitazione consentirà la candidatura alla successiva competizione elettorale, ma non la riammissione nell’attuale compagine consiliare, già reintegrata per effetto della surroga.