Criteri stabiliti dalla giunta comunale per l'erogazione di un contributo alle famiglie residenti.

Territorio e autonomie locali
10 Marzo 2006
Categoria 
05.03 Giunte comunali e provinciali
Sintesi/Massima 

Circa la legittimità del requisito previsto da una delibera comunale per il diritto all’erogazione di un contributo economico alle famiglie, fissato nel possesso della residenza di almeno uno dei genitori da 5 anni nel territorio comunale, si manifestano perplessità.
Premesso che la materia oggetto della delibera è riconducibile, in senso lato, alla competenza riservata allo Stato, in materia di “previdenza statale” (art. 117 comma 2 lett.o della Cost.), la previsione di un simile requisito determinerebbe una situazione discriminatoria. Si creerebbero, infatti, immotivati privilegi per i residenti da almeno 5 anni e arbitrarie discriminazioni nei riguardi di coloro, che pur residenti nel comune interessato, non possiedono il suddetto requisito. Si aggiunge che la lesione del principio di uguaglianza in senso sostanziale è ancora più incisiva qualora intervenga nel settore dei rapporti etico-sociali ed in particolare nell’ambito dell’art. 31 della Costituzione.
Non rinvenendosi, pertanto, norme che sanciscono l’obbligatorietà della residenza “in loco” per un determinato periodo di tempo, si ritiene che la sola residenza sia sufficiente per la fruizione del beneficio in questione.

