Diniego opposto dal Sindaco di un comune di convocare il consiglio comunale straordinario "aperto" su iniziativa di un quinto dei consiglieri appartenenti alla minoranza
Si fa riferimento ad una nota con la quale si chiede l'avviso della scrivente in ordine al diniego opposto dal Sindaco di un comune di convocare il consiglio comunale straordinario "aperto" su iniziativa di un quinto dei consiglieri appartenenti alla minoranza (vedi nota in data 17 maggio scorso), a seguito di un'istanza popolare, per la trattazione, previo inserimento nell'ordine del giorno, di una questione non espressamente di competenza del Consiglio comunale, riguardante, in particolare l'argomento "installazione di un ripetitore per la telefonia mobile".
Al riguardo, giova premettere che l'istituto del 'consiglio comunale aperto', disciplinato da taluni statuti e regolamenti comunali, è inquadrabile tra le forme di partecipazione popolare alla vita pubblica locale di cui all'art.8 del T.U.O.E.L. 267/2000, per il quale 'nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonchè procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli e associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere, altresì, determinate le garanzie per il loro tempestivo esame'.
Negli statuti e nei regolamenti comunali che hanno disciplinato espressamente la materia, il 'consiglio comunale aperto' viene costantemente inteso 'come seduta del Consiglio alla quale la popolazione è invitata a partecipare e ad intervenire nella discussione dell'argomento all'ordine del giorno e ad esprimere sullo stesso le proprie opinioni' (cfr., tra i tanti, il regolamento per il funzionamento del Consiglio comunale di Pecetto Torinese).
Lo statuto del Comune di xxxxxxx, pur non disciplinando espressamente l'istituto in questione, prevede, all'art.30, che 'il Comune garantisce l'effettiva partecipazione democratica di tutti i cittadini all'attività politico-amministrativa, economica e sociale della comunità' e 'favorisce le assemblee e consultazioni sulle principali questioni di scelta'.
Inoltre, anche l'art.31 del medesimo statuto, dispone che l'amministrazione comunale faciliti l'esercizio del diritto di promuovere riunioni ed assemblee, 'mettendo le sedi ed ogni altra struttura e spazio idonei a disposizione' dei cittadini, dei gruppi e degli organismi sociali a carattere democratico che ne facciano richiesta e, soprattutto che 'gli organi comunali possono convocare assemblee di cittadini, di lavoratori, di studenti e di ogni altra categoria sociale.... per dibattere problemi'.
Ciò posto, anche qualora si ritenesse di poter ravvisare in tali disposizioni un istituto analogo a quello del 'consiglio comunale aperto', pur non essendo regolamentate le forme di partecipazione della popolazione alle sedute del consiglio comunale, non sembra che possa ravvisarsi un obbligo per il Sindaco di convocare tali assemblee di cittadini, considerato che il citato art.31 dello statuto prevede che la detta convocazione sia una facoltà ('possono') e non un obbligo per gli organi comunali.
Distinte considerazioni merita invece la richiesta di convocazione di un consiglio straordinario formulata al Sindaco dai consiglieri di minoranza con la medesima nota del 17 maggio scorso.
Al riguardo, per quanto attiene alla generale tematica della convocazione del consiglio comunale si ritiene di poter condividere l'orientamento di codesta Prefettura, che corrisponde a quanto già espresso nel corso di risposte formulate dalla scrivente su quesiti aventi analogo oggetto.
In proposito, si ribadisce, infatti, che l'art. 39, comma 2, del T.U.O.E.L. n. 267/2000 prevede espressamente che - ... il presidente del consiglio comunale ( il sindaco nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti ) è tenuto a riunire il consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri ... inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste-.
La norma sembra, pertanto, configurare un obbligo del Presidente del consiglio comunale (o del Sindaco) di procedere alla convocazione dell'organo assembleare, - come si evince dalla previsione del termine di adempimento (20 giorni) - per la trattazione da parte del Consiglio, delle questioni richieste, senza alcun riferimento alla necessaria adozione di determinazioni, da parte del consiglio stesso.
