Parità di genere nelle giunte ex art. 1, comma 137, legge 56/2014. Il Consiglio di Stato, sez. V, n. 4626, del 5/10/2015, ha precisato che tutti gli atti adottati nella vigenza dell’art. 1, comma 137, citato trovano in esso “un ineludibile parametro di legittimità” e, pertanto, un’interpretazione che riferisse l’applicazione della norma alle sole nomine assessorili effettuate all’indomani delle elezioni e non anche a quelle adottate in corso di consiliatura consentirebbe un facile aggiramento della suddetta normativa.
Obbligo di astensione. Va escluso che, per il fatto di essersi avvalso della facolta’ di delega ad un assessore nella materia urbanistica, edilizia e lavori pubblici, il sindaco possa ritenersi esonerato dall’osservanza dell’obbligo di astensione dall’esercitare, nel territorio da lui amministrato, attività professionale di architetto in materia di edilizia privata e pubblica (cfr. Corte di Cassazione, Sezione II Civile, sentenza 19 luglio 2016, n. 14764).
Si fa riferimento alla mail sopradistinta con la quale è stato chiesto di conoscere l’avviso di questo Dipartimento in ordine alla ipotizzabile violazione dell’art. 1, comma 137, della legge n. 56/14, in materia di parità di genere nella composizione della giunta ed all’eventuale applicazione delle disposizioni di cui all’art. 78, comma 3, del T.U.O.E.L., nei confronti del sindaco e del vicesindaco del comune di… , in quanto svolgenti la professione di geometra in ambito locale.
In ordine al primo punto si osserva che, come noto, il comma 137, della legge n. 56/14 dispone che “nelle giunte dei comuni con popolazione superiore ai 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40%, con arrotondamento aritmetico”.
Al riguardo, si fa osserva che il Consiglio di Stato, sez. V, n. 4626, del 5/10/2015, ha precisato che tutti gli atti adottati nella vigenza dell’art. 1, comma 137, citato trovano in esso “un ineludibile parametro di legittimità” e, pertanto, un’interpretazione che riferisse l’applicazione della norma alle sole nomine assessorili effettuate all’indomani delle elezioni e non anche a quelle adottate in corso di consiliatura consentirebbe un facile aggiramento della suddetta normativa.
Con riferimento alla adeguatezza dell’istruttoria effettuata dal sindaco e del corredo motivazionale addotto quale giustificazione del mancato rispetto della normativa in questione, appare utile richiamare la sentenza n. 1 del 2015 con la quale il Tar Calabria, Sez. Catanzaro, nel pronunciare l’annullamento del decreto di nomina della giunta, ha ritenuto che l’atto impugnato fosse sprovvisto di adeguata istruttoria finalizzata al reperimento di “… idonee personalità di sesso femminile nella società civile, nell’ambito del bacino territoriale di riferimento, limitandosi a comprovare soltanto la rinuncia di due consigliere.”. (cfr Tar Calabria sentenze nn. 2,3 e 4 del 2015).
Da ultimo, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 406/2016, ha osservato che l’effettiva impossibilità di assicurare nella composizione della giunta comunale la presenza dei due generi nella misura stabilita dalla legge deve essere “adeguatamente provata”.
Nella citata pronuncia, il Supremo Consesso Amministrativo ha, inoltre, dato conto della ragionevolezza delle indicazioni fornite dalla scrivente amministrazione nella circolare n. 6508 del 24.4.2014 laddove si fa presente che occorre lo svolgimento di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità dello svolgimento delle funzioni assessorili da parte di persone di entrambi i generi e di fornire un’adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicabilità del principio di pari opportunità.
Tanto premesso, si osserva che il vigente ordinamento non prevede poteri di controllo di legittimità sugli atti degli enti locali in capo a questa Amministrazione e, pertanto, gli eventuali vizi di legittimità degli atti adottati potranno essere fatti valere nelle competenti sedi.
Con riferimento al secondo quesito si osserva che con l’art. 78 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 vengono dettate disposizioni in materia di comportamento degli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni, in particolare, il comma 3, prevede che i componenti della giunta comunale competenti in materia urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall’esercitare attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato.
Con tale norma il legislatore ha inteso disciplinare l’attività professionale privata dei titolari di uffici pubblici nell'ambito del territorio da essi amministrato, in special modo in quei settori potenzialmente conflittuali con gli interessi dell'ente a garanzia dell'imparzialità dell'azione amministrativa e si rivolge a coloro che svolgono, in proprio, un'attività libero-professionale nel medesimo delicato settore, nel quale, come pubblici amministratori, sono chiamati a tutelare gli interessi della collettività territoriale.
