In caso di esclusione della candidatura di un soggetto ad elezioni amministrative, per condanna per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), non deve essere considerato l'art. 51 Cost. secondo cui "tutti i cittadini … possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive…" (elettorato passivo ) bensì l’art. 97 Cost., secondo cui "i pubblici funzionari sono organizzati ... in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione. Le relative controversie rientrano nella giurisdizione del Giudice amministrativo, considerato che le "cause ostative alla candidatura", (art. 58 del D.Lgs. n. 267/2000), riguardando situazioni già limitate per pronuncia penale, integrano posizioni soggettive ben diverse da quelle nelle quali si fa questione di "ineleggibilità" di cui ai successivi artt. 60 e 61 per le quali soltanto viene limitato in via diretta il diritto soggettivo di elettorato passivo, quale espressione dello status di cittadino. Viene ritenuta manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 58, 1° comma, del D.Lgs. n. 267 del 2000, eccepita in relazione agli artt. 51, 1 e 3 Cost., nella parte in cui stabilisce che le causa di incandidabilità ivi previste non si applicano nei confronti di chi è stato condannato con sentenza passata in giudicato solo "se è concessa la riabilitazione ai sensi dell’art. 178", escludendo quindi coloro che hanno ottenuto la dichiarazione di estinzione della pena e di ogni effetto penale a seguito di giudizio favorevole a conclusione di affidamento in prova. Tra le altre motivazioni è sufficiente osservare che l’affidamento in prova e la riabilitazione hanno presupposti, funzione e periodo di osservazione notevolmente diversi.