Le commissioni consiliari previste dall’articolo 38, comma 6 del d.lgs. n. 267/2000, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall’apposito regolamento comunale con l’unico limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella composizione.
Ciò significa che le forze politiche presenti in consiglio devono essere il più possibile rispecchiate anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse ne sia riprodotto il peso numerico e di voto. Quanto al rispetto del suddetto criterio proporzionale, il legislatore non precisa come lo stesso debba essere declinato in concreto. E’ da ritenersi che spetti al regolamento, cui sono demandate la determinazione dei poteri delle commissioni, nonché la disciplina dell’organizzazione e delle forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantirne il rispetto. L’indirizzo giurisprudenziale e dottrinario formatosi stabilisce che il criterio proporzionale può dirsi rispettato solo ove sia assicurata la presenza in ogni commissione di ciascun gruppo – anche se formato da un solo consigliere - presente in consiglio (v. T.A.R. Lombardia Brescia 4.7.1992 n. 796; T.A.R. Lombardia, Milano, 3.5.1996, n. 567).
Con nota n. 7221 del 4.10.2013 il Comune di .. ha posto un quesito in ordine alla corretta composizione delle commissioni consiliari permanenti.
In particolare, è stato chiesto se, a fronte del mutamento politico intervenuto recentemente, con la formazione di un nuovo gruppo consiliare costituito da tre consiglieri fuorusciti dal gruppo di maggioranza, sia necessario provvedere ad un riequilibrio generale delle commissioni consiliari permanenti, originariamente costituite, che consenta anche a tali consiglieri di essere rappresentati.
Tale ultima posizione è contestata da uno dei gruppi di minoranza che ritiene, invece, alla luce anche della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4600/2003 ed al criterio adottato dall'Ente in occasione della nomina di rappresentanti dello stesso comune nella costituenda Unione Montana, che la composizione dei gruppi debba essere cristallizzata secondo le risultanze del voto elettorale.
Al riguardo, si fa presente, in via preliminare, che le commissioni consiliari previste dall'articolo 38, comma 6 del d.lgs. n. 267/2000, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento comunale con l'unico limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella composizione.
Ciò significa che le forze politiche presenti in consiglio devono essere il più possibile rispecchiate anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse ne sia riprodotto il peso numerico e di voto.
Lo statuto del Comune in oggetto, come riferito dall'Ente interessato, all'art. 13 prevedendo l'istituzione di commissioni permanenti, ribadisce il principio della proporzionalità e demanda al regolamento, tra l'altro, la disciplina del loro funzionamento e la durata.
Il regolamento consiliare all'art. 8, comma 3 stabilisce che le commissioni sono costituite da consiglieri comunali che rappresentano, con criterio proporzionale, complessivamente, tutti i gruppi e sono nominate dal consiglio con votazione palese sulla base delle designazioni fatte da ciascun gruppo.
In materia di gruppi, l'articolo 7 del regolamento comunale prevede preliminarmente che 'i consiglieri eletti nella medesima lista formano di regola, un gruppo consiliare'. Il comma 2 consente i gruppi unipersonali così come eventualmente scaturiti a seguito del risultato elettorale, e prevede, comunque, la formazione di gruppi costituiti da almeno due consiglieri.
Il comma 4 lascia facoltà al singolo consigliere di transitare da un gruppo ad altro (nel rispetto del requisito minimo di due consiglieri), mentre il comma 5, ferma restando la possibilità di costituire un gruppo misto ove confluiscono i consiglieri che si distacchino da gruppi precedenti, non consente al singolo consigliere, che dopo il distacco non aderisca ad altri gruppi, di acquisire le prerogative dei gruppi consiliari.
Ciò posto, si osserva che la legge non fornisce una definizione di maggioranza o di minoranza. Talché, per maggioranza non può che intendersi il gruppo o la coalizione che sostiene il sindaco, mentre per minoranza si intendono le liste che non esprimono il sindaco e, dunque, i gruppi di opposizione.