Testo 

 
E' stato chiesto il parere in merito alla legittimità della delibera con la quale una giunta comunale   ha stabilito criteri e requisiti necessari per poter fruire del contributo economico da erogare per ogni figlio, oltre il primo, nato dal 1° gennaio al 31 dicembre 2005.
            Al riguardo, in via preliminare, occorre rappresentare che la materia oggetto della delibera, alla luce di un giudizio espresso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 287/2004, anch'esso riferito all'erogazione di un assegno per il secondo  o ulteriore figlio, è riconducibile, in senso lato, alla competenza riservata allo Stato in materia di "previdenza statale", ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. o, della Costituzione.
            In particolare, viene escluso che la provvidenza in questione possa appartenere al genus delle prestazioni ricadenti nell'ambito dei servizi sociali, atteso che la stessa è disposta esclusivamente in relazione alla nascita del secondo o ulteriore figlio, senza che assumano alcun rilievo la condizione soggettiva e la sussistenza di situazioni di bisogno, disagio o difficoltà, ma unicamente requisiti di esclusivo carattere anagrafico (residenza e cittadinanza di entrambi i genitori e non della sola madre).
Ciò in quanto obiettivo dei servizi sociali, indipendentemente dai settori di intervento, è la rimozione o il superamento di situazioni di svantaggio o di bisogno, per la promozione del benessere fisico e psichico della persona.
            Tali circostanze parimenti non ricorrono nel caso di specie, in cui vi è la previsione di concedere una provvidenza temporanea, di carattere indennitario, espressione di quella tutela previdenziale della maternità, generalmente riconosciuta alla donna in quanto tale, in ragione degli artt. 31, comma 2 e 37 Cost., a prescindere dalle richiamate situazioni di bisogno, disagio o difficoltà economiche, e non soltanto in quanto collegata ad attività di lavoro subordinato  o autonomo.
            In subordine, nel merito della questione qui posta, anche ove si volesse ritenere superabile la predetta eccezione e sostenere  che il provvedimento in parola verta nella materia delle provvidenze di assistenza sociale, si manifestano comunque perplessità circa la legittimità  del requisito previsto dalla delibera comunale per il diritto all'erogazione del contributo de quo, consistente nel possesso della residenza di almeno uno dei genitori da 5 anni nel territorio comunale, atteso che lo stesso determina una situazione discriminatoria rispetto a quelle  famiglie che, seppur residenti nello stesso contesto territoriale, lo sono da un numero inferiore di anni. 
La scelta, che può rivelarsi arbitraria rispetto al bene tutelato, appare porsi in contrasto con i principi fondamentali del vigente ordinamento giuridico interno inteso nella sua unitarietà.
Si evidenzia in merito che per analogo, precedente caso, il Governo ha disposto, ai sensi dell'art. 138 del T.U.O.E.L., l'annullamento della delibera di un consiglio comunale ritenuta illegittima, in quanto lesiva dell'unitarietà dell'ordinamento, per aver previsto ai fini dell'accesso agli asili nido, l'attribuzione di un punteggio notevolmente preferenziale proprio al titolo della residenza per un periodo di cinque anni nella regione Lombardia.
In quell'occasione questa Direzione sostenne che sussistevano i presupposti per l'annullamento governativo, sulla base della considerazione che l'uguaglianza dei cittadini in primo luogo, senza distinzione di condizioni personali o sociali è, ai sensi dell'art. 3 comma 1 della Costituzione, un principio fondamentale del quale l'art. 97, comma 1 Cost., che sancisce l'imparzialità dell'azione amministrativa, costituisce una specifica applicazione. Non possono pertanto essere disposti trattamenti differenziati per determinate categorie di soggetti e di rapporti giuridici, non aventi tratti distintivi o peculiari.
L'amministrazione comunale nello svolgimento della propria attività amministrativa deve uniformarsi ai principi di buona amministrazione, non ponendo frammentazioni e disparità, tra cittadini italiani che, sebbene domiciliati, non siano residenti da oltre cinque anni in quel comune. Diversamente si creano immotivati privilegi per i residenti da almeno cinque anni e, arbitrarie discriminazioni in danno di quelli che, pur residenti nel comune interessato, non possiedono il suddetto requisito.
La lesione del principio di uguaglianza in senso sostanziale appare ancor più incisivo qualora intervenga nel settore dei rapporti etico sociali, valorizzato dall'art. 31 della Costituzione, nella parte in cui prescrive di agevolare, oltre che con misure di carattere economico, anche con altre provvidenze, la formazione della famiglia e la protezione della maternità e dell'infanzia.
Peraltro, non rinvenendosi anche per lo specifico caso, l'esistenza di norme che sanciscano l'obbligatorietà della residenza "in loco" per un determinato periodo di tempo, si ritiene che per la fruizione del beneficio in parola sarebbe sufficiente la sola residenza; ciò anche in analogia con quanto disposto dalla legge n. 266/05 (legge finanziaria 2006), che ancora l'erogazione del c.d. bonus bebè al possesso della residenza in Italia, senza limitazione temporale, unitamente alla cittadinanza italiana o comunitaria e ad un determinato limite reddituale del nucleo familiare.
Per quanto quindi, nei termini esposti,  sia discutibile il possesso o meno della residenza quale criterio per l'attribuzione di una provvidenza locale, va anche segnalata una giurisprudenza che addirittura legittima l'accesso a benefici e servizi ai non residenti (cfr. T.A.R. Lombardia  n. 5794/2000, confermata dal Consiglio di Stato n. 6886/05, che affronta la questione dei requisiti per l'accesso ai benefici di assistenza scolastica: nel caso di specie è consentito dalla normativa regionale anche ad alunni non residenti, e ritenuto legittimo dal Giudice amministrativo, atteso che "appare conforme alle finalità istituzionali dell'ente locale nell'ambito dei principi solidaristici del nostro ordinamento,..l'onere di curare il complessivo sviluppo e benessere della comunità locale, che non sembra poter essere aprioristicamente limitata ai soli residenti, dovendo al contrario comprendere tutti coloro che, per ragioni diverse, partecipano in vario modo alla vita della stessa comunità..". Parimenti pare opportuno segnalare la sentenza del T.A.R. Lazio n. 8630/2005,  ove viene ritenuto irragionevole discriminare famiglie residenti e non, imponendo a queste ultime una tariffa raddoppiata per l'accesso agli asili nido comunali: " la creazione di un doppio binario tariffario realizza una non giustificata barriera per l'accesso al servizio in esame".)
            Quanto infine al requisito della cittadinanza italiana, che anche la normativa nazionale prepone quale requisito per l'accesso al bonus, si ritiene, in assenza di puntuale giurisprudenza per casi analoghi, che secondo principi più generali, desumibili da una costante giurisprudenza costituzionale, il principio di uguaglianza non tollera discriminazioni tra la posizione del cittadino e quella dello straniero "solo quando venga riferito al godimento dei diritti inviolabili dell'uomo". Secondo la Consulta è quindi legittimo introdurre norme applicabili solo a chi sia in possesso del requisito della cittadinanza, purchè tali da non compromettere l'esercizio dei diritti fondamentali, civili, economici e sociali, per i quali la Costituzione non fa riferimento esplicito alla "titolarità" di cittadini.
            Fruire di un assegno una tantum per il secondo o ulteriore figlio non configura sicuramente una prestazione essenziale o c.d. minimale, né si presenta come una scelta costituzionalmente obbligata.
            A fronte, in un contesto locale, di erogazioni non essenziali, non può escludersi che possano essere individuate categorie di beneficiari circoscritte in ragione ad esempio di limitate risorse finanziarie che determinano situazioni differenziate, pur sempre ragionevoli, di volta in volta valutabili nello specifico contesto comunale di riferimento e dello specifico bene tutelato.
            Tale assunto pare anche avvalorato, ragionando a contrario, da una recente sentenza (n. 432/2005) con la quale, la Corte Costituzionale, in relazione ad una provvidenza regionale consistente nell'erogazione di una misura sociale destinata alla categoria degli invalidi al 100%, si è espressa nel senso che in tal caso la cittadinanza non poteva essere addotta quale criterio di ragionevole attribuzione di un beneficio incidente sul diritto alla salute e su quello dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.  In tale occasione, proprio per la natura del bene tutelato, la Corte si è espressa nel senso che i due requisiti, della cittadinanza e della residenza, non potevano essere parimenti valutati e quindi, se la residenza, rispetto ad una provvidenza regionale, appare un criterio non irragionevole per l'attribuzione del beneficio, la cittadinanza si presenta come condizione ulteriore, ultronea e incoerente, agli effetti di un ipotetico regime differenziato che vede negli invalidi al 100% la categoria dei beneficiari.