INCOMPATIBILITAì CONSIGLIERE COMUNALE PER LITE PENDENTE. ESIMENTE DEL FATTO CONNESSO ALL'ESERCIZIO DEL MANDATO. QUESITO

Territorio e autonomie locali
15 Aprile 2014
Categoria 
12.01.04 Incompatibilità
Sintesi/Massima 

SI RICHIAMA IL PARERE PUBBLICATO IN DATA 14 APRILE 2014 - PER MERO ERRORE DI DIGITAZIONE NELLA MASSIMA E' DA INTERNDERSI NON OPERA L'ESIMENTE.......................................................

Testo 

Classifica 15900/TU/00/63 Roma, 14 aprile 2014

OGGETTO: Incompatibilità consigliere comunale per lite pendente. Esimente del fatto connesso all'esercizio del mandato. Quesito.

Si fa riferimento alla nota sopra indicata, con la quale codesto Comune ha chiesto l'avviso di questo Ministero in ordine all'eventuale sussistenza della esimente di cui all'art. 63, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, relativamente all'ipotesi di una lite promossa da un consigliere comunale nei confronti dell'ente per il risarcimento dei danni subiti, in conseguenza di un sinistro occorso nei locali della sede comunale, al termine di una seduta dell'organo consiliare.
Come noto, il comma 1, n. 4, del menzionato art. 63 dispone che non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale -colui che ha lite pendente, in quanto parte in un procedimento civile o amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia-.
La giurisprudenza ha chiarito che la ratio dell'incompatibilità in parola risiede nell'esigenza che l'amministratore locale eserciti le funzioni istituzionali in modo trasparente ed imparziale, senza prestare il fianco al sospetto che la sua condotta possa essere orientata dall'intento di tutelare il proprio interesse personale contrapposto a quello dell'ente (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 4 maggio 2002, n. 6426).
Il successivo comma 3 della norma precisa che l'ipotesi di che trattasi -non si applica agli amministratori per fatto connesso con l'esercizio del mandato-.
Tale esimente trova fondamento nella necessità di evitare che liti pretestuose o strumentali possano prendere spunto da comportamenti tenuti dal consigliere nell'esercizio del mandato e finalizzati al perseguimento degli interessi della collettività, per creare una fittizia causa d'incompatibilità.
In tal senso, l'indagine ermeneutica da compiere deve svolgersi su due piani: il primo diretto a ricostruire il fatto rilevante nel quadro della fattispecie normativa; il secondo inteso a verificare l'esistenza di un rapporto di connessione tra quel fatto e l'esercizio del mandato.
Sotto il primo profilo, il fatto rilevante è il fatto generatore della lite, vale a dire quello che, avendo riguardo alla fattispecie nella sua complessità, ha dato origine alla controversia. Nel caso in esame, esso è identificabile nel sinistro occorso all'amministratore al termine di una riunione dell'organo consiliare, mentre scendeva la rampa di scale, che dal primo piano del palazzo comunale, dove si trova la sala del consiglio, conduce all'uscita.
In ordine poi al rapporto di connessione, la lettera della norma è univoca nel richiedere che il fatto debba essere collegato all'esercizio del mandato istituzionale. In altri termini, il fatto idoneo ad escludere l'incompatibilità è solo quello inerente alla funzione di pubblico amministratore, e cioè tale da sostanziarsi in un atto o comportamento che all'esercizio di quella funzione sia correlato, in quanto concorrente al perseguimento degli interessi generali propri di essa (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 18 dicembre 2007, n. 26673; Id., sentenza n. 6426/2002 cit.).
Tanto premesso in linea generale, si evidenzia che con riferimento alle ipotesi di pretese patrimoniali azionate da un amministratore locale nei confronti dell'ente di appartenenza, la giurisprudenza appare diversamente orientata, a seconda dell'oggetto del contendere.
Per un verso, infatti, si è ritenuto che l'incompatibilità sussista laddove la lite riguardi la riscossione dell'indennità di carica, in quanto tale pretesa trova occasione nell'esercizio del mandato, ma non si traduce in espletamento delle funzioni istituzionali e non è finalizzata al perseguimento di interessi generali (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 27 febbraio 2008, n. 5211; Id., sentenza n. 6426/2002, cit.).
Per altro verso, la deroga prevista dall'art. 63, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000 è stata considerata applicabile in relazione ad una lite insorta per il rimborso delle spese processuali sopportate da un amministratore locale in relazione ad un procedimento penale nel quale sia stato assolto, purché tale procedimento non abbia riguardato fatti personali dell'amministratore medesimo, ma comportamenti correlati ai suoi compiti istituzionali (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 28 maggio 2009, n. 16053; Id., sentenza n. 26673/2007 cit.; Id., sentenza 24 ottobre 2000, n. 15845).
La fattispecie oggetto del presente quesito non risulta inquadrabile in nessuna delle ipotesi analizzate dalla giurisprudenza e si presenta di non agevole soluzione, atteso che il fatto che ha dato origine al contenzioso (il sinistro occorso) si sostanzia in un evento del tutto occasionale ed accidentale.
Nel ricercare la soluzione più adatta al caso concreto, si rende, quindi, necessario procedere, tenendo conto, da un lato, della ratio della norma e, dall'altro, dei principi ricavabili dalle pronunce sopra richiamate.
In tal senso, considerato che la finalità dell'incompatibilità disciplinata dal citato art. 63, comma 1, n. 4), è quella di evitare situazioni di conflitto tra l'interesse personale dell'amministratore e gli interessi pubblici facenti capo all'istituzione locale e considerato altresì che nella giurisprudenza che ha trattato la nozione di 'fatto connesso all'esercizio del mandato' è costante il riferimento alla necessità che esso sia comunque collegato agli interessi della collettività, si ritiene che, nella fattispecie, non sia configurabile l'esimente di che trattasi.