Rimborso spese legali sostenute dirigente comunale (in procedimento penale con misura cautelare) successivamente assolto con formula“il fatto non costituisce reato”.

Territorio e autonomie locali
10 Settembre 2008
Categoria 
15.07 Disposizioni particolari
Sintesi/Massima 

Possibilità o meno, disporre rimborso spese legali, atteso non coinvolgimento dell’amministrazione in scelta del legale (nomina non concordata, come invece prescritto da art. 12, c.c.n.l. dirigenza, del 12.2.2002) - Preclusione o meno, (citato rimborso) da suddetta formula assolutoria o necessario verificare totale insussistenza responsabilità (luce disposizione art. 39, L. R. Sicilia n. 145, del 29.12.1980) - Esclusione o meno, suddetto rimborso, in assenza conflitto di interessi emersa in successiva valutazione.

Testo 

Con una nota, un'Amministrazione ha chiesto chiarimenti in ordine alla possibilità o meno di disporre il rimborso delle spese legali ad un dirigente, sottoposto a procedimento penale (destinatario di misura cautelare), poi assolto perché 'il fatto non costituisce reato'.
In proposito, vengono esposte le seguenti argomentazioni:
- il legale di fiducia è stato nominato dall'interessato al momento dell'arresto, dunque la nomina del legale non è stata concordata con l'Ente (come invece prescrive l'art. 12 del c.c.n.l. della dirigenza del 12.2.2002);
- si chiede se la formula assolutoria perché 'il fatto non costituisce reato' sia preclusiva del richiesto rimborso, o, invece, al fine di consentire il predetto rimborso, si debba fare riferimento al contenuto motivazionale della sentenza per verificare la totale insussistenza di responsabilità, alla luce della disposizione legislativa regionale (art. 39 della legge regionale siciliana n. 145 del 29.12.1980) la quale prevede che: 'Ai dipendenti che, in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio e dei compiti d'ufficio, siano soggetti a procedimenti di responsabilità civile, penale o amministrativa, è assicurata l'assistenza legale, in ogni stato e grado del giudizio, mediante rimborso, secondo le tariffe ufficiali, di tutte le spese sostenute, sempre che gli interessati siano stati dichiarati esenti da responsabilità';
- infine, pur consapevole che il costituirsi parte civile da parte delle amministrazioni pubbliche nei procedimenti penali dei propri dipendenti, è stato ritenuto di per sé dalla prevalente giurisprudenza (in particolare Cass. Civ. n. 13624 del 17.9.2002) ipotesi di evidente conflitto di interessi tra l'ente e il dipendente, l'amministrazione chiede di conoscere se il rimborso in questione debba essere comunque escluso, anche quando da una valutazione ex post, operata a seguito della sentenza, emerga l'assenza di conflitto di interessi.
Al riguardo, così come già più volte espresso da questa Direzione Centrale, l'assunzione dell'onere relativo all'assistenza legale del dipendente da parte dell'Ente non è automatica, ma presuppone alcune valutazioni, che si ricavano dalla formulazione dell'art. 12 del C.C.N.L. dirigenti enti locali del 12.2.2002, e che l'ente è tenuto a fare nel proprio interesse, per assicurare una buona e ragionevole amministrazione delle risorse economiche e a tutela della propria immagine. Pertanto, l'esatto adempimento delle statuizioni del predetto art. 12 obbliga l'ente, prima di convenire di assumere a proprio carico ogni onere di difesa in un procedimento di responsabilità civile o penale aperto nei confronti di un proprio dipendente, a valutare la sussistenza delle seguenti condizioni: necessità di tutelare i propri diritti e i propri interessi; insussistenza del conflitto di interessi con il dipendente come in tutti i casi in cui questi abbia posto in essere atti illegittimi; illeciti commessi dal dipendente durante l'espletamento del servizio e per l'adempimento dei compiti d'ufficio.
Quindi, l'amministrazione deve rigorosamente esaminare se sussista la piena coincidenza fra la posizione del dipendente e quella dell'amministrazione, ovvero un diretto interesse da riconoscersi in tutti i casi in cui l'imputazione riguardi un'attività svolta in diretta connessione con i fini dell'ente e sia dunque imputabile allo stesso .
Condizione determinante, è la verifica dell'insussistenza di un conflitto di interessi, il quale dovrà essere valutato non solo sotto il profilo della responsabilità penale, ma anche sotto i profili disciplinare ed amministrativo per mancanze attinenti al compimento dei doveri d'ufficio. Valutazioni che, secondo numerosa giurisprudenza, vanno effettuate in relazione alle singole fattispecie concrete.
