In relazione alla possibilità di nominare un organo straordinario delle società in house nell’ambito dei comuni retti da una gestione straordinaria ex art.143 ovvero da un commissario straordinario ex art.141 D.Lgs.267/2000, si ritiene che, in base alla disciplina vigente, i presupposti in questione non sussistano. Le richiamate disposizioni sono, infatti, norme di stretta interpretazione e quindi applicabili solo agli enti espressamente previsti.
D’altronde, giova rilevare che già nell’ordinamento vigente sono rinvenibili strumenti efficaci, attivabili dalle commissioni straordinarie per fronteggiare “fenomeni di cointeressenze criminali e di gravi inefficienze del servizio”. L’art. 2449 c.c., difatti, prevede che “se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza” i quali “possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati”.
Invero, laddove si verifichino “gravi inefficienze del servizio” o “fenomeni di cointeressenze criminali” la revoca degli amministratori non solo è legittima ma costituisce un dovere, per l’azionista pubblico, la cui inosservanza può dar luogo (sempre che il fatto non assuma rilievo anche sotto altri profili) a giudizio di responsabilità degli amministratori comunali per il danno erariale subito dal comune, in qualità di azionista unico della società (Corte dei Conti, sez. giurisdizionale per il Lazio, 10 settembre 1999 n.1015).
In caso, infine, di capitale sociale frazionato tra più enti pubblici, questi ultimi si avvalgono dei patti parasociali per concordare la ripartizione delle cariche sociali, secondo quanto previsto dall’art. 2341-bis c.c. Così, qualora, in forza dell’atto costitutivo o dei patti parasociali, il comune in gestione commissariale possa nominare e revocare solo una parte degli amministratori e risulti necessario provvedere alla revoca anche di altri componenti del consiglio di amministrazione, l’organo di gestione straordinaria dovrà raggiungere le intese del caso con le altre amministrazioni pubbliche interessate.
Una prefettura ha chiesto di conoscere l'avviso del Ministero circa 'la sussistenza dei presupposti, in attesa di una espressa previsione normativa, per procedere alla nomina di un organo straordinario delle società in house nell'ambito dei comuni retti da una gestione straordinaria ex art. 143 ovvero da un commissario straordinario ex art. 141 del D.lg. 267/2000'.
Al riguardo si ritiene che i presupposti in questione non sussistano, in base alla disciplina vigente, in quanto le richiamate disposizioni, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, sono norme di stretta interpretazione, come tali applicabili solo agli enti espressamente previsti, il cui novero non può essere ampliato mediante ricorso all'analogia.
Va peraltro rilevato che, secondo il costante orientamento della Corte Suprema di Cassazione, 'la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni (cfr. in tal senso, sez. unite civili, 15 aprile 2005, n. 7799). Pertanto la medesima non può essere assimilata alle aziende speciali, che hanno personalità giuridica pubblica, essendo considerate enti pubblici economici, strumentali al perseguimento delle finalità dell'ente locale di riferimento (Cass. sez. unite 15.12.1997, n. 12654).
Il carattere 'strumentale' significa che l'attività svolta dall'azienda è di esclusivo interesse dell'ente locale; è un ente che esercita in proprio servizi che spettano ad altri enti, sui quali si riflettono i risultati. Ciò giustifica il permanere del collegamento con l'ente locale ex art. 114, commi 6 e 8 del Dlgs. 18 agosto 2000 n. 267 (Cass. sez. un. 9 luglio 1997, n. 6225).
Ciò posto, si ritiene che già nell'ordinamento vigente sono rinvenibili strumenti efficaci, attivabili dalle commissioni straordinarie per fronteggiare quei 'fenomeni di cointeressenze criminali e di gravi inefficienze del servizio' segnalati dalla prefettura.
L'ente locale titolare del capitale sociale, infatti, ha il potere di revocare i consiglieri di amministrazione dal medesimo nominati, secondo quanto previsto dall'art. 2449 del codice civile.
Prevede tale norma che 'se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza', i quali 'possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati'.
E' opportuno precisare, peraltro, che gli organi in gestione straordinaria, nel disporre l'eventuale revoca, non potranno avvalersi di poteri autoritativi pubblicistici, come avviene invece per la revoca degli amministratori di una azienda speciale, bensì dovranno esercitare una 'facoltà inerente la qualità di socio e, quindi, come manifestazione di una volontà essenzialmente privatistica', secondo quanto ritenuto dalla Corte Suprema di Cassazione (sez. unite civili, 15 aprile 2005, n. 7799).
Ciò comporta che la revoca potrà essere adottata solo per giusta causa. Quest'ultima, peraltro 'può derivare anche da fatti non integranti inadempimento, ma richiede pur sempre un quid pluris, rispetto al mero dissenso, vale a dire esige situazioni sopravvenute (provocate o meno dall'amministratore) che minino il pactum fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente riposto sulle attitudini o capacità di gestione' (Cassaz. Civile sez. I, 21.11.1998, n. 11801).
Giova rilevare, peraltro, che la giusta causa non ha il fine di rendere l'atto unilaterale della società idoneo ad operare la risoluzione del rapporto con l'amministratore, ma soltanto lo scopo di rendere legittima la revoca, escludendo così il diritto dell'amministratore al risarcimento dei danni.