In proposito, vero è che con la sentenza n. 4600/2003, citata dal consigliere che contesta la riorganizzazione delle commissioni, il Consiglio di Stato rileva che 'la nozione di minoranza, nel sistema elettivo maggioritario delineato dall'art. 71 d. lgs. n. 267/00, va definita con esclusivo riferimento alle liste collegate ad un candidato sindaco non eletto e che, quindi, nel confronto elettorale sono risultate sconfitte, risultando tale parametro preferibile a quello che ammette una qualificazione della "minoranza" con riguardo ad eventi politici successivi alle elezioni', ma è anche vero che lo stesso Giudice ammette implicitamente la possibilità di 'decifrare in senso dinamico e propriamente politico la nozione di minoranza". Il Giudice giunge, poi, alla conclusione, valida nella fattispecie esaminata, che 'si deve negare che la collaborazione con la giunta di un solo consigliere eletto in una lista inizialmente contrapposta a quella collegata al candidato sindaco risultato eletto implichi automaticamente, ed in difetto della comprovata adesione politica al governo del comune di tutti i membri della lista originariamente di opposizione (nella specie non ravvisabile sulla base degli elementi di prova disponibili), il transito di questi ultimi nella maggioranza e, quindi, la necessità della loro partecipazione in quella quota alle elezioni dei rappresentati del consiglio comunale alla comunità montana, con voto separato'.
Premesso che sono da escludere artificiose creazioni di gruppi minoritari che impediscano la piena partecipazione a tutte le commissioni da parte dell'autentica minoranza, la collocazione dinamica dei consiglieri nei vari gruppi, ammessa in virtù del mancato vincolo relativo al mandato imperativo – anche alla luce della lettura della citata decisione del C.d.S. n. 4600/2003 -, consente il passaggio dai gruppi che sostengono il sindaco ai gruppi di opposizione e viceversa, e costituisce il parametro per la corretta collocazione dell'uno o dell'altro consigliere nei raggruppamenti di maggioranza o di minoranza.
Infatti, il caso prospettato si inquadra nell'ambito dei possibili mutamenti che possono sopravvenire all'interno delle forze politiche presenti in consiglio comunale per effetto di dissociazioni dall'originario gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari ovvero l'adesione a diversi gruppi esistenti.
Il principio generale del divieto di mandato imperativo sancito dall'articolo 67 della Costituzione, pacificamente applicabile ad ogni assemblea elettiva, assicura ad ogni consigliere l'esercizio del mandato ricevuto dagli elettori - pur conservando verso gli stessi la responsabilità politica - con assoluta libertà, ivi compresa quella di far venir meno l'appartenenza dell'eletto alla lista o alla coalizione di originaria appartenenza. (cfr. Tar, Trentino Alto Adige, Trento n. 75/2009)
Va da sé che i mutamenti in parola modificano i rapporti tra le forze politiche presenti in consiglio, incidendo sul numero dei gruppi ovvero sulla consistenza numerica degli stessi, e ciò non può non influire sulla composizione delle commissioni consiliari che deve, pertanto, adeguarsi ai nuovi assetti.
Del resto, così come correttamente rilevato dal Comune, la possibilità di transitare da un gruppo ad altro, o di costituire nuovi gruppi non potrebbe non essere finalizzata alla formazione delle commissioni consiliari.
Quanto al rispetto del criterio proporzionale previsto dal citato articolo 38, comma 6 del d.lgs. n. 267/2000, il legislatore non precisa come lo stesso debba essere declinato in concreto. E' da ritenersi che spetti al regolamento, cui sono demandate la determinazione dei poteri delle commissioni, nonché la disciplina dell'organizzazione e delle forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantirne il rispetto.
L'indirizzo giurisprudenziale e dottrinario formatosi stabilisce che il criterio proporzionale può dirsi rispettato solo ove sia assicurata la presenza in ogni commissione di ciascun gruppo – anche se formato da un solo consigliere - presente in consiglio (v. T.A.R. Lombardia Brescia 4.7.1992 n. 796; T.A.R. Lombardia, Milano, 3.5.1996, n. 567).
Il T.A.R. Lombardia, con la citata sentenza n. 567/1996, ha specificato, comunque, che il criterio proporzionale è posto dal legislatore come direttiva suscettibile di svariate opzioni applicative, egualmente legittime purché coerenti con la ratio che quel principio sottende, e che consiste nell'assicurare in seno alle commissioni la maggiore rappresentatività possibile. Al raggiungimento di questo risultato concorrono, come esperienza e prassi dimostrano, non soltanto la rappresentanza individuale proporzionata alla consistenza delle forze politiche presenti nell'organo elettivo, ma anche – quando la varietà di consistenza e di numero dei gruppi non consenta di conseguire l'obiettivo con precisione aritmetica, per quozienti interi – meccanismi tecnici (quali il voto ponderato, il voto plurimo e simili) idonei ad assicurare a ciascun commissario un peso corrispondente a quello della forza politica che rappresenta.
Ciò posto, si prega di estendere il contenuto della presente all'Ente interessato, nelle forme che si ritengano opportune.