Rappresentanza di genere. Comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti

Territorio e autonomie locali
21 Luglio 2017
Categoria 
05.03 Giunte comunali e provinciali
Sintesi/Massima 

 Parità di genere comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti. Si ritiene che  per i   comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti  debbano trovare applicazione le disposizioni contenute nei citati  articoli  6, comma 3 e  46, comma 2, del decreto legislativo n. 267/00 e nella legge n. 215/12. Tali disposizioni, recependo i principi sulle pari opportunità dettati dall’art. 51 della Costituzione, dall’art. 1 del decreto legislativo dell’11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità) e dall’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,  non hanno un mero valore programmatico, ma carattere precettivo, finalizzato a rendere effettiva la partecipazione di entrambi i sessi in condizioni di pari opportunità, alla vita istituzionale degli enti territoriali.  

Testo 

E’ stata trasmessa la richiesta di parere in ordine all’applicazione della normativa vigente in tema di parità di genere per i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti, formulata dal Comune di ….
Come noto,  il  comma 137 della  legge n. 56/14 dispone  che “nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40%, con arrotondamento aritmetico”.
Per quanto concerne i comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti, occorre tenere conto che ai  sensi dell’art. 6, comma 3, del  decreto legislativo n. 267/00, come modificato dalla legge n. 215/12, è previsto che gli statuti comunali e provinciali stabiliscano norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
L’art 2, comma 1, lett. b) della stessa legge n.  215/12   ha  modificato  l’art. 46, comma 2, del T.U.O.E.L. disponendo che il sindaco ed il presidente nella provincia nominano i componenti della giunta “nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi”.
La normativa va letta alla luce dell’art. 51 della Costituzione, come modificato dalla  legge costituzionale n. 1/2003, che ha riconosciuto dignità  costituzionale al principio della  promozione della pari opportunità  tra donne e uomini.
Pertanto si ritiene che  per i   comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti  debbano trovare applicazione le disposizioni contenute nei citati  articoli  6, comma 3 e  46, comma 2, del decreto legislativo n. 267/00 e nella legge n. 215/12. Tali disposizioni, recependo i principi sulle pari opportunità dettati dall’art. 51 della Costituzione, dall’art. 1 del decreto legislativo dell’11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità) e dall’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,  non hanno un mero valore programmatico, ma carattere precettivo, finalizzato a rendere effettiva la partecipazione di entrambi i sessi in condizioni di pari opportunità, alla vita istituzionale degli enti territoriali.
Sulla questione,  il Consiglio di Stato,  nel parere n. 93, del 15 gennaio 2015 reso su richiesta della scrivente Amministrazione con riferimento all’applicazione della legge n. 215 del 2012 in materia di parità di genere degli organi giuntali, ha formulato una serie di considerazioni in ordine alla  validità delle deliberazioni di Giunta adottate dagli organi composti da soli uomini, in violazione della legge n. 215/12. In proposito, il supremo Consesso ha considerato distintamente due ipotesi: una prima riferita al caso in cui l’atto deliberativo sia stato adottato mentre è pendente ricorso giurisdizionale avverso l’irregolare composizione dell’organo. In questo caso l’organo in carica si presume validamente costituito sino al deposito della sentenza che ne accerta l’illegittima composizione. Fino a quel momento la Giunta  dispone dei pieni poteri e i relativi atti beneficiano del principio della continuità degli organi amministrativi. La seconda ipotesi è riconducibile al caso in cui l’atto deliberativo sia stato adottato da un organo la cui irregolare composizione non sia stata impugnata. Se non impugnato nei termini, l’atto  è divenuto inoppugnabile ed acquistato stabilità, fatto  salvo l’esercizio del potere di autotutela della Amministrazione, ove ne ricorrano i presupposti.
Infine, per quanto concerne la possibilità di pervenire alla nomina di assessori esterni, si richiama quanto osservato dalla scrivente amministrazione con circolare n. 6508 del 24.4.2014, nella quale gli enti locali  sono stati invitati a valutare l’opportunità di  procedere alle modifiche statutarie  funzionali alla piena attuazione del principio di parità di genere introducendo la possibilità di ricorrere alla nomina di assessori privi dello status di  consigliere  comunale.