Incompatibilità
- Quesito in merito alla sussistenza di un’ipotesi d’incompatibilità per lite pendente.
Si fa riferimento ad una nota con la quale è stata rappresentata la questione relativa alla sussistenza di una causa d'incompatibilità, prevista dall'art. 63, comma 4 del decreto legislativo n. 267/2000, nei confronti di un consigliere comunale coinvolto, in qualità di rappresentante legale di due società, in un contenzioso amministrativo tra le suddette società ed un comune. La norma citata dispone che non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale, circoscrizionale colui che ha lite pendente in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo rispettivamente con il comune o con la provincia. La Corte di Cassazione, con giurisprudenza costante, ha evidenziato che per la sussistenza della predetta causa di limitazione dell'espletamento del mandato elettivo è necessario far riferimento al concetto tecnico di parte in senso processuale. Le parti di un processo, anche in assenza di una espressa definizione legislativa, sono univocamente individuate, in dottrina e in giurisprudenza, in quei soggetti (attore, convenuto, interveniente volontario o coatto), i quali, a seguito del compimento di determinati atti processuali (proposizione della domanda, costituzione del processo), assumono quella qualità e la conseguente titolarità dell'esercizio di una serie di poteri e facoltà processuali, finalizzati a dare impulso e a consentire lo svolgimento della vicenda processuale e la produzione di una serie di effetti dei quali gli stessi soggetti sono destinatari immediati, a prescindere dalla effettiva titolarità del diritto o rapporto giuridico sostanziale controverso e quindi dall'esito della lite. Il che non significa che la nozione di parte non sia connessa anche al merito oltre che al processo; ma solo che tale connessione è pur sempre quella individuata dalla domanda giudiziale: per cui nel caso di domanda proposta, come nella fattispecie, da un rappresentante, che agisce in giudizio in nome e per conto altrui, la qualità di 'parte' compete al rappresentato e non al rappresentante. Mentre non è correttamente individuabile, in prospettiva e nella pendenza della lite, un concetto ulteriore e parallelo di 'giusta parte', poiché solo a processo concluso, e 'secundum eventum litis', potrà dirsi se le parti che hanno instaurato il processo o che hanno resistito in esso erano effettivamente quelle giuste. La Suprema Corte ha inoltre precisato che il concetto tecnico di 'parte' del giudizio ha portata essenzialmente processuale e non è quindi riferibile alla diversa figura del 'soggetto interessato all'esito della lite per le ricadute patrimoniali che possano derivargliene'. Il predetto concetto, pertanto, non può essere esteso a tutti coloro che potrebbero trarre vantaggio da una pronuncia giurisdizionale, in quanto si aprirebbe il varco ad una compressione ingiustificata del diritto costituzionalmente garantito di ricoprire una carica amministrativa. Tale orientamento, volto a salvaguardare il più generale principio della tassatività delle ipotesi di ineleggibilità ed incompatibilità è stato confermato dalla pronuncia della Corte Suprema n. 6880 del 19 maggio 2001. Premesso quanto sopra, si ritiene che, nella fattispecie rappresentata, non sussista la causa di incompatibilità prevista dall'art. 63, comma 1, n. 4 del decreto legislativo 267/2000.