Tale diritto di iniziativa, del resto, " ... è tutelato in modo specifico dalla legge con la previsione severa ed eccezionale della modificazione dell'ordine delle competenze mediante intervento sostitutorio del Prefetto in caso di mancata convocazione del consiglio comunale in un termine emblematicamente breve (venti giorni) (vedasi T.A.R. Puglia, Sez. 1, 25 luglio 2001,n.4278).
L'orientamento che vede riconosciuto e definito '... il potere dei consiglieri (-della minoranza-) di chiedere la convocazione del Consiglio medesimo' come 'diritto' dal legislatore è, quindi, ormai ampiamente consolidato (vedasi T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I del 4 febbraio 2004, n. 124).
La questione sulla sindacabilità, dei motivi che determinano i consiglieri a chiedere la convocazione straordinaria dell'assemblea, si è ormai da tempo orientata, nel senso che al Presidente del Consiglio (o al Sindaco), spetti solo la verifica formale della richiesta (prescritto numero di consiglieri), non potendo comunque sindacarne l'oggetto.
Consolidata giurisprudenza in materia si è da tempo espressa affermando che, in caso di richiesta di convocazione del consiglio da parte di un quinto dei consiglieri, 'al presidente del consiglio comunale spetta soltanto la verifica formale che la richiesta provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non può sindacarne l'oggetto, poiché spetta allo stesso consiglio nella sua totalità la verifica circa la legalità della convocazione e l'ammissibilità delle questioni da trattare, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell'assemblea in nessun caso potrebbe essere posto all'ordine del giorno' (T.A.R. Piemonte, Sez. Il, 24 aprile 1996, n. 268).
Più di recente, inoltre, si è sostenuto che - ... appartiene ai poteri sovrani dell'assemblea decidere in via pregiudiziale che un dato argomento inserito nell'ordine del giorno non debba essere discusso (questione pregiudiziale) ovvero se ne debba rinviare la discussione (questione sospensiva) (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. 1, 25 luglio 2001, n. 4278 e sempre T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. 1, 4 febbraio 2004, n. 124).
Sarà pertanto il consiglio comunale a dover decidere, in via pregiudiziale, se procedere o meno all'esame della questione proposta dai consiglieri di minoranza.
A tal fine, occorrerà tener presente che, in assenza di una specifica previsione negli strumenti urbanistici comunali, la collocazione degli impianti di telefonia mobile, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, -deve ritenersi consentita sull'intero territorio comunale, non assumendo carattere ostativo le specifiche destinazioni di zona (residenziale, verde, agricola etc.) rispetto ad impianti di interesse generale quali quelli della telefonia mobile, che presuppongono la realizzazione di una rete che dia uniforme copertura all'intero territorio comunale, in quanto la
localizzazione nelle sole zone in cui ciò è espressamente consentito si porrebbe in contrasto proprio con l'esigenza di permettere la copertura del servizio sull'intero territorio". (C.d.S., sez. VI, 10 febbraio 2003, n. 673).
Secondo il medesimo indirizzo giurisprudenziale, in sede di esame di domanda di permesso di costruire per l'installazione di impianto di telefonia mobile, il Comune deve limitarsi a verificare la conformità dell'intervento rispetto alle norme urbanistico-edilizie, non dovendo fornire una motivazione in ordine alla localizzazione dell'intervento, che in questa fase non è nella disponibilità dell'Amministrazione, ma del soggetto richiedente.
Va inoltre considerato che la competenza al rilascio del permesso di costruire in questione è attribuita, proprio per i motivi suesposti, agli organi burocratici del Comune, ai quali non è riservata alcuna discrezionalità nell'an, una volta verificata la suddetta conformità urbanistica ed il rispetto
dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici previsti dal decreto interministeriale n. 381 del 10 settembre 1998.
Sotto tale profilo, pertanto, trattandosi di un singolo provvedimento di competenza degli organi burocratici (l'stanza popolare riguarda, infatti, prioritariamente 'l'installazione di un ripetitore di telefonia mobile in contrada Colle della Guardia') il Consiglio comunale potrebbe motivatamente decidere di non procedere all'esame della questione proposta dai consiglieri di minoranza, in quanto non riconducibile alle proprie competenze e non riguardante funzioni di indirizzo, bensì mere attività di gestione.
