Rimborsi spese- Richiesta parere in ordine all’eventuale rifusione delle spese legali sostenute da dipendenti e/o amministratori sottoposti a procedimento penale con più capi di imputazione conclusisi con esiti differenziati, in conseguenza di fatti ed

Territorio e autonomie locali
16 Giugno 2004
Categoria 
13.01.07 Rimborsi spese
Sintesi/Massima 

Rimborsi spese
- Richiesta parere in ordine all’eventuale rifusione delle spese legali sostenute da dipendenti e/o amministratori sottoposti a procedimento penale con più capi di imputazione conclusisi con esiti differenziati, in conseguenza di fatti ed atti connessi all’espletamento della propria attività istituzionale

Testo 

Un Ente ha chiesto il parere di questo Ministero in ordine all'eventuale rifusione delle spese legali sostenute da dipendenti e/o amministratori sottoposti a procedimento penale con più capi di imputazione conclusisi con esiti differenziati, in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento della propria attività istituzionale, in applicazione del d.P.R. n. 268/1987 e dell'art. 28 del CCNL comparto regioni-Autonomie locali.
In particolare, l'ente ha riferito che alcuni funzionari già imputati di reato ai sensi degli artt. 81, 110, e 323 c.p. sono stati assolti 'perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato', ed altri imputati di reato ai sensi degli artt. 81, 110, 316 e 640 c.p. sono stati assolti per intervenuta prescrizione per alcuni e per morte del reo in relazione ad un Dirigente, in un contesto processuale che ha visto l'Ente locale parte civile.
Ciò stante, essendo unico il procedimento penale, la parcella rilasciata dal legale non ha riferimenti oggettivi idonei per distinguere la parte degli onorari che si riferiscono al capo di imputazione risoltosi con l'assoluzione, dalla parte riferita al procedimento estinto per prescrizione e/o per morte.
Pertanto, codesto Ente ha chiesto di conoscere in quale misura ed entità possa riconoscersi ai dipendenti coinvolti o aventi titolo il rimborso delle spese legali, anche in ragione di quanto stabilito dal C.d.S., Sez. V, con sentenza n. 498 del 20.5.1994.
Al riguardo, occorre in via preliminare richiamare l'art. 28 del C.C.N.L. successivo a quello dell'1.4.1999, stipulato il 14.9.2000, che peraltro riproduce testualmente l'art. 67 del d.P.R. n. 268/1987, il quale recita 'l'ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento'.
La citata disposizione è ripetuta per l'area dirigenziale dall'art. 12 CCNL dirigenza per il biennio 1.1.2000 – 31.12.2001.
Ciò stante, occorre rilevare che l'assunzione dell'onere relativo all'assistenza legale del dipendente da parte dell'Ente non è automatica ma presuppone alcune valutazioni che si ricavano dalla formulazione delle citate norme contrattuali, valutazioni che debbono accertare la sussistenza dell'interesse del comune di assicurare una buona e ragionevole amministrazione delle risorse economiche e di tutelare il proprio decoro e la propria immagine.
Pertanto, l'esatto adempimento, nella ratio e nella lettera, delle statuizioni del predetto art. 28, obbliga l'ente, prima di convenire di assicurare a proprio carico ogni onere di difesa in un procedimento di responsabilità civile o penale aperto nei confronti di un proprio dipendente, a valutare la sussistenza delle seguenti condizioni:
- se ricorra la necessità di tutelare i propri diritti e i propri interessi e la propria immagine;
- se sussista conflitto di interessi con il dipendente come in tutti i casi in cui questi abbia posto in essere atti illegittimi;
- se i fatti (ritenuti in un primo momento illeciti), oggetto del procedimento penale e civile, siano stati commessi dal dipendente in modo inequivocabile durante l'espletamento del servizio e per l'adempimento dei compiti d'ufficio.
Quindi, l'Amministrazione deve rigorosamente esaminare se sussista la piena coincidenza fra la posizione del dipendente e quella dell'ente, ovvero se l'imputazione riguardi un'attività svolta in diretta connessione con i fini del Comune e sia imputabile all'ente stesso.
Condizione determinante, tuttavia, è la verifica dell'insussistenza di un conflitto di interessi, il quale dovrà essere valutato non solo sotto il profilo della responsabilità penale, ma anche sotto i profili disciplinare e amministrativo per mancanze attinenti al compimento dei doveri d'ufficio.
La numerosa giurisprudenza in materia è concorde nel sostenere la necessità che l'Ente, al fine di stabilire se il dipendente abbia agito nell'interesse del comune e non in conflitto di interessi, compia delle valutazioni nel merito delle singole fattispecie concrete.
Si evidenzia, inoltre, che anche la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 197 del 2000, ritenendo, tra l'altro, costituzionalmente legittima una norma regionale che prevede l'indennizzabilità degli oneri di difesa sopportati dai soli dipendenti (e non già anche degli amministratori) nel caso in cui si trovino sottoposti ad un procedimento in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio e dei compiti di ufficio, ha subordinato tale eventualità alla conseguente dichiarazione di non responsabilità.
Occorre, dunque, verificare ai fini del giudizio sulla applicabilità del beneficio, se la condotta del dipendente per la quale è stata ipotizzata la responsabilità, possa considerarsi o meno 'direttamente connessa' all'espletamento dei compiti d'ufficio, ovvero posta in essere a causa e non semplicemente in occasione dell'espletamento dei compiti d'ufficio.
E' evidente che la diretta connessione richiesta non si configura nei casi di mera accidentalità della condotta rispetto all'espletamento dei compiti d'ufficio, ma deve esistere un nesso finalistico tra l'uno e l'altro nel senso che il comportamento tenuto deve potere essere considerato, secondo valutazioni di oggettiva ragionevolezza, strumentale all'espletamento dei compiti, e cioè da esso inequivocabilmente originato e orientato.
Sulla premessa di un esito positivo della suddetta verifica, occorre, poi, riscontrare l'insussistenza di un conflitto di interessi tra l'amministrazione e il dipendente.
Nella fattispecie in esame non sembra che possano considerarsi sussistenti i presupposti del rimborso delle spese legali.
Con riguardo alla fattispecie per la quale la assoluzione è intervenuta a seguito di modifiche normative che non consentono di ritenere più penalmente rilevante la condotta (abolitio criminis), occorre rilevare che la giurisprudenza (Cass. Pen. Sez. VI, n. 2520 dell'11 marzo 1992) ritiene l'inapplicabilità dei principi attinenti alla successione nel tempo delle leggi penali (art. 2 c.p.) al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta depenalizzata, il quale resta regolato dall'art. 11 delle preleggi: il diritto al risarcimento permane anche a seguito dell'abolitio criminis. Se, dunque, la illiceità della condotta depenalizzata rileva persistentemente sul piano civilistico, a giudizio di quest'Ufficio, deve ritenersi presente quel conflitto di interessi che preclude la rimborsabilità e che si radica sul fatto che, al tempo dalla condotta, l'atto era obiettivamente confliggente con gli interessi del Comune in quanto contrario alla legge.
Con riguardo alla fattispecie per la quale è stata dichiarata l'estinzione del procedimento per intervenuta prescrizione e per morte dell'imputato, si rileva, come presupposto necessario del rimborso, che l'assoluzione sia intervenuta con formula piena. Tale non è l'assoluzione per motivi procedurali (prescrizione) o per il sopravvenire di un fatto che ha precluso il giudizio (morte), tanto più che la costituzione dell'ente come parte civile nel giudizio aveva fatto emergere lo stato di conflitto di interesse.