Decadenza - dipendente comunale - per incompatibilità seguito sentenza fallimento.

Territorio e autonomie locali
15 Novembre 2002
Categoria 
15.04.18 Cessazione del rapporto di lavoro
Sintesi/Massima 

Operatività decadenza per incompatibilità (sensi artt. 60 e seguenti, D.P.R. n. 3, del 10.1.1957) in presenza sentenza fallimento emessa confronti dipendente comunale, mai autorizzato svolgere altra attività.

Testo 

Un Ente ha chiesto di conoscere se, in presenza di una sentenza di fallimento emessa nei confronti di un dipendente comunale, operi la decadenza per incompatibilità ai sensi degli artt. 60 e seguenti del D.P.R. 10.1.1957. n. 3, essendo venuti meno i doveri di diligenza, fedeltà ed esclusività da parte del dipendente, il quale non è stato mai autorizzato a svolgere un'altra attività.
Nel precisare inoltre che in base all'art. 18, comma 4, del R.D. 16.3.1942 n. 267 (legge fallimentare) l'opposizione non sospende l'esecuzione della sentenza, codesta Amministrazione ha fatto conoscere di aver avviato il procedimento disciplinare.
Al riguardo, in primo luogo occorre fare presente che in base alla previsione specifica di cui all'art. 53, comma 1, della legge 30.3.2001, n. 165, per tutti i dipendenti pubblici sono state fatte salve: la disciplina sulle incompatibilità di cui agli articoli 60 e seguenti del D.P.R.n. 3/1957, nonché per i rapporti a tempo parziale, alcune disposizioni del D.P.C.M. n. 117 del 17.3.1989 e della legge 23.12.1996, n. 662.
Si ritiene in proposito che le norme soprarichiamate, contenenti regole specifiche cui debbono attenersi le amministrazioni pubbliche nelle varie ipotesi di incompatibilità dei propri dipendenti, debbano essere recepite da ogni singola amministrazione, mediante adozione del relativo regolamento, così come previsto dall'art. 89, comma 2, lett. g) del d.lgs. 18.8.2000, n. 267.
Tuttavia nello specifico si evidenzia che la disciplina dettata dal D.P.R. n. 3/1957, prevede tassativamente che l'impiegato non possa esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati, etc. e qualora non venga meno l'incompatibilità a seguito della diffida, decorsi 15 gg. decade dall'impiego. L'art. 1, commi 57 e seguenti della legge 662/1996, dispone che ai dipendenti pubblici (che prestano lavoro a tempo pieno) è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo, salvo previa autorizzazione, e che la violazione a tale divieto costituisce giusta causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai contratti collettivi nazionali, previo contraddittorio fra le parti.
Appare chiaro che la disciplina cui debbono attenersi le amministrazioni pubbliche è quella dettata dalla legge 662/1996 - contenente sostanzialmente i medesimi principi stabiliti dal D.P.R. n. 3/1957 - la quale risulta evidentemente adeguata alla nuova configurazione privatistica del rapporto di lavoro dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni.
Da tale disposizione si evincono dunque i seguenti elementi fondamentali:
- permane in capo ai dipendenti pubblici che svolgono attività a tempo pieno il dovere di esclusività;
- risulta indispensabile la preventiva richiesta di autorizzazione a svolgere altra attività al di fuori dell'amministrazione di appartenenza;
- nell'ipotesi di violazione all'anzidetto divieto la procedura per l'accertamento della causa di recesso deve svolgersi in contraddittorio tra le parti.
Considerato che la sentenza di fallimento nei confronti del dipendente configura in modo incontrovertibile l'espletamento di attività lavorativa extra ufficio e che tale attività risulta essere stata svolta senza la prescritta autorizzazione preventiva da parte della propria amministrazione, tenuto conto altresì che dalle anzidette circostanze emerge indubbiamente un'aperta violazione all'art. 1, comma 60, della legge 662/1996, si ritiene conseguentemente attivabile in tal caso la procedura prevista dall'art. 1, comma 61, della citata legge 662.