Riconoscimento natura pubblico impiego (lavoro subordinato tempo determinato) di prestazioni lavorative svolte ininterrottamente (sotto forma appalto) da persona impiegata servizio assistenza scolastica presso scuola materna ex ONMI, con inserimento organizzazione comune – Controversia materia lavoro (art. 417-bis c.p.c.).
Un Comune ha trasmesso per il tramite del competente Ufficio Territoriale del Governo, ai sensi della norma citata in oggetto, copia del ricorso ex art. 409 c.p.c. proposto da una signora per il riconoscimento della natura di lavoro subordinato a tempo determinato delle prestazioni lavorative svolte dalla predetta, ininterrottamente, dall'anno 1986 al 30.6.2000 sotto forma di appalto.
La ricorrente sostiene di avere svolto il servizio di assistenza scolastica presso una scuola materna ex ONMI, con l'inserimento nell'organizzazione del Comune e con l'assegnazione di compiti relativi alla custodia e alla pulizia della scuola, oltre che di assistenza agli alunni e distribuzione dei pasti ai bambini.
Il tentativo di conciliazione proposto dalla ricorrente, il 13.2.2001, è stato infruttuoso per l'impossibilità della costituzione del collegio.
Con il ricorso in oggetto, la ricorrente insiste nel riconoscimento della natura di 'pubblico impiego' della propria attività, ribadendo che di là del nomen juris attribuito al rapporto tra le parti (appalto), le connesse prestazioni si configuravano quale rapporto di lavoro subordinato, ed in quanto tale, in base anche alla giurisprudenza che è stata citata nel ricorso, ha diritto al pagamento di tutte le retribuzioni spettanti e previste per le mansioni di collaboratrice scolastica dei contratti collettivi di comparto, previa detrazione delle somme già ricevute per tali prestazioni, oltre al versamento delle contribuzioni in materia assistenziale, previdenziale e assicurativa.
Alla documentazione inviata è stata allegata la nota, con cui il Dirigente del I settore del Comune, comunicando la costituzione del collegio di conciliazione, si è limitato a citare la sentenza n. 1300 del 13.3.2000 con cui il Consiglio di Stato ha precisato che 'ai fini dell'accertamento giudiziale del rapporto di pubblico impiego debbono sussistere in concorso i seguenti elementi: continuità e professionalità delle prestazioni lavorative, vincolo di subordinazione gerarchica, percezione di una retribuzione determinata, volontà dell'amministrazione manifestata attraverso comportamenti univoci di inserire il prestatore di lavoro nella propria organizzazione, rispetto di un orario di inizio e termine delle prestazioni'.
Il Dirigente del Comune ha omesso, però, qualsiasi indicazione circa la sussistenza dei predetti elementi in capo alla prestazione lavorativa della ricorrente in oggetto.
Dalla predetta nota, tuttavia, non si evince la volontà del Comune di contrastare in ogni caso la richiesta della ricorrente, lasciando intendere che in presenza dei citati presupposti potrebbe farsi luogo al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato.
Al riguardo, occorre ricordare, che l'art. 1 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369 ha stabilito il divieto di appalto di mere prestazioni di lavoro, anche nei confronti degli enti pubblici. Tale norma, recita testualmente: 'È vietato all'imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono.
È altresì vietato all'imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere, assunti e retribuiti da tali intermediari.
È considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso sia corrisposto un compenso all'appaltante.
Le disposizioni dei precedenti commi si applicano altresì alle aziende dello Stato ed agli enti pubblici, anche se gestiti in forma autonoma, salvo quanto disposto dal successivo art. 8.
I prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni'.
La legge n. 67 del 18.3.1993, di conversione con modificazioni del d. l. n. 9 del 18.1.1993, all'art. 6 bis, sostituiva l'art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, puntualizzando 'I divieti previsti dall'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, non trovano applicazione per le province, i comuni, le comunità montane e i loro consorzi, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), gli enti non commerciali senza scopo di lucro che svolgono attività socio-assistenziale e le istituzioni sanitarie operanti nel Servizio sanitario nazionale.
