Il caso in esame può essere inquadrato nell’ambito dell’art. 106 c.p.c., avendo un comune chiesto ed ottenuto, con autorizzazione del giudice, la chiamata in causa del terzo interessato a subentrare per surroga.
Si configura, così, un’ipotesi di litisconsorzio successivo, con arricchimento di parti in corso di causa, nonché facoltativo, in quanto ad istanza di parte.
Il terzo, a seguito della chiamata in causa da parte del comune, è diventato “parte” nel pendente giudizio civile, rappresentandosi, nei suoi confronti, la causa di incompatibilità di cui all’art. 63, n. 4 TUOEL.
Nell’ipotesi, pertanto, in cui il soggetto terzo chiamato in causa dal comune debba subentrare ad un consigliere dimissionario, si ritiene che l’ente dovrà procedere alla surroga di quest’ultimo, con il primo dei non eletti che segue nella medesima lista e, ove non sussistano cause di ineleggibilità, avviare la procedura di cui all’art. 69, D.Lgs 267/2000 nei riguardi del consigliere subentrato, per la contestazione di incompatibilità in cui versa.
Un comune ha posto un quesito in merito all'eventuale sussistenza di una causa di incompatibilità per lite pendente, di cui all'articolo 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo n. 267/2000, nei confronti di un soggetto che deve subentrare per surroga di un consigliere dimissionario, chiamato in causa in un giudizio civile da parte del comune stesso.
Al riguardo, si rappresenta che la chiamata in giudizio di un terzo deve essere ricollegata nel processo civile al concetto di litisconsorzio, e cioè alla presenza in giudizio di una pluralità di parti. Tralasciando in questa sede il cosiddetto litisconsorzio iniziale (processo che inizia già con una pluralità di parti), bisogna considerare il litisconsorzio successivo (processo che si arricchisce di altre parti in corso di causa), nell'ambito del quale si collocano gli istituti del litisconsorzio necessario (art. 102 c. p. c.) e del litisconsorzio facoltativo, ad istanza di parte (art. 106 c. p. c.) o per ordine del giudice (art. 107 c. p. c.).
Comune a tali ipotesi risulta l'effetto dell'ampliamento del numero delle parti in causa, ben differenziati sono, invece, i presupposti.
Le ipotesi di litisconsorzio necessario discendono dalla norma di carattere generale di cui all'art. 102 c. p. c., secondo il quale "se la decisione non può pronunciarsi che nei confronti di più parti queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito". Oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, inoltre, si versa in ipotesi di litisconsorzio necessario tutte le volte che la sentenza debba essere pronunciata contemporaneamente nei confronti di più parti, risultando la sentenza, in difetto della chiamata in giudizio delle parti mancanti, " inutiliter data " anche per le stesse parti originariamente presenti nel processo. Ciò accade nel caso di "rapporto sostanziale plurisoggettivo unico", la cui intima inscindibilità deve trovare riscontro in un rapporto processuale parimenti plurisoggettivo e inscindibile.
Pertanto, la chiamata in giudizio del litisconsorte necessario pretermesso non determina alcun effetto ampliativo dell'oggetto del giudizio, ma piuttosto attiene al concetto di reintegrazione processuale del contraddittorio, inizialmente instaurato in ambito soggettivo più circoscritto rispetto al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
L'effetto ampliativo dell'oggetto del giudizio si determina, invece, nelle ipotesi di litisconsorzio facoltativo, nelle quali alla pluralità di parti corrisponde una pluralità di cause, tra loro collegate da un rapporto di connessione per l'oggetto o per il titolo (connessione propria) o dalla necessità della risoluzione di identiche questioni aventi carattere pregiudiziale (connessione impropria); in particolare, le cause trattate mantengono una loro autonomia, risultando concentrate nell'ambito dello stesso processo per effetto della valutazione discrezionale ed incensurabile del giudice in ordine allo svolgimento del " simultaneus processus "; tuttavia, l'unitarietà del giudizio incide sulla formazione del convincimento del giudice in quanto i fatti risultano accertati in modo uniforme rispetto a tutti i litisconsorzi, ciascuno dei quali potrà giovarsi dell'altrui attività difensiva.
Con specifico riferimento, infine, alla chiamata in giudizio del terzo, il codice di procedura civile prevede le due distinte ipotesi di chiamata ad istanza di parte (art. 106 c.p.c.) o per ordine del giudice (art. 107 c.p.c.). L'art. 106 c.p.c., in particolare, prevede che "ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita"; nel primo caso la parte afferma che la titolarità del rapporto giuridico per cui è causa, o di altro rapporto ad esso connesso oggettivamente o legato dal nesso di pregiudizialità, faccia capo al terzo; nel secondo caso il convenuto chiama in causa il proprio garante per averne aiuto nella difesa e, in caso di soccombenza, per esercitare l'azione di regresso.
La chiamata del terzo, oltre che dal convenuto, potrà essere richiesta anche dall'attore, se l'interesse sia sorto in conseguenza delle difese prodotte dal convenuto. Nella prima ipotesi essa si configura quale facoltà difensiva libera del convenuto, nella seconda ipotesi, invece, l'attore dovrà, a pena di decadenza, richiedere l'autorizzazione alla chiamata del terzo in occasione della prima udienza.
Alla luce di siffatte considerazioni, la fattispecie in esame, dalle notizie fornite, può essere inquadrata nell'ipotesi di cui al citato art. 106 c.p.c., in quanto il comune ha chiesto ed ottenuto, con autorizzazione del giudice, la chiamata in causa del terzo, interessato a subentrare per surroga, configurandosi, così, un'ipotesi di litisconsorzio successivo, con arricchimento di parti in corso di causa, e facoltativo in quanto ad istanza di parte.
Ciò posto, il terzo, a seguito della chiamata in causa da parte del comune-convenuto, è diventato "parte" nel pendente giudizio civile e, pertanto, si configura nei suoi confronti la causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 4 del T.U.E.L., rammentando che ciò che rileva ai fini della sussistenza dell'incompatibilità " de qua " è il concetto tecnico di parte in senso processuale che non è riferibile, invece, in chiave sostanzialistica, alla diversa figura del soggetto genericamente interessato all'esito della lite per le ricadute patrimoniali che possano derivargliene.
Pertanto, l'ente in oggetto dovrà procedere alla surroga del consigliere dimissionario con il primo dei non eletti che segue nella medesima lista e, ove non sussistano cause di ineleggibilità, avviare la procedura di cui all'art. 69 del decreto legislativo n. 267/2000 nei confronti del consigliere subentrato per la contestazione di incompatibilità in cui versa.