E' ovvio, inoltre, che qualora si rilevino 'gravi inefficienze del servizio' o, addirittura, 'fenomeni di cointeressenze criminali' la revoca degli amministratori non solo è legittima, ma costituisce un dovere, per l'azionista pubblico, il cui mancato adempimento può dare quindi luogo, sempre che il fatto non assuma rilievo anche sotto altri profili, a giudizio di responsabilità degli amministratori comunali per il danno erariale subito dal comune nella sua qualità di azionista unico (cfr., in tal senso, Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio, 10 settembre 1999, n. 1015).
Considerazioni analoghe valgono anche per i sindaci della società nominati dall'Ente locale ai sensi dell'art. 2449 del codice civile, la cui revoca, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza, non è soggetta all'approvazione del Tribunale, prevista dall'art. 2400 del codice civile (Tribunale di Bologna, 5 giugno 2001).
Una menzione a parte merita, invece, l'ipotesi in cui il capitale delle società in questione, pur essendo 'interamente pubblico' come richiesto dall'art. 113 del T.U.O.E.L. per l'affidamento 'in house', sia posseduto solo in parte dall'Ente locale in gestione commissariale.
In tali casi rilievo centrale può assumere lo statuto della società partecipata, qualora preveda espressamente la nomina, e la correlativa potestà di revoca da parte degli enti pubblici proprietari di quote del capitale, degli amministratori e dei sindaci della società medesima.
In caso di capitale sociale frazionato tra più enti pubblici, questi ultimi si avvalgono poi dei patti parasociali per concordare la ripartizione delle cariche sociali, secondo quanto previsto dall'art. 2341-bis del codice civile.
Qualora, quindi, in forza dell'atto costitutivo o dei patti parasociali, il comune in gestione commissariale possa nominare e revocare solo una parte degli amministratori e si riveli necessario, sulla base delle risultanze delle indagini ex art. 59, comma 7, del T.U.O.E.L., provvedere alla revoca anche di altri componenti del consiglio di amministrazione, l'organo di gestione straordinaria dovrà raggiungere le intese del caso con le altre amministrazioni pubbliche interessate.
Al di là, comunque, dell'ipotesi in questione, si ritiene che, anche in considerazione dell'importanza sempre crescente assunta dal fenomeno dell'esternalizzazione dei servizi pubblici locali, il periodo di gestione straordinaria possa essere opportunamente impiegato al fine di sviluppare, mediante le necessarie modifiche agli atti costitutivi, ed al contratto di servizio, gli strumenti di controllo dell'ente locale sulle società partecipate.
Ciò in quanto, secondo il citato art. 113, è possibile derogare al ricorso a procedere ad evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica solo qualora l'ente locale eserciti sulla società un controllo analogo a quello svolto sui propri servizi.
Tale opera è importante anzitutto per assicurare la piena rispondenza della società partecipata al modello voluto dal legislatore. Perché possa parlarsi di società 'in house', infatti, non è sufficiente che la medesima sia a capitale interamente pubblico e che realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente locale che l'ha costituita, ma è necessario che quest'ultimo sia effettivamente in grado di esercitare sulla prima un 'controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi', secondo quanto prescritto dall'art. 113, comma 5, del T.U.O.E.L. 267/2000.
La Corte di Giustizia della Comunità Europea ha avuto modo di chiarire, in merito, che in primo luogo, il possesso dell'intero capitale sociale da parte dell'ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi.
In secondo luogo, va presa in considerazione l'ampiezza dei poteri propri del consiglio d'amministrazione secondo la disciplina risultante dallo statuto. A tale riguardo si è affermato che, se il consiglio d'amministrazione 'dispone della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti necessari per il conseguimento dell'oggetto sociale', i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire all'ente di esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (cfr. la decisione 13 ottobre 2005, nella causa C-458/03 – Parking Brixen nonché la recentissima sentenza n. 4440 in data 13.7.2006 della V^ Sezione del Consiglio di Stato).
Occorre infine e soprattutto che il controllo dell'ente locale sia talmente penetrante da configurare una vera e propria relazione di subordinazione gerarchica della prima al secondo, al punto che l'Amministrazione e la società non siano soggetti realmente distinti (cfr. T.A.R. Friuli –Venezia Giulia, 15 luglio 2005, n. 634).
Secondo la giurisprudenza da ultimo citata tale rapporto si realizza quando il controllo esercitato dall'ente locale non riguarda solo gli organi (con il suddetto potere di nomina e di revoca degli amministratori e dei sindaci) e gli atti di gestione straordinaria, ma anche, in parte rilevante, la gestione ordinaria della società (anche mediante, ad esempio, forme incisive di controllo di gestione) in modo che quest'ultima non abbia una sua reale autonomia decisionale in ordine ai più importanti atti di gestione.
Una volta realizzata appieno tale relazione di subordinazione gerarchica si ritiene che anche l'esigenza di estendere l'applicazione del citato art. 143 alle società in house verrebbe a stemperarsi fino a perdere effettiva rilevanza.