IL SOCIO ACCOMODANTE NON HA POTERI DI GESTIONE, LIMITANDOSI A CONFERIRE UNA QUOTA SOCIALE. IL SOCIO "ACCOMANDATARIO" HA INVECE LA GESTIONE E L'AMMINISTRAZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA DELLA SOCIETA' E NE HA LA RAPPRESENTENZA LEGALE , ANCHE IN GIUDIZIO.
Class. n. 15900/TU/00/69 Roma, firmato 28.01.10
OGGETTO: Comune di ........ Quesito causa incompatibilità consigliere comunale per litispendenza ex art. 63, co. I, n. 4 del D.lgs. 267/2000.
Si fa riferimento alla nota sopradistinta, con la quale codesta Prefettura ha richiesto un parere riguardo la posizione di un consigliere comunale del Comune di ...., socio di una società di persone in accomandita semplice, ....... Servizi s.a.s. di ......, che ha una lite pendente con lo stesso ente.
In un primo momento il Comune in argomento ha rappresentato, sia pure come dato non certo, che l'amministratore interessato rivestiva la carica di socio accomandatario della citata società, mentre da un accertamento richiesto da questo Ufficio direttamente al Comune con nota del 24.11.09, l'amministratore è risultato essere socio accomandante.
Con delibera n. 44 del 21.12.2009 il Consiglio Comunale di ..... ha dichiarato insussistente la causa di incompatibilità per litispendenza contestata al consigliere comunale il 28.11.09.
Di conseguenza codesta Prefettura U.T.G. chiede a questo ufficio di volersi esprimere sulla correttezza della determinazione assunta dal Consiglio, anche per scongiurare un eventuale ricorso in proposito.
È necessario premettere che, secondo i principi generali, il socio accomandante non ha poteri di gestione né di rappresentanza della società, limitandosi al conferimento della quota sociale. Il socio accomandatario ha la gestione e l'amministrazione ordinaria e straordinaria della società e ne ha la rappresentanza legale, anche in giudizio.
In proposito si rileva che l'articolo 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 267/2000 dispone che non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale colui che ha lite pendente in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente con il comune o la provincia.
La Corte di Cassazione con giurisprudenza costante ha evidenziato che per la sussistenza della predetta causa di limitazione all'espletamento del mandato elettivo è necessario far riferimento al concetto tecnico di parte in senso processuale.
Le parti del processo, anche in assenza di una espressa definizione legislativa, sono univocamente individuate, in dottrina e in giurisprudenza, in quei soggetti, i quali, a seguito del compimento di determinati atti processuali (proposizione della domanda, costituzione nel processo), assumono la qualità e la conseguente titolarità di una serie di poteri e facoltà processuali.
La Suprema Corte ha precisato che il concetto di 'parte' del giudizio ha portata essenzialmente processuale e non è quindi riferibile alla diversa figura del 'soggetto interessato all'esito della lite per le ricadute patrimoniali che possano derivargliene'.
Il predetto concetto, pertanto, non può essere esteso a tutti coloro che potrebbero trarre vantaggio da una pronuncia giurisdizionale, in quanto si aprirebbe il varco ad una compressione ingiustificata del diritto costituzionalmente garantito di ricoprire una carica amministrativa.
Tale orientamento, volto a salvaguardare il più generale principio della tassatività delle ipotesi di ineleggibilità ed incompatibilità è confermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. I, 19.5.2001, n. 6880; Corte Cost., sent. 240/2008).
Sulla base delle suesposte considerazioni si ritiene che non sussista nella fattispecie rappresentata la causa d'incompatibilità prevista dall'art. 63, comma 1 n. 4 del decreto legislativo 267/2000.