IPOTESI DI INCOMPATIBILITA' NEI CONFRONTI SINDACO, SOCIO AZIONARIO DI UN GRUPPO BANCARIO NEL QUALE SI TROVA A FAR PARTE ANCHE UNA SOCIETA' CHE SVOLGE IL SERVIZIO DI RISCOSSIONE DEI TRIBUTI COMUNALI; IL PREDETTO AMMINISTRATORE, INOLTRE, E' COMPONENTE DEL

Territorio e autonomie locali
17 Ottobre 2007
Categoria 
12.01.04 Incompatibilità
Sintesi/Massima 

LA RATIO DELLA CAUSA DI INCOMPATIBILITA', ANNOVERABILE TRA LE COSIDDETTE "INCOMPATIBILITA' DI INTERESSI" CONSISTE NELL'IMPEDIRE CHE POSSANO CONCORRERE ALL'ESERCIZIO DELLE FUNZIONI DEI CONSIGLI COMUNALI SOGGETTI PORTATORI DI INTERESSI CONFLIGGENTI CON QUELLI DEL COMUNE O I QUALI SI TROVINO COMUNQUE IN CONDIZIONI CHE NE POSSANO COMPROMETTERE L'IMPARZIALITA'.

Testo 

Class. n. 1590/TU/00/63 Roma, 17 ottobre 2007

OGGETTO: Quesito in merito alla sussistenza di ipotesi di incompatibilità.

