- Quesito in ordine alla possibilità, per i regolamenti comunali e provinciali, di integrare le previsioni dell’art. 16 della legge n. 3 del 2003
Si fa riferimento ad una nota con la quale si chiede l'avviso di questo Ministero in ordine alla possibilità, per i regolamenti comunali e provinciali, di integrare le previsioni dell'art. 16 della legge n. 3 del 2003, fissando specifici limiti edittali per le violazioni delle proprie disposizioni, purché, ovviamente, contenute entro i limiti minimo ( 25 euro ) e massimo ( 500 euro ) stabiliti dalla legge medesima.
Al riguardo, va preliminarmente rilevato che, in materia di sanzioni amministrative, vige la riserva di legge posta dall'art. 23 della Costituzione che dispone che ' nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge'.
Al precetto costituzionale fa poi riscontro l'art. 1 della legge 689 del 1981, secondo cui ' nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione '.
Mentre la riserva di legge posta dalla Costituzione riveste indubbiamente carattere relativo, la seconda, come precisato dalla Corte Suprema di Cassazione, è analoga a quella contenuta per l'illecito penale nell'art. 25 della Costituzione ed è quindi assoluta ( Cassaz. Sez. I, 7 aprile 1999 n. 3351 ) o, rectius, generale ( Cassaz, Sez. I, 22 giugno 1995 n. 7038 ).
Poiché, tuttavia, l'efficacia di tale riserva – a differenza della riserva assoluta prevista per l'illecito penale – non è di rango costituzionale, è sufficiente una norma di legge ordinaria, qual è quella in questione (art. 16 legge 3/2003), per derogare alla citata legge 689 e rendere possibile l'introduzione di sanzioni amministrative mediante fonti secondarie ( in tal senso, cfr. Cassaz. Sez. I, 6 novembre 1999, n. 12367, nonché Consiglio di Stato, Sez. I, 17 ottobre 2001, n. 885 ).
In altri termini, l'art. 23 della Costituzione preclude che le sanzioni amministrative siano comminate direttamente mediante disposizioni di fonti normative secondarie, ma non esclude che ' i precetti, sufficientemente individuati da una legge ordinaria, siano eterointegrati da norme regolamentari'.
Tale indispensabile opera di mediazione era svolta dall'art. 106 del previgente T.U. 3 marzo 1935, n. 383, prima della sua abrogazione da parte dell'attuale T.U.O.E.L. n. 267/2000, e ad analoga funzione è ora preordinato l'art. 16 della legge 3/2003.
Anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale (a partire dalle sentenze nn. 4 e 122 del 1957), nell'identificare la porzione della disciplina della prestazione imposta che può essere demandata alla fonte secondaria, vi ha sempre ricompreso la determinazione quantitativa della prestazione pecuniaria, ammettendo che la legge possa contenere solo l'indicazione di criteri direttivi o di limiti alla discrezionalità dell'ente cui è rimessa l'imposizione, così da non lasciare all'arbitrio di quest' ultimo la determinazione della prestazione.
Seguendo tale linea interpretativa, la Corte Costituzionale (sentenza n. 93/1963) ha affermato altresì che la fissazione da parte della legge di un limite massimo della prestazione 'rende legittima l'attribuzione al Comune di un potere di determinazione dell'aliquota, nell'ambito di una equilibrata visione delle proprie esigenze amministrative'.
Non può, pertanto, dubitarsi che le disposizioni in questione rispecchiano compiutamente i parametri costituzionali, in quanto stabiliscono sia le fattispecie sanzionabili (cioè le violazioni dei regolamenti comunali e provinciali), sia dei limiti per l'irrogazione della sanzione (un minimo di 25 euro ed un massimo di 500 euro).
Si ritiene quindi che, pur in assenza di una espressa norma che conferisca ai regolamenti comunali e provinciali il potere di integrare le suddette disposizioni, tale potere rinvenga un proprio sicuro fondamento nell'art. 117 della Costituzione, che al sesto comma prevede che 'i Comuni e le Province hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite'.
Ciò consente senza dubbio ai Comuni ed alle Province di graduare la sanzione pecuniaria da applicare, in base ad un diverso valore dei vari interessi pubblici lesi dalla violazione delle norme contenute nei singoli regolamenti comunali e provinciali, valore che può essere correttamente ponderato solo dai soggetti istituzionali cui l'ordinamento affida la cura degli interessi pubblici medesimi.
In tal modo, le norme regolamentari produrranno un ulteriore effetto positivo per l'ordinamento, consistente nella contrazione del potere discrezionale della pubblica amministrazione, operata mediante una attenuazione della 'forbice' prevista dalla legge - invero molto ampia - anche in considerazione degli scarsi parametri normativi offerti dalla legge all'operatore essendo i criteri per l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie tuttora quelli recati dall'art. 11 della legge 689 del 1981.