1. Le province, i comuni, le comunità montane e i loro consorzi, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), gli enti non commerciali senza scopo di lucro che svolgono attività socio-assistenziale e le istituzioni sanitarie operanti nel Servizio sanitario nazionale non sono soggetti, relativamente ai contratti d'opera o per prestazioni professionali a carattere individuale da essi stipulati, all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi in materia di previdenza e di assistenza, non ponendo in essere, i contratti stessi, rapporti di subordinazione.
2. Le disposizioni di cui al comma 2 hanno natura interpretativa e si applicano anche ai contratti già stipulati alla data di entrata in vigore della presente legge".
Il predetto art. 6 bis del d.l. n. 9/93, convertito nella legge n. 67/93 è stato successivamente abrogato dall'art. 74 del d. legs. n. 29/93 e successive modificazioni ed integrazioni'.
La legge, pertanto, ponendo già dall'anno 1960 il divieto di gestire sotto forma di appalto le mere prestazioni di lavoro, subiva, comunque un'evoluzione ponendo nell'anno 1993 una deroga, nei confronti anche degli enti locali. Tale norma di deroga, oggi non è più in vigore intendendosi, pertanto, ripristinato in assoluto il divieto in parola.
E' da dire, comunque, che la giurisprudenza in materia ha sempre riconosciuto il rapporto di pubblico impiego nei casi di effettiva sussistenza degli indici rivelatori della volontà dell'ente d'inserire stabilmente il lavoratore nella propria organizzazione per il perseguimento dei fini istituzionali; lavoratore che, inequivocabilmente, deve dimostrare di avere svolto la propria attività in posizione di subordinazione, con sottoposizione ad orario di lavoro e ad ordini di servizio emanati da organi del Comune, da cui provenivano anche i mezzi per lo svolgimento del lavoro medesimo.
In particolare, si cita la decisione 17 dicembre 1994, n. 440 con cui il T.A.R. Campania, sez. V Napoli, ha affermato che 'A decorrere dall'entrata in vigore dell'art. 1 l. 23 ottobre 1960 n. 1369 (divieto di appalto di mere prestazioni di lavoro, anche nei confronti degli enti pubblici) va riconosciuta, ricorrendone i presupposti, l'esistenza di un rapporto di pubblico impiego non di ruolo, nel caso in cui l'inesistenza di posto vacante in organico escluda che la relazione collaborativa si atteggiasse come rapporto di ruolo'.
Il Consiglio di Stato (Sez. V), 3 ottobre 1997, n. 1094, ha, invece, affermato, 'Non è configurabile la sussistenza di un rapporto di pubblico impiego quando nel provvedimento d'incarico non sia indicato alcun orario d'inizio e di termine dell'attività lavorativa, in quanto difetta in tal caso qualsiasi riferimento all'esclusività ed alla prevalenza della prestazione di lavoro a favore della p.a., per cui il rapporto, più che come appalto, si configura come contratto d'opera, connotato dall'accentuazione della professionalità dell'incaricato (quale criterio essenziale per l'affidamento del servizio), dalla prestazione prevalentemente personale (che non richiede particolare organizzazione imprenditoriale), nonché dalla libertà d'organizzazione (salvo il potere di controllo, peraltro non continuativo, del committente).
Ciò premesso, qualora l'Amministrazione non sia in grado di produrre adeguata documentazione che dimostri l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del rapporto di pubblico impiego, o meglio, qualora tale documentazione sia prodotta direttamente dall'interessata senza possibilità di smentita da parte dell'Ente, l'Amministrazione comunale potrebbe valutare l'ipotesi di una conciliazione in discussione di causa ai sensi dell'art. 420, I comma del c.p.c..