L’art. 84 comma 3 D.Lgs. 267/2000 prevede solo per gli amministratori che risiedono fuori del capoluogo del comune ove ha sede l’ente, il rimborso delle spese di viaggio sostenute per la partecipazione alle sedute dell’organo assembleare nonché per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate.
In diverse occasioni, il Consiglio di Stato ha osservato che, qualora la residenza anagrafica non corrisponda a quella effettiva, quale si desume dall’art. 43 c.c., è a quest’ultima che bisogna fare riferimento e la relativa prova può essere fornita con ogni mezzo anche indipendentemente dalle risultanze anagrafiche.
Si ritiene, così che la refusione delle spese di viaggio, sostenute dagli amministratori locali, sia praticabile solo se l’istanza sia supportata da idonea certificazione, attestante la spesa di volta in volta concretamente effettuata, ciò anche in relazione all’incidenza di detto esborso sulle disponibilità del bilancio locale.
Sono stati chiesti chiarimenti in merito alla refusione delle spese di viaggio sostenute da un consigliere comunale per la partecipazione alle sedute degli organi assembleari della comunità montana.
In particolare viene chiesto di conoscere se possano essere rimborsate le spese di viaggio sostenute dall'amministratore dal luogo ove il medesimo ha la dimora , piuttosto che da un comune del comprensorio montano, luogo di residenza.
Al riguardo, l'art. 84, comma 3, del suddetto decreto legislativo prevede solo per gli amministratori che risiedono fuori dal capoluogo del comune ove ha sede l'ente, il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute per la partecipazione ad ognuna delle sedute del rispettivo organo assembleare, nonché per la presenza necessaria (cioè riconducibile ad oggettive esigenze connesse allo svolgimento del mandato), presso la sede dell'ufficio per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate.
Sulla questione si è formato un indirizzo più estensivo che privilegia l'aspetto della tutela dell'espletamento della carica elettiva e delle comprovate esigenze connesse all'attività svolta dall'amministratore, mutuando dall'orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato in materia di residenza dei dipendenti pubblici, l'assimilazione del concetto di residenza a quello della residenza di fatto ex art. 43, comma 2, del codice civile, cioè della dimora abituale.
Il Consiglio di Stato, infatti, ha in più occasioni ritenuto che qualora la residenza anagrafica non corrisponda alla residenza effettiva, quale si desume dall'art. 43 del codice civile, è di quest'ultima che bisogna tener conto, e la prova della sua sussistenza può essere fornita con ogni mezzo anche indipendentemente dalle risultanze anagrafiche.
A tal fine, il requisito dell'abitualità che la dimora deve possedere, affinché risulti giuridicamente rilevante, è la risultante del fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo e dell'elemento soggettivo della volontà della persona a rimanervi, volontà desumibile, secondo una recente sentenza n. 5816 del 17 ottobre 2005 della VI sezione del Consiglio di Stato, da circostanze concomitanti e di concordante significato, fra le quali assume valore preminente lo svolgimento in loco dell'attività lavorativa, e, nel caso in esame il fatto che all'indirizzo in questione sono sempre stati inviati gli avvisi di convocazione delle varie sedute.
Solo in presenza di tali condizioni, previamente verificate, l'amministrazione potrà applicare agli specifici fini, l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato.
Alla luce delle considerazioni esposte, il rigore che deve sorreggere la procedura di ristoro delle spese sostenute dagli amministratori locali, porta pertanto a ritenere che la rifusione delle spese di viaggio sia praticabile solo se l'istanza sia supportata da idonea certificazione attestante la spese di volta in volta concretamente effettuata, ciò anche in considerazione della incidenza di detto esborso sulle disponibilità di bilancio dell'ente.