INCOMPATIBILITA' EX ART. 10 DELLA LEGGE REGIONE SICILIA 24 GIUGNO 1986 N. 31. INCOMPATIBILITA' PER VICESINDACO CHE DETIENE UNA PARTECIPAZIONE PARI AL 34% IN UNA S.R.L. A CUI E' AFFIDATO IL SERVIZIO DI MANUTENZIONE HARDWARE, ASSISTENZA E MANUTENZIONE DEL S

Territorio e autonomie locali
30 Dicembre 2014
Categoria 
12.01.04 Incompatibilità
Sintesi/Massima 

L'EVENTUALE SUSSITENZA DI UNA CAUSA DI INCOMPATIBILITA' E' RIMESSA AL CONSIGLIO COMUNALE.

Testo 

Classifica 15900/TU/00/63 Roma, 30 dicembre 2014

OGGETTO: Comune di ....... Incompatibilità ex art. 10 della legge della regione Sicilia 24 giugno 1986, n. 31. Quesito.

Con la nota allegata il segretario generale reggente del comune di ...... ha chiesto l'avviso di questo Ministero in ordine all'eventuale esistenza di una causa di incompatibilità nei confronti del vicesindaco dell'ente, che detiene una partecipazione pari al 34% in una società a responsabilità limitata, alla quale è affidato il servizio di manutenzione hardware, assistenza e manutenzione del sistema di fonia dati e server dell'amministrazione comunale.
È stato altresì precisato che l'amministratore unico della società in questione è legato da un rapporto di affinità di secondo grado al predetto amministratore locale, il quale è solo socio di capitale e non è titolare di alcun potere di rappresentanza.
Al riguardo, è sorto il dubbio che possa trovare applicazione una delle ipotesi di incompatibilità dettate per i consiglieri comunali dall'art. 10 della legge della regione Sicilia 24 giugno 1986, n. 31, applicabili anche ai componenti della giunta in forza dell'art. 12, comma 2, della legge regionale 26 agosto 1992, n. 7.
Nella specie, potrebbe rilevare il dettato del comma 1, n. 2), del citato art. 10, ai sensi del quale -Non può ricoprire la carica di consigliere provinciale, comunale o di quartiere: 2) colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, rispettivamente, nell'interesse della provincia o del comune (omissis)-.
Ciò stante, preliminarmente si evidenzia che, come chiarito in giurisprudenza con riferimento all'analoga fattispecie prevista dall'art. 63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le preclusioni di che trattasi, ascrivibili al novero delle c.d. incompatibilità di interessi, hanno la finalità di impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l'imparzialità (cfr. Corte costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997, n. 44; Id., sentenza 24 giugno 2003, n. 220).
In particolare, la situazione di incompatibilità in questione è ravvisabile in presenza di un duplice presupposto: il primo di natura soggettiva ed il secondo di natura oggettiva.
Sul piano soggettivo, è necessario che l'interessato rivesta la qualità di 'titolare' (ad esempio, di impresa individuale) o di 'amministratore' (ad esempio, di società di persone o di capitali) ovvero di 'dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento', quale può essere, a titolo esemplificativo, l'institore o il procuratore di un'impresa commerciale o il direttore generale di una società per azioni. L'ampia formulazione della norma, per un verso, dimostra che le menzionate qualità soggettive devono risolversi, in definitiva, in poteri di gestione e/o di decisione relativamente all'appalto; per altro verso, legittima il ricorso ad una eventuale interpretazione estensiva della disposizione.
Dal punto di vista oggettivo, l'amministratore locale, rivestito di una delle predette qualità, in tanto può considerarsi incompatibile, in quanto abbia parte in appalti nell'interesse del comune. L'espressione 'avere parte' è qui usata per indicare una contrapposizione tra l'interesse particolare del soggetto, in ipotesi incompatibile, e l'interesse del comune, istituzionalmente generale e, quindi, una situazione di potenziale conflitto rispetto all'esercizio imparziale della carica elettiva. Ne discende che la nozione di partecipazione deve assumere un significato il più possibile esteso e flessibile, al fine di potervi ricomprendere forme di partecipazione eterogenee, e che è irrilevante la natura, pubblicistica o privatistica, dello strumento prescelto dall'ente locale per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali.
