Il potere sostitutivo del prefetto, in caso di mancata convocazione del consiglio, è esercitabile non soltanto nell'ipotesi d'inerzia del presidente dell'assemblea, ma pure nel caso in cui il predetto organo abbia riscontrato negativamente la richiesta con atto formale.
Il diritto ex art.39, comma 2, del decreto legislativo n.267/00 "... è tutelato in modo specifico dalla legge con la previsione severa ed eccezionale della modificazione dell'ordine delle competenze mediante intervento sostitutivo del Prefetto in caso di mancata convocazione del consiglio comunale nel termine di venti giorni" (T.A.R. Puglia-Sez.I, 25 luglio 2001, n.4278). L'orientamento che vede riconosciuto e definito "... il potere dei consiglieri di chiedere la convocazione del consiglio medesimo" come "diritto" dal legislatore è, quindi, ormai ampiamente consolidato (sentenza TAR Puglia, Lecce, Sez.I del 4.2.2004, n.124).
La questione sulla sindacabilità dei motivi che determinano i consiglieri a chiedere la convocazione straordinaria dell'assemblea si è orientata nel senso che al presidente del consiglio spetti solo la verifica formale della richiesta del prescritto numero di consiglieri, non potendo comunque sindacarne l'oggetto. Infatti, la giurisprudenza in materia si è da tempo espressa affermando che, in caso di richiesta di convocazione del consiglio da parte di un quinto dei consiglieri, "al presidente del consiglio comunale spetta soltanto la verifica formale che la richiesta provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non può sindacarne l'oggetto, poiché compete allo stesso consiglio nella sua totalità la verifica circa l'ammissibilità delle questioni da trattare, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell'assemblea, in nessun caso potrebbe essere posto all'ordine del giorno" (TAR Piemonte n.268/1996, TAR Sardegna n.718 del 2003). Si soggiunge che il T.A.R. Sardegna, con la sentenza n.718 del 2003, ha respinto un ricorso avverso un provvedimento prefettizio ex art.39, comma 5, del citato decreto legislativo, in quanto, ad avviso del giudice amministrativo, il prefetto non poteva esimersi dal convocare d'autorità il consiglio comunale, "essendosi verificata l'ipotesi di cui all'art.39 del citato decreto legislativo n.267/00". Inoltre, la giurisprudenza ha affermato che appartiene ai poteri sovrani dell'assemblea decidere in via pregiudiziale che un dato argomento inserito nell'ordine del giorno non debba essere discusso (questione pregiudiziale) ovvero se ne debba rinviare la discussione (questione sospensiva) (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez.I, 25 luglio 2001, n.4278 e T.A.R. Puglia, Lecce, Sez.I, 4 febbraio 2004,n.124). Occorre, infatti, ricordare che rientra nella competenza del consiglio comunale, in qualità di organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, anche la trattazione di "questioni" che, pur non rientrando nell'elencazione del comma 2 del medesimo articolo 42, attengono comunque al suddetto ambito di controllo. Del resto, la dizione legislativa, che parla di "questioni" e non di deliberazioni o di atti fondamentali, conferma che la trattazione di argomenti non rientranti nella previsione del citato comma 2, dell'articolo 42 non debba necessariamente essere subordinata alla successiva adozione di provvedimenti da parte del consiglio comunale. Pertanto, nell'ipotesi in cui sia richiesto l'inserimento all'ordine del giorno di argomenti non strettamente rientranti nelle competenze del consiglio, investendo la competenza di altri organi di governo o degli uffici, gli stessi dovrebbero comunque essere ammessi dal presidente, qualora si concretizzino nella generica determinazione di atti di indirizzo o nell'espletamento di un'attività di controllo politico, ai sensi dell'articolo 42, comma 1, del decreto legislativo 267/2000 (ad esempio, interrogazioni, interpellanze, mozioni, ordini del giorno, ecc.).
Per quanto riguarda la possibilità di attivare il potere sostitutivo non soltanto nell'ipotesi d'inerzia del presidente dell'assemblea, ma pure nel caso in cui il predetto organo abbia riscontrato negativamente la richiesta con atto formale, la scrivente ritiene che, anche in presenza di un diniego formale, non venga meno il potere sostitutivo del prefetto, salvo che il diniego stesso sia motivatamente fondato su una delle eccezionali ipotesi per le quali la giurisprudenza, sia la dottrina ritengano giustificata l'omessa convocazione, il che non sembra ricorrere nel caso di specie. Ciò in considerazione della ratio ispirativa dell'art.39 del T.U.O.E.L., volta a garantire il diritto delle minoranze a poter esercitare il proprio mandato.
D’altro canto, diversamente opinando, si consentirebbe al presidente di poter vanificare con un mero provvedimento formale di diniego il diritto dei consiglieri, purché rappresentanti un quinto di quelli assegnati all'ente, o del sindaco alla convocazione dell'assemblea, privandoli, altresì, della tutela apprestata dall'ordinamento con la previsione dell'intervento sostitutivo del prefetto ai sensi dell'art.39, comma 5, del decreto legislativo n.267/00.