Giudizio instaurato tra l’ente e la società di cui il consigliere comunale è socio ma non amministratore. Non sussiste incompatibilità in quanto l'amministratore locale non è parte processuale nel giudizio con il Comune.
Alcuni consiglieri comunali hanno chiesto di conoscere se sussista incompatibilità all’esercizio della carica da parte del consigliere che risulta socio ma non amministratore di una società con la quale il comune ha in corso una controversia dinanzi al Tar.
Le cause d’incompatibilità di cui all’articolo 63 del decreto legislativo n. 267/2000 sono ascrivibili al novero delle c.d. incompatibilità d’interessi, in quanto hanno la finalità di impedire che possano concorrere all’esercizio delle funzioni di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli dell’istituzione locale o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l’imparzialità; l’amministratore, infatti, come specificato anche dalla giurisprudenza, non deve prestare il fianco al sospetto che la sua condotta possa essere orientata dall’intento di tutelare i propri interessi personali contrapposti a quelli dell’ente (cfr. Corte Cost., sent. 24 giugno 2003, n. 220; Id., 20 febbraio 1997, n. 44; v., anche, Cass. Civ., sez. I, sent. 4 maggio 2002, n. 6426).
In particolare, l’articolo 63, comma 1, n. 4), del succitato decreto legislativo, dispone testualmente che “Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale: […] colui che ha lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia […]”. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la nozione di “parte” cui si riferisce il menzionato articolo 63, comma 1, n. 4), del decreto legislativo n. 267/2000 n. 267/2000, assume carattere “tecnico”, ossia è da intendersi alla parte in senso processualistico, onde occorre la pendenza di un’effettiva controversia giudiziaria e non semplicemente una lite potenziale o un contrasto, potenziale o reale, di interessi (v., ex multis, Cass. Civ., sez. I, sent. 12 febbraio 2008, n. 3384; Id., sent. 24 febbraio 2005, n. 3904; Id., sent. 19 maggio 2001, n. 6880). La “lite”, invece, deve riflettere uno scontro di interessi tra le parti, che debbono risultare contrapposte. Per “lite pendente”, quindi, deve intendersi la “pendenza” di un’effettiva controversia giudiziaria e non è sufficiente la semplice constatazione dell’esistenza di un procedimento civile o amministrativo nel quale risultino coinvolti, attivamente o passivamente, l’eletto o l’ente, ma occorre che a tale dato formale corrisponda una concreta contrapposizione di parti, ossia una reale situazione di conflitto, onde sussiste l’esigenza di evitare che il conflitto di interessi che ha determinato la lite possa orientare le scelte dell’eletto in pregiudizio dell’ente amministrativo, o comunque, possa ingenerare all’esterno sospetti al riguardo (in questi termini Cass. Civ., sez. I, 28 luglio 2001, n. 10335).
Orbene, nel caso in esame, come già evidenziato da questo Ministero in precedenti pareri (si veda il parere prot. 10331 del 01 luglio 2019), non può ritenersi sussistente la causa di incompatibilità di cui all’art. 63, comma 1, n. 4 del T.U.O.E.L., in quanto l'amministratore locale non è parte processuale nel giudizio con il Comune, ma lo è la società di cui il consigliere comunale in questione detiene il 50% della proprietà. Peraltro, come evidenziato dalla giurisprudenza, l’incompatibilità non sussisterebbe neppure se l’amministratore locale fosse il legale rappresentante della società, in quanto, essendo la norma in questione limitativa del diritto di elettorato passivo, essa risulta di stretta interpretazione (Corte di Appello di Firenze, sentenza n. 263 del 23 settembre 2009).
Resta fermo che, in conformità al generale principio per cui ogni organo collegiale è competente a deliberare sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la verifica delle cause ostative all’assunzione del mandato elettivo è compiuta con la procedura prevista dall’art. 69 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che garantisce il contraddittorio tra organo ed amministratore, assicurando a quest’ultimo l’esercizio del diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la preclusione contestata (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 10 luglio 2004, n. 12809; Id., sentenza 12 novembre 1999, n. 12529).