Lavoratrice socialmente utile - Legittimità pagamento prestazioni attività lavorativa per numero ore superiore a normale orario contrattuale
Un U.T.G. ha trasmesso copia della richiesta di tentativo di conciliazione avanzata da una dipendente già impegnata presso un Comune in qualità di lavoratrice socialmente utile addetta alla casa di Riposo.
La ricorrente sostiene di avere prestato servizio presso la predetta struttura dal 20.2.1997 al 19.9.1998 con un impegno orario di 36 ore settimanali.
La richiesta di pagamento delle ore supplementari lavorate, avanzata dalla lavoratrice, tramite il proprio legale, è stata disattesa dall'Amministrazione comunale, la quale, nell'atto di costituzione del Collegio di conciliazione ha osservato che 'non risultano agli atti degli uffici competenti provvedimenti (delibere, determine, ecc.) con cui la suddetta lavoratrice è stata autorizzata ad effettuare prestazioni di attività lavorativa per un numero di ore superiore a quello approvato dalla C.R.I.'.
Successivamente, però è pervenuta la nota dell'Istruttore Ufficio Personale del Comune con la quale si è attestato che la dipendente a fronte di 1594 ore lavorate (per il periodo in questione) ha ottenuto il pagamento di solo 876 ore, con un credito di 719 ore residue.
Al riguardo, è opportuno richiamare l'art. 8 del d. legs. n. 468 dell'1.12.1997 (non abrogato dal successivo decreto legislativo n. 81/2000) il quale al comma 2 puntualizza che 'nel caso di impegno per un orario superiore a 20 ore settimanali entro il limite del normale orario contrattuale, ai lavoratori compete un importo integrativo corrispondente alla retribuzione oraria relativa al livello retributivo iniziale, calcolato detraendo le ritenute previdenziali ed assistenziali previste per i dipendenti che svolgono attività analoghe presso il soggetto utilizzatore'.
Pertanto, la circostanza che l'Amministrazione non abbia autorizzato preventivamente lo svolgimento di surplus di lavoro rispetto a quello finanziato dalla normativa relativa ai lavori socialmente utili, non esimeva l'Ente medesimo dall'adozione di atti cautelativi finalizzati ad impedire il prolungamento orario della prestazione.
Ovvero, l'Amministrazione avrebbe dovuto manifestare formalmente alla lavoratrice l'inopportunità delle prestazioni supplementari. Nel presente caso, anche in mancanza di una esplicita autorizzazione vi è stato un tacito assenso da parte del Comune il quale si è avvalso del lavoro della dipendente con indubbio arricchimento da parte dell'Ente.
Pertanto, in virtù anche della norma sopracitata, alla lavoratrice compete la differenza di retribuzione, per le maggiori ore lavorate, corrispondente alla posizione economica iniziale della categoria a cui il profilo professionale rivestito può essere ascrivibile.
La fondatezza della richiesta, consiglia, dunque, di risolvere la vertenza in sede conciliativa.