Referendum consultivi. Ai sensi dell’art. 8 del dlgs 267/2000, nello statuto possono essere previsti referendum su materie di esclusiva competenza locale. Alla luce delle pronunce del Consiglio di Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3769 e del TAR Veneto, Venezia, sez. II, 21 marzo 2007, n. 807, “le consultazioni costituiscono strumento di partecipazione popolare all’elaborazione delle scelte amministrative, non strumento di verifica a posteriori da parte dei cittadini di scelte già definite con formali provvedimenti amministrativi (…). L’attività consultiva, per propria natura, deve precedere l’attività decisionale, non seguirla”.
Si fa riferimento alla mail sopradistinta con la quale è stata trasmessa la richiesta del comune di . in ordine all'ammissibilità di un referendum comunale sul passaggio dello stesso comune alla competenza di una istituenda A.S.L..
Al riguardo si osserva, in linea generale, che l'ordinamento italiano presta una particolare attenzione alla partecipazione diretta del cittadino nella vita delle Istituzioni locali.
Giova ricordare in proposito, che l'Italia ha fatto propri i principi della Carta Europea dell'autonomia locale a cui ha aderito sottoscrivendo la relativa convenzione, poi ratificata con la legge 30 dicembre 1989, n. 439.
L'articolo 3 della Carta, al comma 2, riconoscendo alle collettività locali il diritto di regolamentare ed amministrare, nell'ambito della legge, una parte importante di affari pubblici mediante Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto e universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti, ha precisato, altresì, che 'detta disposizione non pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge'.
Gli istituti di partecipazione e gli organismi consultivi del cittadino trovano una loro concretizzazione nel T.U.O.E.L. n. 267/00 e, indipendentemente dalla dimensione demografica dell'ente, fanno parte del contenuto necessario e non meramente facoltativo dello statuto.
Un rinvio allo statuto è previsto dal comma 3 dell'art. 8 del citato decreto legislativo n. 267/00 in merito alla previsione di forme di consultazione della popolazione, nonché alle procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi con la determinazione delle garanzie per il loro tempestivo esame.
La norma dispone che 'possono' essere, altresì, previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini, che devono comunque riguardare materie di esclusiva competenza locale.
Il referendum, si configura, dunque, quale elemento meramente eventuale e facoltativo dello statuto comunale che una volta previsto deve essere compiutamente disciplinato dal regolamento.
Rispetto alla normativa previgente è stata ampliata la valenza dell'istituto del referendum popolare, attualmente configurabile non più solo come consultivo (unica tipologia prevista nell'originale formulazione della legge n. 142 del 1990 e volta a consentire la consultazione della popolazione su rilevanti questioni di interesse locale), ma anche come abrogativo (di provvedimenti a carattere generale degli organi istituzionali e burocratici dell'ente), propositivo (per approvare proposte di atti avanzate dalla stessa amministrazione o da altri soggetti), confermativo, di indirizzo e oppositivo-sospensivo.
Come emerge dalla prevalente dottrina, il più volte citato T.U.O.E.L. nulla dice circa l'effetto dell'esito del referendum consultivo e gli statuti comunali tendono ad escludere che l'esito sia vincolante per l'amministrazione, preferendo precisare che l'ente locale possa discostarsi dallo stesso, con adeguata motivazione, al fine di tutelare la piena autonomia politica del consiglio.
In tal senso, si è anche affermato che il potere statutario in materia resta ampio con riguardo all'oggetto del referendum (che è sufficiente che rientri tra le materie di competenza esclusiva dell'ente), alla determinazione del numero dei partecipanti per la sua validità e alla possibilità di prevedere effetti consequenziali per l'amministrazione locale legati all'esito del referendum, con il solo limite della conservazione del potere decisionale in capo agli organi di governo.
La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha affermato che 'il referendum consultivo impone solo all'amministrazione che lo ha indetto di tener conto della volontà popolare, ma non esplica alcun effetto sull'azione amministrativa che ne è stato oggetto, né tanto meno su vicende successive o di altre amministrazioni, né la volontà popolare espressa con il referendum è idonea ad attribuire all'ente locale poteri estranei alla sfera di attribuzioni fissate con legge' (TAR Puglia, Bari, sez. II, 10 marzo 2003, n. 1098).
Nel caso in esame, lo Statuto del comune di ., prevede all'articolo 61 l'istituto del referendum comunale su materie concernenti la sfera esclusiva di competenza comunale con talune eccezioni ben individuate, mentre l'articolo 62, comma 2 stabilisce che 'il consiglio comunale entro un mese dallo svolgimento deve deliberare prendendo atto dell'esito ed assumendo le determinazioni del caso'.
Solo il regolamento, all'articolo 1 precisa che il referendum è a carattere consultivo.
L'articolo 2 dello stesso regolamento recita che 'i referendum che possono essere dichiarati non ammissibili dal Consiglio comunale sono solo ed esclusivamente quelli a carattere non consultivo e/o nelle materie elencate all'art. 61, comma 1 dello statuto'.
Peraltro, il regolamento comunale contiene una norma transitoria (art. 22) che in relazione alla specifica iniziativa referendaria oggetto dell'odierno quesito, stabilisce delle prescrizioni tecniche in deroga al contenuto generale del medesimo provvedimento normativo.
Riguardo alla presente fattispecie, occorre valutare se la materia oggetto di referendum rientri nella specifica competenza del Consiglio comunale come richiesto dall'articolo 61 dello Statuto.
In proposito si rileva che la legge regionale Toscana 16 marzo 2015, n. 28, all'articolo 8 ha già proceduto all'accorpamento delle aziende unità sanitarie locali, che diventerà operativo a far data dall'1 gennaio 2016.
La medesima legge n. 28/2015, all'articolo 9 mantiene l'istituzione della Conferenza regionale dei sindaci, - già disciplinata dall'art. 11 della legge n. 40/2005 e composta dai presidenti delle conferenze zonali dei sindaci di cui all'articolo 34 della L.R. 41/2005 ove partecipano tutti i sindaci dell'ambito territoriale - quale organo attraverso cui tali soggetti contribuiscono, tra l'altro, alla definizione delle politiche regionali in materia sanitaria e sociale.
L'Ente, pertanto, attraverso i predetti organi costituiti con legge regionale era in condizione di potere esprimere le proprie posizioni in materia.
Ciò posto, considerato che la Regione Toscana ha già provveduto a legiferare sulla materia, l'iniziativa non pare ammissibile alla luce anche delle pronunce del Consiglio di Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3769 e del TAR Veneto, Venezia, sez. II, 21 marzo 2007, n. 807, secondo cui 'le consultazioni costituiscono strumento di partecipazione popolare all'elaborazione delle scelte amministrative, non strumento di verifica a posteriori da parte dei cittadini di scelte già definite con formali provvedimenti amministrativi (.). L'attività consultiva, per propria natura, deve precedere l'attività decisionale, non seguirla'.