Orbene, nel caso specifico occorre rilevare che il dipendente chiamato a rispondere del reato di abuso di ufficio, aggravato dalla circostanza di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/1991 (per associazioni di tipo mafioso), ha ottenuto l'assoluzione con sentenza del Tribunale di Palermo del 28.7.2005, 'perché il fatto non costituisce reato' per carenza dell'elemento psicologico previsto per la fattispecie di abuso di ufficio e rappresentato dalla intenzione di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale.
Tale ultimo aspetto, induce a sollecitare l'Ente ad una attenta verifica riguardo alla condizione di conflittualità richiamata dal contratto in parola, perché la mancanza di una formula pienamente assolutoria da parte dell'Organo Giudicante non esclude che l'attività svolta dal dipendente possa, invero, configurare censure di altro genere, peraltro, proprio in tal senso vertono gli orientamenti assunti dalla Corte dei Conti, in merito all'esistenza della condizione di assoluzione piena al fine di poter consentire il rimborso in questione.
Sul punto, infatti, la Corte dei Conti Sardegna con parere n. 2/2006 ha precisato che 'La giurisprudenza prevalente della Corte dei conti ammette a tale fine (rimborso spese legali n.d.r.) l'assoluzione 'perché il fatto non sussiste', 'l'imputato non l'ha commesso', escludendo quelle 'perché il fatto non costituisce reato' e non è previsto dalla legge come reato' oltre a quelle, come detto sopra, con dispositivo dubitativo (prescrizione del reato n.d.r.). La richiamata giurisprudenza afferma, infatti, che debba, in tali ultimi casi, procedersi da parte dell'Ente, preliminarmente all'ammissione del rimborso, all'accertamento materiale e in concreto dell'assenza di conflitto d'interessi fra l'Ente e il dipendente, dovendosi in caso positivo, in conclusione, pervenire al diniego del rimborso'.
Per quel che concerne la scelta comune del legale, nel medesimo citato parere, l'Organo Giurisdizionale Contabile ha altresì rilevato che in base a numerosa giurisprudenza 'il diritto al rimborso non può essere escluso dalla circostanza che l'Ente non abbia preventivamente espresso il proprio assenso nella scelta del difensore e che il principio di difesa (costituzionalmente garantito) non può subire limitazione alcuna', e che tuttavia ciò può comportare delle difficoltà per l'Ente, il quale 'si può trovare esposto a richieste ex post estremamente onerose per il bilancio comunale' ma che, in tal caso, al fine di valutare l'entità dei rimborsi, l'Amministrazione dovrà effettuare 'la opportuna verifica della congruità degli onorari richiesti... e l'accertamento che nessun onere aggiuntivo possa essere impropriamente addebitato all'Ente (per esempio a titolo di interessi moratori nella soddisfazione del credito professionale al legale per effetto del ritardo nell'adempimento frapposto dal dipendente).
Invece, la decisione da parte dell'ente di costituirsi parte civile, come peraltro già noto a codesta amministrazione, è stata ritenuta da giurisprudenza ormai costante (C.d. Stato n. 5986 del 9.10.2006, Corte dei Conti n. 106/2004, Corte Cass. n. 13624 del 17.9.2002), a priori, evidente ipotesi di conflitto di interessi tra il dipendente e l'ente locale.
Infine, per completezza di esposizione, giova fare presente, che con la nuova formulazione dell'art. 323 del c.p. così come modificato dalla legge n. 234/1997, al fine dell'individuazione del reato di abuso di ufficio, non è sufficiente che il dipendente abbia adottato un atto illecito, cioè viziato per violazione di legge o regolamento, essendo invece richiesto il dolo intenzionale, inteso come rappresentazione e volizione dell'evento di danno (altrui) o di vantaggio patrimoniale (proprio o altrui), quale conseguenza diretta ed immediata della condotta dell'agente ed obiettivo primario da costui perseguito (cfr. Cass. pen. Sez. VI, n. 708 del 15.1.2004).
Alla luce di quanto sopra rappresentato, si è del parere che, ai fini del rimborso delle spese legali, dovrà essere l'Amministrazione a valutare autonomamente tutti i profili della fattispecie in esame sopra descritti, tenendo conto anche della condotta professionale e comportamentale del dipendente.