LA RINUNCIA AGLI ATTI DEL GIUDIZIO E' IDONEA A FAR VENIR MENO LA PROSPETTATA CONDIZIONE INCOMPATIBILITA'.LA CIRCOSTANZA CHE LA CAUSA PROSEGUA TRA IL COMUNE ED IL CONGIUNTO DEL CONSIGLIERE COMUNALE E' PRIVA DI RILEVANZA.
Classifica 15900/TU/00/63 Roma, 10 settembre 2014
OGGETTO: Incompatibilità per lite pendente, ex art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Quesito.
Con la nota sopra indicata codesta Prefettura ha trasmesso, il quesito, con il quale il comune di .... ha chiesto l'avviso di questo Ministero in ordine all'eventuale esistenza della causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 4), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nei confronti di un consigliere comunale, che, congiuntamente al fratello, ha citato in giudizio l'ente, chiedendo il risarcimento dei presunti danni subiti da un terreno, di cui gli istanti sono comproprietari.
È stato altresì precisato che il consiglio comunale ha attivato la procedura prevista dall'art. 69 del citato decreto legislativo n. 267 del 2000 e che, nel termine di dieci giorni ivi previsto, è pervenuta una formale rinuncia agli atti del giudizio da parte dell'amministratore di che trattasi, per cui la causa è tuttora pendente solo nei riguardi del fratello dello stesso.
In proposito, si evidenzia che le cause di incompatibilità di cui alla norma citata, ascrivibili al novero delle c.d. incompatibilità d'interessi, hanno la finalità di impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli dell'ente locale o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l'imparzialità (cfr. Corte costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997, n. 44; Id., sentenza 24 giugno 2003, n. 220).
In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che, ai fini che qui interessano, il concetto tecnico di 'parte del giudizio' ha portata essenzialmente processuale e -non è, pertanto, riferibile (in chiave sostanzialistica) alla diversa figura del 'soggetto interessato all'esito della lite' per le ricadute patrimoniali che possano derivargliene-.
Invero, nel disciplinare (in termini di incompatibilità e non più di ineleggibilità) l'ipotesi della lite pendente, l'art. 3, n. 3, della legge 23 aprile 1981, n. 154, recepito sul punto dal menzionato art. 63, comma 1, n. 4, ha inteso correlare la causa ostativa all'espletamento del mandato elettivo ad una lite effettivamente pendente. -Ciò anche al fine di superare gli ostacoli alla rimovibilità della situazione di incompatibilità – ed alla piena esplicazione del diritto di elettorato passivo – altrimenti sussistenti nelle ipotesi di imminente, ed ineliminabile, interesse all'esito della lite da parte dell'eletto che pur abbia rinunziato al giudizio- (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 19 maggio 2001, n. 6880).
Alla luce di quanto precede, si ritiene che la rinuncia agli atti del giudizio sia idonea a far venire meno la prospettata condizione di incompatibilità. Sotto tale profilo, la circostanza che la causa prosegua tra il comune ed il congiunto del consigliere comunale è priva di rilevanza giuridica in relazione agli effetti sostanziali della rinuncia, atteso che il rinunciante perde la qualità di parte in senso processuale nell'accezione sopra delineata (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 12 febbraio 2008, n. 3384; Id., sentenza 24 febbraio 2005, n. 3904; Id., sentenza 23 luglio 1990, n. 7457; Id., sentenza 30 aprile 1992, n. 5216).
In tal senso, depone altresì la considerazione che le fattispecie disciplinate dall'art. 63 del decreto legislativo n. 267 del 2000, sostanziandosi in una limitazione al diritto di elettorato passivo costituzionalmente garantito, sono di stretta interpretazione ed applicazione (ex multis, Corte costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997, n. 44; Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 22 dicembre 2011, n. 28504; Id., sentenza 11 marzo 2005, n. 5449).