La sentenza del Consiglio di Stato n.3486/2018 ribadisce la necessità per le amministrazioni di rendere fruibili le informazioni in modalità digitali ex art.2, c.1, d.lgs. n.82/2005, recante il c.d. Codice dell'amministrazione digitale.
È stato chiesto un parere in merito alla legittimità delle norme regolamentari in materia di accesso dei consiglieri comunali, ai sensi dell'art.43 del d.lgs. n.267 del 2000, approvate con deliberazione di consiglio comunale e, in particolare, di quelle che espressamente prevedono che non è consentito rilasciare al consigliere comunale le credenziali per l'accesso al programma di gestione contabile e al programma di protocollo informatico. Le predette modifiche regolamentari sono state segnalate il 5 agosto scorso direttamente a questo Ministero anche da una consigliera comunale. Al riguardo, si osserva che questa Direzione Centrale si è già pronunciata più volte in materia di diritto di accesso agli atti da parte dei consiglieri richiamando i principi che sono posti a fondamento del correlato esercizio. In merito alla problematica generale della legittimità dell'accesso da remoto mediante rilascio delle credenziali ai programmi di gestione informatica del protocollo ovvero del sistema di contabilità, occorre ricordare che, proprio al fine di evitare che le continue richieste si trasformino in un aggravio dell'ordinaria attività amministrativa dell'ente locale, la commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, già con parere D.I.C.A. n.18368 P-2.4.5.2.4 del 5.10.2010 aveva riconosciuto la possibilità per il consigliere comunale di avere accesso diretto al sistema informatico interno (anche contabile) dell'ente attraverso l'uso della password di servizio (cfr. parere del 29.11.2009). Il comune, che già aveva regolamentato tale possibilità, ha tuttavia operato una modifica regolamentare che ha caducato tale modalità, sulla base di principi enucleati dalla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia – Sezione di Catania n.926/2020, emessa in relazione alla specifica fattispecie del diritto di accesso da remoto al programma di gestione contabile degli enti. Il T.A.R. ha ritenuto che il rilascio delle credenziali di servizio consentirebbe ai consiglieri comunali di conoscere indiscriminatamente la generalità dei documenti relativi alla contabilità dell'ente in mancanza di apposita istanza; tale forma di accesso "diretto" secondo il giudice amministrativo si risolverebbe in un monitoraggio assoluto e permanente sull'attività degli uffici, tale da violare la ratio dell'istituto, che, così declinato, eccederebbe strutturalmente la sua funzione conoscitiva e di controllo in riferimento ad una determinata informazione e/o ad uno specifico atto dell'ente, siccome ritenuti strumentali al mandato politico, per appuntarsi, a monte, sull'esercizio della funzione propria della relativa area amministrativa e sulla complessiva attività degli uffici, con finalità essenzialmente esplorative, che eccedono dal perimetro delle prerogative attribuite ai consiglieri (T.A.R. Molise, sez.I, 3 settembre 2019, n.285). Il Collegio ha ritenuto, altresì, di dover aggiungere che il diritto di accesso dei consiglieri comunali non può estendersi fino a configurare "[...] un sindacato generalizzato dell'attività degli organi decidenti, deliberanti e amministrativi dell'Ente [...]" in luogo di esercizio del mandato politico "[...] finalizzato ad un organico progetto conoscitivo in relazione a singole problematiche [...]" (cfr. Cons. Stato, sez.IV, 12 febbraio 2013, n.846; cfr. anche Cons. Stato, sez.V, 2 marzo 2018, n.1298 e T.A.R. Sardegna, sez.I, 13 febbraio 2019, n.128). Quanto al rilascio delle credenziali riferite al programma di protocollo informatico, il Collegio ha affermato, ancora "che tale rilascio si tradurrebbe in un accesso generalizzato e indiscriminato a tutti i dati della corrispondenza in entrata e uscita (cfr. T.A.R. Toscana, sez.I, 22 dicembre 2016, n.1844)". Nella citata sentenza viene precisato che il rilascio delle credenziali