In altri termini, se un imprenditore ha parte, nel senso sopra indicato, in un appalto, al quale l'ente è interessato, lo stesso non è idoneo, secondo la previsione tipica del legislatore, ad adempiere imparzialmente i doveri connessi al suo ruolo istituzionale (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 22 dicembre 2011, n. 28504; Id., sentenza 16 gennaio 2004, n. 550; Id., sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Id., sentenza 17 aprile 1993, n. 4557).
Orbene, atteso che, in base alla documentazione qui pervenuta, il vicesindaco del comune di ....... non riveste alcuna delle qualità indicate dalla norma nell'ambito della società affidataria dell'appalto, sembra ragionevole ritenere che, nella fattispecie, non sussista la prospettata situazione ostativa all'esercizio del mandato elettivo.
Ciò anche per la considerazione che le disposizioni che stabiliscono ipotesi di incompatibilità, pur essendo suscettibili di interpretazione estensiva, si sostanziano in una limitazione al diritto di elettorato passivo, costituzionalmente garantito, e, pertanto, sono di stretta interpretazione ed applicazione (ex multis, Corte costituzionale, sentenza 9 novembre 1988, n. 1020; Id., sentenza 20 febbraio 1997, n. 44; Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 22 dicembre 2011, n. 28504; Id., sentenza 27 marzo 2008, n. 8031; Id., sentenza 14 gennaio 2008, n. 626; Id., sentenza 11 marzo 2005, n. 5449).
Nondimeno, non può trascurarsi che la peculiarità del caso concreto è data dalla circostanza che l'amministratore unico della società affidataria dell'appalto presenta un vincolo di affinità di secondo grado nei confronti del vicesindaco.
Si ritiene allora utile rammentare l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale gli avverbi -direttamente o indirettamente-, che nel testo della disposizione normativa seguono la locuzione -ha parte-, devono intendersi riferiti non già alla richiamata condizione oggettiva, ma a quella soggettiva. In tale direzione, militano sia valutazioni di ordine sistematico sia la considerazione che, se riferiti al requisito oggettivo della partecipazione all'appalto, gli avverbi in parola amplierebbero oltremodo la sfera di operatività della preclusione, la quale finirebbe così per perdere il carattere di limitazione eccezionale rispetto al generale diritto di elettorato passivo.
In tal modo, il legislatore -ha inteso, specificamente, rafforzare l'effettività della norma e limitare il predetto diritto non soltanto nei confronti del soggetto, al quale, in ragione della partecipazione all'appalto con una determinata qualità soggettiva (titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento), il conflitto di interessi sia immediatamente (e formalmente) riferibile, ma anche, con un chiarissimo scopo 'antielusivo', nei confronti del soggetto che, al di là della qualità soggettiva di colui che partecipa 'formalmente' all'appalto, debba, secondo le circostanze del caso concreto, considerarsi il reale portatore dell'interesse 'particolare' potenzialmente confliggente con quelli 'generali' connessi all'esercizio della carica elettiva-. Sotto tale profilo, la giurisprudenza fa riferimento, in via esemplificativa, alle ipotesi di interposizione fittizia di persona ovvero a situazioni di collegamento o di controllo societario prefigurate dall'art. 2359 del codice civile (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 550/2004, cit; Id., sentenza n. 11959/2003, cit.).
Si tratta di un'indagine di fatto, che non appare evidentemente praticabile in questa sede e che richiede un rigoroso accertamento in ordine al portatore 'sostanziale' e non meramente 'formale' dell'interesse particolare potenzialmente confliggente con quello dell'istituzione locale.
Sotto questo profilo, la valutazione circa l'eventuale sussistenza di una causa di incompatibilità è rimessa al consiglio comunale, in conformità al generale principio per cui ogni organo collegiale è competente a deliberare sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 10 luglio 2004, n. 12809; Id., sentenza 12 novembre 1999, n. 12529).
Di quanto precede si prega di voler fare comunicazione all'interessato.