QUESITO SU EVENTUALE INCONPATIBILITA'TRA LA POSIZIONE DI SINDACO DI UN COMUNE FACENTE PARTE DI UNA UNIONE DI COMUNI, DIPENDENTE DELL'UNIONE MEDESIMA E COMPONENTE DEI RELATIVI ORGANI POLITICI.

Territorio e autonomie locali
15 Aprile 2014
Categoria 
12.01.04 Incompatibilità
Sintesi/Massima 

SE IL DIPENDENTE DELL'UNIONE, DIVENTANDO SINDACO DI UNO DEI COMUNI ASSOCIATI, DOVESSE DIVENTARE ANCHE COMPONENTE DI UN ORGANO DI GOVERNO DELLA STESSA VERREBBE A TROVARSI NELLA SITUAZIONE DI INCOMPATIBILITA' DI CUI ART. 63, COMMA 1, N.7 TUOEL

Testo 

Classifica 15900/TU/00/60-63 Roma, 15 aprile 2014

OGGETTO: Comune di ..... Quesito su eventuale incompatibilità tra le posizioni di sindaco di un comune facente parte di un'unione di comuni, dipendente dell'unione medesima e componente dei relativi organi politici.

Si fa riferimento alla nota sopra indicata, con la quale codesta Prefettura ha trasmesso l'articolato quesito in oggetto, concernente l'eventuale esistenza della causa d'incompatibilità di cui al combinato disposto degli artt. 60, comma 1, n. 7) e 63, comma 1, n. 7), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nei confronti del vice sindaco del comune di ......, che, avendo intenzione di candidarsi alle prossime consultazioni amministrative alla carica di sindaco o consigliere comunale dell'ente, potrebbe diventare presidente, vice presidente, consigliere o assessore di un'unione di comuni, che l'ente medesimo si propone di costituire unitamente ad altri comuni limitrofi.
Secondo la prospettazione contenuta nel quesito, l'incompatibilità potrebbe configurarsi, in quanto l'interessato è dipendente a tempo pieno e indeterminato del comune di ......., che, a sua volta, verrebbe a fare parte dell'organismo associativo. In ipotesi, il predetto dipendente potrebbe essere inizialmente distaccato o comandato e successivamente assunto in via definitiva nell'ambito dell'unione, il che, in forza delle norme sopra richiamate, potrebbe determinare una situazione d'incompatibilità con il ruolo di amministratore dell'unione medesima.
In particolare, ove si dovesse optare per l'esistenza della ipotizzata causa d'incompatibilità, è stato chiesto di chiarire se la stessa si perfezioni già al momento del distacco o comando ovvero soltanto a seguito del formale inserimento dell'interessato nella pianta organica dell'unione.
Infine, è stato chiesto di precisare se l'incarico di responsabile dell'ufficio tecnico della costituenda istituzione associativa determini di per sé una situazione d'incandidabilità (rectius, inelegibbilità) alla carica di sindaco di uno dei comuni aderenti all'istituzione medesima.
Il quesito è di indubbia complessità e presenta notevoli criticità, anche in ragione del fatto che vengono sottoposte all'esame di questo Ministero situazioni meramente ipotetiche, per cui le soluzioni proposte dovrebbero poi essere calibrate in relazione alle specifiche connotazioni che le vicende prospettate verranno ad assumere in concreto.
Premessa tale doverosa considerazione, si osserva che il legislatore ha delineato l'istituto dell'unione di comuni, disciplinandolo nei suoi elementi essenziali e inderogabili e demandando all'autonomia statutaria e regolamentare dell'unione medesima la disciplina dei propri organi e della propria organizzazione. In particolare, l'art. 32, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000, come, da ultimo, modificato dall'art. 1, comma 105, della legge 7 aprile 2014, n. 56, stabilisce che -Gli organi dell'unione, presidente, giunta e consiglio, sono formati da amministratori in carica dei comuni associati (omissis). Il presidente è scelto tra i sindaci dei comuni associati e la giunta tra i componenti dell'esecutivo dei comuni associati. Il consiglio è composto da un numero di consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze ed assicurando la rappresentanza di ogni comune-. Tale previsione normativa persegue l'intento di consolidare l'appartenenza dell'ente associativo ai comuni che lo compongono, attraverso l'identità dei soggetti amministratori.
Il successivo comma 4 stabilisce che -L'unione ha potestà statutaria e regolamentare e ad essa si applicano, in quanto compatibili e non derogati con le disposizioni della legge recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, i principi previsti per l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori (omissis)-.
