Applicabilità istituto comando - personale comunale presso datori lavoro privati - mediante esercizio unilaterale potere direttivo (ex art. 2104 c.c.).

Territorio e autonomie locali
30 Giugno 2003
Categoria 
15.02.09 Mobilità
Sintesi/Massima 

Mobilità tra pubblico e privato, attuale disciplina -
Legittimità o meno eventuale applicazione istituto comando personale comunale presso datori lavoro privati, mediante esercizio unilaterale potere direttivo (ex art. 2104 c.c.).

Testo 

Un'Amministrazione ha sottoposto a questo Ministero un quesito in ordine alla legittimità di eventuale applicazione dell'istituto del comando nei confronti di personale comunale presso datori di lavoro privati, mediante esercizio unilaterale del potere direttivo (ex art. 2104 c.c.).
Nei suddetti termini, ha rilevato l'Ente, è stato l'orientamento assunto dall'Aran in data 4.12.2000, in merito ad una richiesta relativa alla possibilità di effettuare il comando fra gli enti del comparto, ritenendo appunto ammissibile che un dipendente pubblico potesse essere comandato dal proprio datore di lavoro - in virtù dell'art. 2104 c.c. - a prestare servizio temporaneamente presso altro datore di lavoro pubblico o privato, senza vincoli o prescrizioni, in funzione dell'avvenuta disapplicazione - ai sensi dell'art. 72 del d.lgs. 29/1993 - delle fonti regolatrici del rapporto di lavoro del personale delle regioni e delle autonomie locali, a seguito della sottoscrizione del C.C.N.L. del 14.9.2000.
Ciò posto - in considerazione dell'intervenuta disposizione di cui all'art. 7 della legge 15.7.2002, n. 145 (di introduzione dell'art. 23-bis del d.lgs 30.3.2001, n. 165) disciplinante la mobilità tra pubblico e privato, che ha previsto una deroga all'art. 60 del D.P.R. 10.1.1957 n. 3 - l'Amministrazione ha chiesto di conoscere se, attualmente, la mobilità tra lavoro pubblico e privato, risulti unicamente disciplinata dal predetto art. 7 della legge 145/2002, ovvero sia ancora possibile per il datore di lavoro pubblico comandare autoritativamente – ex art. 2104 c.c. – un proprio dipendente presso un soggetto privato.
Al riguardo, occorre innanzitutto precisare che gli artt. 60 e seguenti del D.P.R. 10.1.1957 n. 3, che disciplinano le incompatibilità e il cumulo di impieghi dei pubblici dipendenti, non hanno mai cessato di essere validi, poiché sono stati fatti salvi dal d.lgs. 3.2.1993, n. 29 fin dalla sua prima stesura, pertanto non sembrano esservi dubbi sul permanere del divieto, nei confronti dei dipendenti pubblici, di assumere impieghi alle dipendenze di privati.
Ciò non esclude che sussistano alcune ipotesi, fra cui quella del rapporto di lavoro a tempo parziale (D.P.C.M. 17.3.1989, n. 117, disciplinato dall'art. 4 del C.C.N.L. del 14.9.2000) in cui è stato consentito al personale interessato, previa motivata autorizzazione dell'amministrazione o dell'ente di appartenenza, l'esercizio di altre prestazioni di lavoro purché queste ultime non fossero di pregiudizio alle esigenze di servizio e incompatibili con le attività di istituto della propria amministrazione.
Ora, con le disposizioni previste dall'art, 23-bis del d.lgs. 30.3.2001, n. 165 (introdotto dall'art. 7 della legge 15.7.2002, n. 145), in ordine alla mobilità tra pubblico e privato, assume particolare rilievo la deroga specifica all'art. 60 del D.P.R. 10.1.1957, n. 3. Infatti, alla luce di detta norma si consente espressamente ai dirigenti pubblici (a domanda) la facoltà di svolgere attività presso soggetti e organismi pubblici e privati, previa domanda di collocamento in aspettativa senza assegni, e relativa disciplina delle incompatibilità.
Il predetto articolo – 23-bis, del d.lgs. 165/2001 – al comma 7, ha inoltre previsto la possibilità da parte delle amministrazioni pubbliche, per singoli progetti di interesse specifico dell'amministrazione, sulla base di appositi protocolli di intesa tra le parti, di disporre l'assegnazione temporanea di personale, previo consenso dell'interessato, presso imprese private, mediante particolareggiata disciplina delle funzioni, delle modalità di inserimento e dell'eventuale attribuzione di un compenso aggiuntivo, da porre a carico delle imprese destinatarie.
In merito alle disposizioni introdotte dalla legge 15.7.2002, n. 145, si rappresenta che le stesse, poiché contenenti principi di valenza generale nell'ambito del pubblico impiego, possono essere applicate dagli enti locali – così come ritenuto da questo Ministero a seguito di esame congiunto della problematica con i rappresentanti dell'A.N.C.I. e dell'U.P.I, formalizzato con circolare n. 3/2002 in data 7.10.2002 – mediante apposita regolamentazione che preveda una disciplina di dettaglio calibrata alla propria specifica condizione, alle relative esigenze organizzative ed alle condizioni strutturali e funzionali.
In base alla ricostruzione normativa sopra descritta pertanto, la facoltà da parte delle amministrazioni pubbliche di disporre l'assegnazione temporanea di personale presso imprese private, postula prioritariamente l'interesse specifico dell'amministrazione all'attività di che trattasi, ed inoltre è rigorosamente subordinata alla stipula dei protocolli di intesa fra le parti e al consenso dell'interessato.
Nel ritenere, quindi, che attualmente le pubbliche amministrazioni debbano fare riferimento esclusivamente alla disciplina in argomento, si rappresenta, in definitiva, che la possibilità di svolgimento di attività lavorativa presso soggetti privati da parte di dipendenti pubblici può avvenire nei seguenti casi: a) per interesse dell'amministrazione pubblica, previa stipula dei prescritti protocolli d'intesa tra il soggetto pubblico e quello privato, e con il consenso dei dipendenti, mediante applicazione dell'art. 23-bis, comma 7, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165 (introdotto dall'art. 7, comma 1, L. 145/2002); b) per interesse del dipendente, soltanto nel caso in cui quest'ultimo ricopra una qualifica dirigenziale, attraverso l'applicazione della disciplina prevista dall'art. 23-bis, della legge 145/2002.