SI RISCONTRA UNA CAUSA OSTATIVA ALLA CARICA DI CONSIGLIERE SE UN CONSIGLIERE E' SOCIO ACCOMANDANTE IN UNA SOCIETA' IN ACCOMANDITA SEMPLICE DI CUI IL CONGIUTO E' SOCIO ACOMANDATARIO, SOCIETA' CHE GESTISCE IN APPALTO DAL COMUNE STESSO IL SERVIZIO DI MENSA SCOLASTICA.
Classifica 15900/TU/00/63 Roma, 12marzo 2010
OGGETTO: Comune di ....... Quesito relativo all'incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 2, T.U.O.E.L.
Si fa riferimento alla nota sopradistinta con la quale codesta Prefettura ha trasmesso la richiesta di parere formulata dal sindaco del comune di ....... in merito a una presunta ipotesi di incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 2 del decreto legislativo 267/2000, come lamentato da un consigliere della minoranza, nei confronti del consigliere comunale ....., eletta alle ultime elezioni amministrative.
In proposito è stato rappresentato che è socia accomandante di una società in accomandita semplice, la .........., di cui il marito, il sig. ....., è socio accomandatario, società che gestisce in appalto dal comune stesso il servizio di mensa della scuola materna.
L'art. 63, comma 1, n. 2 del decreto legislativo n. 267/2000 stabilisce che non può ricoprire cariche elettive locali colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento abbia parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune.
In merito, si rappresenta che la ratio della causa di incompatibilità in esame (annoverabile tra le cosiddette 'incompatibilità di interessi') 'consiste nell'impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l'imparzialità' (così Corte Costituzionale, sent. n. 44 del 1977, n. 450 del 2000 e n. 220 del 2003).
Si richiama inoltre la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha chiarito che la norma è volta ad evitare il pericolo di deviazioni nell'esercizio del mandato da parte degli eletti ed il conflitto, anche solo potenziale, che la medesima persona sarebbe chiamata a dirimere se dovesse scegliere tra l'interesse che deve tutelare in quanto amministratore dell'ente che gestisce il servizio e l'interesse che deve tutelare in quanto consigliere del comune che di quel servizio fruisce.
La Suprema Corte (cfr. Cass. Civile, sent. n. 11959 dell'8.8.2003, sez.. I, sent. n. 550 del 16.1.2004) ha più volte affermato che 'l'art. 63 citato, nello stabilire la causa di 'incompatibilità di interessi' ('non può ricoprire la carica') ivi prevista...., ai fini della sua sussistenza, richiede una duplice condizione: la prima, di natura soggettiva, la seconda di natura oggettiva. E' necessario, innanzitutto (condizione soggettiva), che il soggetto, in ipotesi incompatibile all'esercizio della
carica elettiva, rivesta la qualità di titolare, o di amministratore, ovvero di dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento. In secondo luogo, il legislatore prevede, come condizione 'oggettiva', che deve necessariamente concorrere con quella 'soggettiva' per la sussistenza della suddetta incompatibilità, che il soggetto, rivestito di una delle predette qualità, in tanto è incompatibile, in quanto 'ha parte ... in appalti, nell'interesse del comune'. Se si pone l'accento sul termine 'parte' della locuzione 'aver parte' e lo si correla alla successiva locuzione 'nell'interesse del comune', appare chiaro che la locuzione 'aver parte' alluda alla contrapposizione tra 'interesse particolare' del soggetto, in ipotesi incompatibile, ed interesse del comune, istituzionalmente 'generale', in relazione alle funzioni attribuitegli e, quindi, allude alla situazione di potenziale conflitto di interessi, in cui si trova il predetto soggetto, rispetto all'esercizio imparziale della carica elettiva ....'.
La Corte ha inoltre precisato che gli avverbi 'direttamente o indirettamente' – che, nella disposizione in esame, seguono la locuzione 'ha parte' – debbono intendersi riferiti non già alla condizione oggettiva, bensì a quella soggettiva: 'deve concludersi nel senso che il legislatore - qualificando il modo della partecipazione al servizio - ha inteso, specificamente, rafforzare l'effettività della norma e limitare il predetto diritto non soltanto nei confronti del soggetto, al quale, in ragione della partecipazione al servizio con una determinata qualità soggettiva (titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento), il conflitto di interessi sia immediatamente (e formalmente) riferibile, ma anche, con un chiarissimo scopo "antielusivo", nei confronti del soggetto che, al di là della qualità soggettiva di colui che partecipa "formalmente" al servizio, debba, secondo le circostanze del caso concreto, considerarsi come il "reale" portatore dell'interesse "particolare" potenzialmente confliggente con quelli "generali" connessi all'esercizio della carica elettiva' (cfr. Cass. Civile, sez.. I, sent. n. 550 del 16.1.2004).
Già con precedente giurisprudenza la Suprema Corte aveva affermato che detta causa d'ineleggibilità prevista 'nei confronti di coloro che, direttamente od indirettamente, abbiano parte in appalti in favore del comune, mira ad evitare posizioni di conflitto, anche potenziale, fra l'interesse pubblico e quello privato degli amministratori municipali, e, quindi, comprende pure le situazioni di fatto non esteriorizzate formalmente, con eventuale interposizione di altri soggetti, sempreché le situazioni medesime, tenuto conto che si verte in tema di eccezioni al diritto di elettorato passivo, risultino rigorosamente accertate' (cfr. Cass., Sez. I, sent. n. 1622 del 11.03.1980).
La titolarità della qualità di appaltatore del comune, in principio sanzionata come causa di ineleggibilità dall'art. 15, n. 7, del D.P.R. n. 570 del 1960, è stata poi prevista come causa di incompatibilità dall'art. 3, n. 2, della legge n. 154 del 1981.
La severità della previsione normativa colpiva persino gli amministratori che si trovassero nell'impossibilità di poter rimuovere la causa ostativa, come nel caso del rinnovo tacito di un rapporto contrattuale con il comune, facente capo ad una società di fatto costituita fra più fratelli sull'azienda ereditata dal padre, in cui il consigliere interessato non partecipava neanche alla gestione dell'impresa (cfr. Corte Cost., sent. 25 febbraio 1971, n. 38).
La stessa esigenza di salvaguardare il principio d'imparzialità dell'azione amministrativa e di porre al riparo coloro che svolgono una pubblica funzione dal sospetto di essere influenzati da interessi confliggenti con quelli del comune, si manifesta tuttora con evidenza nella previsione di cui all'art. 61, comma 1bis, del D. Lgs. n. 267/2000: detta norma impedisce di ricoprire la carica di sindaco o di presidente della provincia a coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali o in qualunque modo loro fideiussore. La peculiare ipotesi d'incompatibilità, specificamente dettata per il sindaco ed il presidente della provincia, si aggiunge a quella comune di cui all'art. 63, comma 1, n. 2, del T.U.O.E.L. e colpisce gli amministratori anche in assenza di un vantaggio diretto o indiretto che possa essere imputato loro personalmente, ma rimanga esclusivo del parente che gestisce l'appalto o il servizio.
Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che la posizione dell'amministratore in premessa, possa essere riconducibile alla causa ostativa di cui al punto 2), comma 1, dell'art. 63 del T.U.O.E.L.,
Ciò posto, in conformità al principio generale che ogni organo collegiale deliberi sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la verifica delle cause ostative all'espletamento del mandato è compiuta con la procedura consiliare prevista dall'art. 69 del decreto legislativo citato, che garantisce il contraddittorio tra organo e amministratore, assicurando a quest'ultimo l'esercizio del diritto alla difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa di incompatibilità contestata.