Ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 63, comma 1, n. 4, del D.Lgs. n. 267/2000.

Territorio e autonomie locali
29 Settembre 2004
Categoria 
12.01.04 Incompatibilità
Sintesi/Massima 

Ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 63, comma 1, n. 4, del D.Lgs. n. 267/2000. -Sussistenza

Testo 

E' stato chiesto un parere in merito all'eventuale sussistenza della causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 4, del D.Lgs. n. 267/2000, per un consigliere comunale, socio di una società in nome collettivo la quale ha due liti pendenti con il comune predetto, in quanto parte in altrettanti procedimenti amministrativi.
Va rappresentato, in via preliminare, che le cause ostative all'espletamento del mandato elettivo, disciplinate dal D.Lgs. n. 267/2000, incidendo direttamente sull'esercizio del diritto di elettorato passivo, sono di stretta interpretazione e come tali non suscettibili di estensione analogica.
L'art. 63, comma 1, n. 4 del D.Lgs. n. 267/2000 dispone che non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale, circoscrizionale colui che ha lite pendente in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo rispettivamente con il comune o con la provincia.
In siffatte ipotesi, l'incompatibilità trova fondamento e giustificazione nel pericolo che il conflitto di interessi determinativo della lite medesima possa orientare le scelte dell'eletto in pregiudizio dell'ente amministrato, o comunque possa ingenerare, all'esterno, sospetti al riguardo; donde risponde ad una scelta del legislatore di sacrificio del diritto alla carica a fronte di detta eventualità. Pertanto, la finalità della norma è quella di garantire che l'esercizio del mandato elettorale sia corretto e non impedito da pericolose iinterferenze di finalità individuali con esigenze di pubblico interesse.
L'incompatibilità prospettata dalla citata norma, va accertata con riferimento al concetto tecnico di 'parte', inteso nel senso processuale, che, non è riferibile, in chiave sostanzialistica, alla diversa figura del soggetto genericamente interessato all'esito della lite per le ricadute patrimoniali che possano derivargliene.
Tale prospettazione trova puntuale riscontro nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cassazione civ., sent. n. 6880 e n.10335 del 2001), ferma nel ritenere che per la sussistenza della predetta causa di limitazione all'espletamento del mandato elettivo è necessario far riferimento al concetto tecnico di parte in senso processuale.
Le parti del processo, anche in assenza di una espressa definizione legislativa, sono univocamente individuate, in dottrina ed in giurisprudenza, in quei soggetti, i quali, a seguito del compimento di determinati atti processuali (proposizione della domanda, costituzione nel processo), assumono la qualità e la conseguente titolarità di una serie di poteri e facoltà processuali.
La Suprema Corte ha precisato che il concetto di 'parte' del giudizio ha portata essenzialmente processuale e non è quindi riferibile alla diversa figura del 'soggetto interessato all'esito della lite per le ricadute patrimoniali che possano derivargliene'.
Il predetto concetto, pertanto, non può essere esteso a tutti coloro che potrebbero trarre vantaggio da una pronuncia giurisdizionale, in quanto si aprirebbe il varco ad una compressione ingiustificata del diritto costituzionalmente garantito di ricoprire una carica amministrativa.
Riguardo, poi, al caso in esame, va, preliminarmente, considerato che nella società in nome collettivo la responsabilità illimitata e solidale del socio ha natura sussidiaria, essendo riconosciuto allo stesso il beneficium excussionis, in base al quale il creditore sociale non può pretendere il pagamento da un singolo socio se non dopo l'escussione del patrimonio sociale, ciò perché nelle società di persone, quale è la società in nome collettivo, il patrimonio sociale ha una sua autonomia costituendo una comunione particolare qualificata dallo scopo ed unificata in funzione di esso, con conseguente indisponibilità, da parte del singolo socio, dei beni conferiti e di quelli successivamente acquistati, in quanto tale società, benché sprovvista di personalità giuridica, costituisce, tuttavia, un distinto centro di interessi e, quindi, di imputazione di rapporti giuridici (cfr. Cass. n. 3797/1988).
Nel caso in esame i ricorsi al T.A.R. risultano presentati, in nome e per conto della società, unicamente dal socio cui lo statuto societario ha affidato l'amministrazione della società e la rappresentanza in giudizio, in quanto nelle società in nome collettivo, secondo il modello legale (art. 2257 cod. civ.) ogni socio è amministratore della società. L'atto costitutivo, tuttavia, può prevedere, come nella fattispecie qui esaminata, che l'amministrazione sia riservata solo ad alcuni soci. Inoltre secondo il modello legale (artt. 2266, comma 2 e 2298), in mancanza di diversa disposizione dell'atto costitutivo, vi è puntuale coincidenza fra potere gestorio e potere di rappresentanza, riconoscendo, nei casi in cui l'amministrazione della società è riservata soltanto ad alcuni soci, a quelli esclusi dall'amministrazione solo poteri di informazione e di controllo (art. 2261 cod. civ.).
Nella fattispecie in esame, il socio – consigliere comunale non è 'parte' dei giudizi instaurati contro il Comune, in quanto, così come risulta dal certificato camerale, non ha nè il potere di rappresentare in giudizio la società né quello gestorio, e, pertanto, potrà essere, in quanto socio, solo un soggetto interessato all'esito della lite per le ricadute patrimoniali che potranno derivargliene.
Sulla base delle suesposte considerazioni, si ritiene che non sussista nella fattispecie rappresentata la causa di incompatibilità prevista dall'art. 63, comma 1, n. 4 del D.Lgs. n. 267/2000.