Si fa riferimento alla nota sopradistinta, con la quale è stato richiesto un parere in merito all'eventuale sussistenza di una causa di incompatibilità, ai sensi dell'articolo 63, comma 1, n. 2, del decreto legislativo n. 267/2000, nei confronti del sindaco di un comune, socio del Credito Valtellinese (con un possesso azionario pari allo 0,50% del capitale sociale) del cui gruppo bancario fa parte la Creset S.p.A., società che svolge il servizio di riscossione dei tributi comunali del suddetto comune; inoltre, il predetto amministratore è componente del collegio dei sindaci di un'ulteriore banca appartenente al medesimo gruppo.
Preliminarmente, si rappresenta che, ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 2, del citato decreto, non può ricoprire la carica di sindaco colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune.
Al riguardo, si rappresenta che la ratio della causa di incompatibilità in esame (annoverabile tra le cosiddette 'incompatibilità di interessi') 'consiste nell'impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l'imparzialità' (così Corte Costituzionale, sentt. nn. 44 del 1997, 450 del 2000 e 220 del 2003).
Premesso quanto sopra, nel caso di specie, si rappresenta che attualmente il servizio di riscossione dei tributi comunali per conto del comune di Barzio è svolto dalla Creset S. p. A., appartenente al gruppo bancario Credito Valtellinese e costituita in seguito alla recente riforma della riscossione (D.Lgs. n. 203/2005, art. 3), quale ramo d'azienda scisso della Rileno S.p.A. Quest'ultima società, infatti, a seguito del passaggio in mano pubblica della riscossione dei tributi ha cambiato ragione sociale ed è diventata Equitalia Como e Lecco S. p. A. agente della riscossione per le province di Como e Lecco.
Equitalia è una società per azioni a totale capitale pubblico, i cui soci sono l'Agenzia delle entrate con una partecipazione pari al 51% del capitale sociale e l'Inps con una partecipazione pari al 49% del capitale sociale. Dal 1° ottobre 2006 l'attività di riscossione nazionale dei tributi è attribuita ex lege all'Agenzia delle Entrate che la esercita per mezzo di Equitalia SpA. Ai sensi del comma 7 dell'art. 3 del D. Lgs. n. 203/2005, Equitalia, prima denominata Riscossione, ha concluso al 29 settembre 2006 l'acquisto delle 37 società concessionarie tra cui, appunto la Rileno SpA oggi Equitalia Como e Lecco SpA.
Va, infine, considerato che il servizio di riscossione che la Creset svolge per il comune è consentito dall'art. 3, comma 24, lett. a) del sopracitato Decreto Legislativo n. 203/2005.
Ciò posto, ai fini che qui interessano, occorre rammentare che in tema di diritto di elettorato passivo la Corte Costituzionale è ferma nel ritenere che tale diritto, quale diritto politico fondamentale, intangibile nel suo contenuto di valore ed annoverabile tra quelli 'inviolabili', riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 Costituzione, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali parimenti fondamentali e generali.
A tal proposito, la Corte ha affermato che '.anche se è vero che l'incompatibilità, a differenza dell'ineleggibilità, non incide sul rapporto di elettorato, né spiega alcuna influenza sulla validità dell'elezione, la predetta natura del diritto di elettorato passivo implica che esso non può non riguardare ogni vicenda relativa alla preposizione del cittadino ad una carica elettiva, che ogni limitazione al diritto medesimo ha carattere di 'eccezione' rispetto al generale e fondamentale principio del libero accesso, in condizioni di eguaglianza di tutti i cittadini alle cariche elettive; che, conseguentemente, ed in particolare, è necessario che il legislatore, nello stabilire i requisiti di eleggibilità, deve tipizzarli con determinatezza e precisazione, sufficienti ad evitare, quanto più possibile, situazioni di persistente incertezza, troppo frequenti contestazioni, soluzioni giurisprudenziali contraddittorie, che finirebbero per incrinare gravemente, in fatto, la proclamata, pari capacità elettorale passiva dei cittadini.' ( cfr. Corte Cost. n.- 44/1997).
Alla luce delle considerazioni che precedono, nel caso di specie, si ritiene, dunque, non sussistente in capo al sindaco alcuna causa di incompatibilità, in quanto al comma 1, n. 2 dell'art. 63 del D.Lgs. n. 267/2000 la qualità di socio non è annoverata tra quelle che comportano l'incompatibilità a ricoprire anche quella di sindaco.
Parimenti irrilevanti sono, altresì, i rilievi sollevati sempre al sindaco in questione in relazione alla carica di componente del collegio dei sindaci di altra banca del Gruppo Valtellinese.
Tuttavia, non può non richiamarsi la disposizione in materia di doveri degli amministratori recata dall'art. 78, commi 1, del decreto legislativo n. 267/2000, laddove è previsto che, in generale, 'il comportamento degli amministratori, nell'esercizio delle proprie funzioni, deve essere improntato all'imparzialità e al principio di buona amministrazione.'. Tale indicazione di principio viene, quindi, seguita, al secondo comma, da una regola dettata in ordine alla partecipazione a discussione e voto di atti collegiali; in particolare, si prevede che gli amministratori devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado.
In generale, il dovere di astensione degli amministratori locali sussiste in tutti i casi in cui questi ultimi versino in situazioni che, avuto riguardo al particolare oggetto della decisione da assumere, appaiano anche potenzialmente idonee a porre in pericolo l'assoluta imparzialità e la serenità di giudizio dei titolari dell'ente stesso. In sostanza alla base del dovere in esame vi è l'esigenza di assicurare che gli amministratori locali possano operare senza condizionamenti di sorta e che sia garantita agli utenti la trasparenza dell'azione amministrativa. (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 23 febbraio 2001, n. 1038; TAR Liguria, Sez. I, 12 dicembre 2003, n. 1650).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ribadito che 'l'obbligo di astensione degli amministratori locali costituisce regola di carattere generale che non ammette deroghe ed eccezioni e ricorre ogniqualvolta sussiste una correlazione diretta fra la posizione dell'amministratore e l'oggetto della deliberazione, quand'anche la scelta sia in concreto la più utile ed opportuna per lo stesso interesse pubblico. L'obbligo di astensione, in quanto espressione dei principi di imparzialità, legalità e buon andamento dell'azione amministrativa fissati dall'art. 97 della Costituzione, è emblema di una regola, generale ed inderogabile, di ordine pubblico, applicabile quindi anche al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla legge, che scatta automaticamente allorquando sussista un diretto e specifico collegamento tra la deliberazione ed un interesse proprio di colui che vota o dei suoi congiunti.' (cfr, Cons. di Stato, Sez. IV, 26 maggio 2003, n. 2826).