Ineleggibilità
– Incompatibilità sopravvenuta per un consigliere comunale, che già lavoratore “socialmente utile”, ha stipulato con il comune un contratto di collaborazione coordinata e continuativa per un periodo di tre anni
E' stato chiesto se sia sopravvenuta incompatibilità per un consigliere comunale, che già lavoratore 'socialmente utile', ha stipulato con il comune un contratto di collaborazione coordinata e continuativa per un periodo di tre anni. Viene specificato al riguardo che la regione finanzia più dei due terzi dell'onere relativo alla predetta collaborazione quale incentivo per la stabilizzazione mentre i contributi previdenziali ed assistenziali a carico del lavoratore e del comune sono corrisposti dallo Stato.
E' stato precisato che il predetto contratto decorre dal 1° gennaio 2003 e il consigliere in questione, in qualità di geometra, opera nell'ufficio tecnico del comune 'svolgendo identiche attribuzioni del responsabile del servizio'.
La questione sollevata va analizzata alla luce dell'art. 60, comma 1, n. 7, del decreto legislativo n. 267/2000, ai sensi del quale non sono eleggibili nel rispettivo consiglio comunale i dipendenti del comune.
Va tenuto conto che, in base all'art. 63, comma 1, n 7, dello stesso T.U., l'amministratore che nel corso del mandato viene a trovarsi in una condizione di ineleggibilità, versa in una situazione di incompatibilità.
Al fine di identificare il rapporto tra ente locale e amministratore lavoratore come suscettibile di provocare l'incompatibilità sopravvenuta di quest'ultimo, occorre fare riferimento ai poteri di organizzazione, disciplina e regolamentazione del rapporto, che qualificano lo stesso come di dipendenza, che può configurarsi non solo per il lavoro a tempo indeterminato, ma anche per talune ipotesi di lavoro a tempo determinato.
L'art. 49, comma 2, lett. a), del D.P.R. n. 917/86, recante il testo unico sulle imposte dei redditi, nell'includere tra i redditi di lavoro autonomo i redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, definisce come tali i rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività che pur avendo contenuto professionale sono svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.
La Corte di Cassazione, con giurisprudenza costante (cfr.: Sez. Lavoro: sent. n. 3058 del 2003; sent. n. 10310 del 2002; sent. n. 15266 del 2001; sent. n. 6147 del 2001), ha ravvisato nel rapporto di collaborazione coordinata e continuativa gli elementi del contratto di lavoro autonomo di natura privatistica.
Tuttavia, in più occasioni l'Alto Consesso (cfr., ad esempio, Sez. Lavoro: sentenze n. 5960 del 1999, n. 224 del 2001 e n. 9839 del 2002) ha ritenuto che, in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli fattuali emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi dovesse darsi necessariamente rilievo prevalente. In base a tale assunto ha pertanto accertato che, al di là della qualificazione del contratto di lavoro come autonomo ad esso attribuita dalle parti o dal legislatore, erano stati introdotti, in sede di stipulazione della convenzione o nella concreta gestione della medesima, ulteriori obblighi per il lavoratore tipici del rapporto di lavoro subordinato e incompatibili con la natura autonoma del rapporto.
Ciò premesso, in mancanza di più puntuali informazioni sul provvedimento di stabilizzazione del lavoratore, adottato, da quanto è dato desumere dagli elementi forniti, in attuazione di politiche statali e regionali di sostegno all'occupazione, si ritiene che l'eventuale attribuzione al lavoratore in questione di responsabilità e funzioni che impegnano l'ente all'esterno, possa configurare, alla luce della giurisprudenza richiamata e a prescindere dalla definizione del rapporto, l'avvenuto incardinamento del soggetto in questione nella struttura organizzativa del comune presso cui il lavoratore espleta mandato elettivo e, quindi, la realizzazione di fatto di un vero e proprio rapporto di dipendenza riconducibile alla causa di ineleggibilità prevista dall'art. 60, comma 1, n. 7.