In base a tale ultimo richiamo, le norme di cui al menzionato art. 63, in quanto compatibili e non derogate nei termini sopra indicati, devono ritenersi applicabili anche in materia di unioni di comuni.
A sua volta, la legge della regione Piemonte 28 settembre 2012, n. 11, all'art. 4, prevede che lo statuto dell'unione è redatto sulla base di quanto previsto dall'art. 32 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e, tra l'altro, -determina gli organi di governo, le loro competenze, le modalità per la loro costituzione e funzionamento, garantendo la rappresentatività di tutti i comuni aderenti-.
Alla luce della menzionata normativa, si potrebbe in ipotesi delineare l'incompatibilità di che trattasi nell'eventualità in cui un medesimo soggetto sia dipendente dell'unione di comuni e, nel contempo, componente degli organi di governo della stessa.
Risolta in tal senso la prima questione posta dal quesito in parola, occorre affrontare l'ulteriore problematica concernente i presupposti per l'insorgenza della situazione d'incompatiblità ed, in particolare, se sia necessaria una definitiva assunzione dell'interessato alle dipendenze dell'unione o se sia sufficiente anche un provvedimento di distacco o comando da parte di uno dei comuni membri dell'unione medesima.
Come noto, le disposizioni di riferimento in materia di comando nel pubblico impiego sono dettate dagli artt. 56 e 57 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, i quali disciplinano la situazione in cui un impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una pubblica amministrazione, temporaneamente ed in via eccezionale, è destinato a prestare servizio presso un'altra amministrazione o presso un ente pubblico.
Per contro, il distacco non trova una generale regolamentazione nelle norme sul pubblico impiego e, secondo una certa impostazione dottrinale, si distingue dal comando per la natura non statale dell'amministrazione utilizzatrice (cfr. Il pubblico impiego, Pietro Virga, Giuffrè, 1991). Altri ritengono che non vi siano sostanziali differenze tra le due posizioni, se non per l'assenza di una specifica tipizzazione normativa del distacco (cfr. L'impiego pubblico in Italia, Mario Rusciano, Il Mulino, 1978; Il lavoro esternalizzato, Marina Nicolosi, Giappichelli, 2012).
Alla stregua di un ulteriore orientamento, il discrimen tra gli istituti in questione va ravvisato nel diverso soggetto a cui fa capo l'interesse, che attraverso il trasferimento del dipendente si tende a soddisfare. In tal senso, l'ipotesi del distacco si configura nell'eventualità in cui un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente il dipendente a disposizione di un altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. Si deve, invece, parlare di comando, laddove l'interessato sia assegnato ad un altro ente, sulla base di un interesse proprio di quest'ultimo (cfr. A.R.A.N., Relazione illustrativa al CCNL del 22 gennaio 2004 - Comparto regioni ed autonomie locali; si tratta della nozione di 'distacco' recepita dall'art. 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il quale, peraltro, per espressa disposizione dell'art. 1, comma 2, non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale).
Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che la posizione di comando non incide sullo stato giuridico del dipendente e non comporta il sorgere di un nuovo rapporto di lavoro con l'ente di destinazione; nondimeno, implica una rilevante modificazione in senso oggettivo dell'originario rapporto di impiego, giacché l'interessato viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria ed abituale, presso un'amministrazione diversa da quella di appartenenza. -In particolare, fermo restando il c.d. rapporto organico (che continua ad intercorrere tra il dipendente e l'ente di appartenenza o di titolarità), si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nella nuova amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera- (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 29 settembre 2003, n. 5542; Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 20 gennaio 1993, n. 642; Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Veneto, sentenza 15 dicembre 2008, n. 1470).