Destinatari della norma sono i componenti la giunta comunale ivi indicati, i quali, “in materia di edilizia privata e pubblica”, forniscano prestazioni di carattere prevalentemente intellettuale, che richiedono il possesso di specifici requisiti di formazione culturale e tecnica (titoli di studio ed iscrizione ai relativi albi, ordini o collegi). L'attività in questione è connotata da autonomia nella scelta della modalità per il raggiungimento dello scopo, con conseguente assunzione di responsabilità personali.
In tal senso, la giurisprudenza ha chiarito che l'obbligo di astensione è “diretto non solo ad evitare che il professionista tragga vantaggio nella sua attività professionale dal mandato pubblico rivestito, ma anche a precludere, per ragioni di trasparenza e buon andamento dell'amministrazione dell'ente territoriale, che l’esercizio delle funzioni collegate a tale mandato sia sviato dall'interesse personale dell’amministratore”.
Tra i destinatari dell’obbligo di astensione dall’esercitare l’attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio comunale rientrano non solo gli assessori cui siano state conferite deleghe nei settori dell’urbanistica, dell’edilizia e dei lavori pubblici, ma anche lo stesso sindaco, sul quale, come organo responsabile dell’amministrazione comunale e presidente della giunta, grava l’onere di sovrintendere su tutte le attività del Comune, anche su quelle delegate.
Tale interpretazione trova conferma nella stessa lettera della disposizione dell’art. 78, comma 3, del testo unico, il quale, per indicare i destinatari dell’obbligo di astensione, impiega la locuzione "componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici", non quella di assessori all’urbanistica, all’edilizia e ai lavori pubblici. Da un punto di vista sistematico, inoltre, occorre considerare che, anche nelle ipotesi in cui si avvalga della facolta’ di delega, il sindaco conserva, in ogni caso, la titolarita’ delle competenze, mantenendo verso il delegato assessore i poteri di direttiva e di vigilanza, oltre a quelli di nomina e di revoca.
Va pertanto escluso che, per il fatto di essersi avvalso della facolta’ di delega ad un assessore nella materia urbanistica, edilizia e lavori pubblici, il sindaco possa ritenersi esonerato dall’osservanza dell’obbligo di astensione dall’esercitare, nel territorio da lui amministrato, attività professionale di architetto in materia di edilizia privata e pubblica (cfr. Corte di Cassazione, Sezione II Civile, sentenza 19 luglio 2016, n. 14764).
Come anche evidenziato da codesta Prefettura, la sentenza della Corte di Appello di Salerno n. 270/2000, ha precisato che la disposizione in argomento non prevede una causa di incompatibilità in senso tecnico.
Infatti, il dato testuale non enuncia, neanche in modo indiretto, che l’inosservanza del divieto di astensione reagisca negativamente sulla carica ricoperta ed il principio che le norme in tema di limitazione del diritto di elettorato passivo sono di stretta interpretazione non consente un ampliamento del regime positivo vigente in materia, in assenza di un precetto espresso ed inequivocabile (Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza 24 maggio 1994, n. 5076 per l'analoga ipotesi di cui all'art. 78, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).
In proposito si richiama il pacifico orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale la regola dell’astensione, enunciata dal comma 2 dell’articolo in parola, deve trovare applicazione in tutti i casi in cui, per ragioni di ordine obiettivo, l’amministratore locale non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare, con la precisazione che il concetto di “interesse” comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà verso una qualsiasi utilità, che si possa ricavare dal contribuire all’adozione di una delibera ( cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 4 novembre 2003, n. 7050; Id., sentenza 28 gennaio 2011, n.693; Id., sentenza 25 settembre 2014, n. 4806).
In ogni caso, come evidenziato anche da codesto Ufficio, rileva in materia la personale responsabilità politica e deontologica dei soggetti interessati, tenuti, come tutti i pubblici amministratori, ad adottare comportamenti improntati all’imparzialità ed al principio di buona amministrazione, stante il dettato del primo comma del più volte citato art. 78.
Da ultimo, in riferimento all’applicazione dell’art. 63 del TUOEL nei confronti del sindaco, nel condividere le osservazioni formulate da codesta prefettura sull’argomento, si richiama la consolidata giurisprudenza del giudice di legittimità (Cass. Civ. sent. n. 11959 dell’8 agosto 2003, Sez. I, ord. N. 550 del 16 gennaio 2004) che ha chiarito come la norma sia volta ad evitare il pericolo di deviazioni nell’esercizio del mandato da parte degli eletti, ed il conflitto anche solo potenziale, che la medesima persona sarebbe chiamata a dirimere se dovesse sceg1iere tra l’interesse che deve tutelare in quanto amministratore del comune che di quel servizio fruisce.
L'incompatibilità in questione, ove si verificasse in concreto, dovrebbe essere posta all’attenzione del Consiglio comunale, onde evitare pregiudizi all’ente, nel pieno rispetto della normativa volta a garantire il legittimo espletamento della carica elettiva.