Va tuttavia rilevato che nell'istanza popolare allegata alla richiesta di convocazione del Consiglio viene chiesto, tra l'altro, di 'disciplinare la materia a mezzo dello strumento urbanistico, ossia adottando un regolamento specifico o prevedendo varianti al piano regolatore o ad altro piano comunale'.
Sotto tale diverso profilo il Consiglio comunale ben potrebbe decidere di esaminare la questione, considerato che i Comuni possono – ai sensi dell'art.8, comma 6, della legge n. 36 del 2001 – 'adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici' e che il Consiglio comunale è competente, in base all'art.42 del T.U.O.E.L. 267/2000, ad approvare tutti i regolamenti comunali, ad eccezione di quello sull'ordinamento degli uffici e dei servizi.
La giurisprudenza ha peraltro precisato che 'la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli previsti dallo Stato non rientra tra le competenze attribuite ai Comuni' (C.d.S., Sez. VI, 3 giugno 2002, n. 3098).
Coerentemente con tale orientamento il giudice amministrativo (cfr. T.A.R. Lazio, Sezione II, n. 6405/2001) ha annullato, ad esempio, un regolamento comunale per l'installazione di antenne e annessi apparati di telefonia cellulare, con il quale venivano fissati limiti di emissione più rigorosi rispetto a quelli stabiliti dal D.M. 10 settembre 1998, n. 381 e individuate distanze minime delle stazioni radio base dagli edifici e, in particolare, uno specifico regime delle distanze per gli edifici a maggiore tutela (scuole, ospedali, case di cura e di riposo, parchi giochi e relative pertinenze).
Ciò in quanto il Comune, con tale regolamento, aveva inteso esercitare competenze in materia di tutela della salute che non gli spettavano e che nello specifico settore erano riservate allo Stato.
Secondo il richiamato indirizzo giurisprudenziale anche il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia - urbanistica e il dichiarato intento di esercitare le proprie competenze in materia di governo del territorio non possono giustificare l'adozione di misure che nella sostanza costituiscono indirettamente una deroga ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale, che ha lo stesso effetto di sovrapporre una determinazione cautelativa ispirata al principio di precauzione alla normativa statale che ha fissato i limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa.
Stesso discorso può essere fatto anche per la previsione di specifiche distanze fisse minime tra gli impianti in questione ed ogni tipo di abitazione (diverse dalle ordinarie distanze fissate per gli edifici), trattandosi di misura che non trova giustificazione sotto il profilo urbanistico - edilizio e che di fatto costituisce anche'ssa una deroga ai limiti fissati dallo Stato.
L'introduzione di misure tipicamente di governo del territorio (distanze, altezze, localizzazioni ecc.) trova giustificazione, secondo l'orientamento citato, solo se sia conforme al principio di ragionevolezza ed alla natura delle competenze urbanistico - edilizie esercitate e sia sorretta da una sufficiente motivazione sulla base di risultanze, acquisite attraverso una istruttoria idonea a dimostrare la ragionevolezza della misura e la sua idoneità al fine perseguito.
Le precedenti considerazioni valgono anche alla luce del vigente quadro normativo, in cui alle competenze dei Comuni dirette ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, si aggiunge quella di 'minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici' (art. 8, comma 6 della legge n. 36/2001).
La previsione di tale competenza in aggiunta a quella urbanistica sembra voler significare che si tratti di una competenza diversa, che comunque deve essere esercitata nel rispetto del descritto quadro normativo di riferimento: tali misure non possono quindi in alcun modo prevedere limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato, né possono di fatto costituire una deroga generalizzata o quasi a tali limiti, essendo invece consentita l'individuazione di specifiche e diverse misure, la cui idoneità al fine della 'minimizzazione' emerga dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico.
Tanto premesso, si ritiene conclusivamente che sussista per il Sindaco l'obbligo di convocare il Consiglio comunale per la trattazione della questione, fatta salva la discrezionalità di quest'ultimo di valutare in via pregiudiziale, anche sulla base delle considerazioni suesposte, se ed entro quali limiti debba procedere all'esame dello specifico punto posto all'ordine del giorno.