Analoghe valutazioni possono farsi relativamente al distacco, attesa la sostanziale similitudine tra le due fattispecie, non a caso spesso accostate in ambito giurisprudenziale (ex multis, da ultimo, Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 4 febbraio 2014, n. 494).
Tra l'altro, proprio in considerazione della circostanza che le posizioni in questione non implicano la creazione di un nuovo rapporto d'impiego con l'amministrazione utilizzatrice, i giudici di legittimità hanno più volte affermato che il provvedimento di distacco o comando del dipendente di un comune presso un altro ente pubblico non elimina la condizione d'ineliggibilità dell'interessato alla carica di consigliere comunale (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 18 dicembre 1990, n. 11985; Id., sentenza 17 luglio 1987, n. 6292; Id., sentenza 5 novembre 1987, n. 8154).
Il caso che qui ci occupa riguarda, invece, un dipendente comunale che andrebbe a svolgere la propria attività di servizio in una unione di comuni, di cui fa parte l'ente di appartenenza e nell'ambito della quale riveste il ruolo di membro degli organi di governo.
Sul punto, alla luce della giurisprudenza sopra richiamata e tenuto conto che la finalità perseguita dall'art. 63, comma 1, n. 7), del decreto legislativo n. 267 del 2000 è di impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni di amministratori locali soggetti portatori di interessi potenzialmente confliggenti con quelli dell'ente, sembra doversi ritenere che la prospettata condizione d'incompatibilità sia suscettibile di verificarsi non solo nell'ipotesi di definivo inquadramento del dipendente del comune nella pianta organica dell'ente associativo, ma anche nell'eventualità di semplice distacco o comando.
In tal senso, depone altresì il tenore letterale dell'art. 60, comma 1, lettera 7), del decreto legislativo n. 267 del 2000, che parla genericamente di 'dipendenti', senza altra specificazione, e sembra, pertanto, riferirsi a tutte le persone che siano legate all'ente da un rapporto implicante la subordinazione, a nulla rilevando la natura dell'atto costitutivo del rapporto o la durata di quest'ultimo (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 15 settembre 1995, n. 9762).
Rimane da approfondire l'ultima questione posta, concernente l'eventuale esistenza di una causa d'ineleggibilità nei confronti del responsabile dell'ufficio tecnico di un'unione di comuni, che intenda candidarsi alla carica di sindaco di uno dei comuni associati.
Al riguardo, costituisce ius receptum il principio in virtù del quale le cause d'ineleggibilità e d'incompatibilità, sostanziandosi in una limitazione al diritto di elettorato passivo, costituzionalmente garantito, sono di stretta interpretazione e, come tali, non sono suscettibili di applicazione analogica, ma soltanto di interpretazione estensiva, nel rispetto del canone della ragionevolezza (ex multis, Corte costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997, n. 44; Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 22 dicembre 2011, n. 28504; Id., sentenza 11 marzo 2005, n. 5449).
L'ipotesi prevista dall'art. 60, comma 1, n. 7), del decreto legislativo n. 267 del 2000 si riferisce esclusivamente ai dipendenti del comune e della provincia per i rispettivi consigli e, di conseguenza, va escluso il delinearsi di una causa d'ineleggibilità alla carica di sindaco di un comune appartenente ad un'unione di comuni nei confronti del dipendente che presta servizio per l'unione medesima.
Peraltro, se il dipendente dell'unione, diventando sindaco di uno dei comuni associati, dovesse diventare anche componente di un organo di governo della stessa, verrebbe a trovarsi in una situazione d'incompatibilità, ex art. 63, comma 1, n. 7) del decreto legislativo n. 267 del 2000, applicabile, come sopra rammentato, anche alle unioni di comuni, in forza del richiamo contenuto nell'art. 32, comma 4, del citato decreto legislativo.
Da ultimo, merita evidenziare che il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 ha dettato una specifica disciplina in materia di inconferibilità ed incompatibilità di incarichi, anche dirigenziali, presso le pubbliche amministrazioni, della quale gli enti interessati dovranno eventualmente tenere conto, ove ne ricorrano in concreto i presupposti.