per l'accesso a tale ultimo programma, peraltro, si rivela sproporzionato rispetto alle esigenze conoscitive sottese: in altri termini la modalità informatica di accesso (il "quomodo") viene ritenuta eccessiva rispetto allo scopo perseguito, essendo l'ente comunale tenuto, a fronte di istanza formulata dai consiglieri comunali nel rispetto dei sopra delineati principi ..., a consentire la visione nonché a procedere al rilascio di copia cartacea (stampa) dei dati di sintesi del protocollo informatico (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto). Lo stesso T.A.R. Sicilia, con la decisione in argomento ha, infine, ribadito il principio che l'ente comunale è comunque tenuto a consentire la visione nonché a procedere al rilascio di copia cartacea di detti dati. In merito a tale specifico profilo va, peraltro, richiamata la sentenza n.599/2019 con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, ha precisato che il consigliere comunale ha il diritto di soddisfare le esigenze conoscitive connesse all'espletamento del suo mandato anche attraverso la modalità informatica, con accesso da remoto (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez.II, 4 aprile 2019, n.545; T.A.R. Sardegna, 4 aprile 2019, n.317). Lo stesso T.A.R. ha, tuttavia, precisato "che l'accesso da remoto" (in maniera specifica proprio al sistema contabile dell'ente) "vada consentito in relazione ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo, non potendo essere esteso al contenuto della documentazione, la cui acquisizione rimane soggetta alle ordinarie regole in materia di accesso - tra le quali la necessità di richiesta specifica". Con l'accesso informatico, il consigliere prende visione degli oggetti documentali in entrata ed in uscita, senza acquisirne il contenuto e solo successivamente formula apposita richiesta di accesso all'atto di interesse (essendo di norma escluse richieste generiche ed indeterminate) secondo le modalità ordinarie. Del resto anche la più autorevole sentenza del Consiglio di Stato n.3486 dell'8.06.2018 ribadisce la necessità per le amministrazioni di rendere fruibili le informazioni in modalità digitali ai sensi dell'art.2, comma 1, del d.lgs. n.82/2005, recante il c.d. Codice dell'amministrazione digitale. Il Supremo Consesso non ha posto in discussione il diritto dei consiglieri, anzi, operando un confronto sui costi nel complessivo quadro delle risorse finanziarie destinate ai mezzi informatici, ha ritenuto, peraltro, sostenibile il costo imputabile alla acquisizione ed alla implementazione di idoneo software per l'accesso da remoto da parte dei consiglieri. È stato ritenuto, pertanto, che la emergente e duplice direttiva del doveroso approntamento e del costante adeguamento delle tecnologie disponibili, ai fini di un migliore, efficace e funzionale accesso ai dati, milita per il riconoscimento del carattere indebitamente compressivo della limitazione di fatto frapposta alla pretesa ostensiva della ricorrente (consigliere). Conseguentemente, il Consiglio di Stato, nel caso esaminato, ha intimato all'amministrazione di apprestare, entro un termine ragionevole, le modalità organizzative per il rilascio di password per l'accesso da remoto al sistema informatico. Premesse tali coordinate generali interpretative enucleate dai principi espressi dalla giustizia amministrativa, quanto alle doglianze esposte nei confronti dei funzionari comunali che hanno dato esecuzione alle nuove disposizioni regolamentari, disabilitando i consiglieri dalle credenziali di servizio a suo tempo fornite, si osserva che gli stessi sono tenuti ad applicare le disposizioni normative in vigore di cui il comune si è dotato. Infine, si rammenta che questo Ministero non è titolare di poteri controllo sugli atti degli enti locali e che le eventuali lesioni delle proprie prerogative derivanti dalle norme regolamentari in esame possono essere fatte valere dai consiglieri comunali esclusivamente nelle sedi competenti, con ricorso ai rimedi giuridici apprestati dall'ordinamento.