In presenza di un'informativa prefettizia antimafia, che accerti il pericolo di condizionamento dell'impresa da parte della criminalità organizzata, non residua in capo agli organismi chiamati a valutarne la capacità alcuna possibilità di sindacato nel merito dei presupposti che hanno indotto il Prefetto alla sua adozione. Difatti, l'interdittiva è un provvedimento volto alla cura degli interessi di rilievo pubblico - attinenti all'ordine e alla sicurezza pubblica nel settore dei trasferimenti e di impiego di risorse economiche dello Stato, degli enti pubblici e degli altri soggetti presi in considerazione dalla normativa di riferimento - il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva all'autorità di pubblica sicurezza e non può essere messo in discussione da parte dei soggetti che alla misura di interdittiva devono prestare osservanza, sicché ogni successiva statuizione di questi ultimi soggetti si configura dovuta e vincolata a fronte del giudizio di disvalore dell'impresa e non deve essere corredata da alcuna specifica motivazione (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, sez.III, 12 marzo 2015, n.1292; id., 24 luglio 2015, n.3653). Ciò vale anche per i provvedimenti adottati dalla città metropolitana di ... e dal comune di ... e oggetto di impugnazione, atteso che, per consolidata giurisprudenza, anche le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o a s.c.i.a. soggiacciono alle informative antimafia e che è pertanto superata la rigida bipartizione e la tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, ed informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni (cfr. Consiglio di Stato n.565/2017; Consiglio di Stato n.1500/2019). La disciplina dettata dal decreto legislativo n.159 del 2011 impone l'applicazione delle informazioni antimafia anche ai rapporti a contenuto autorizzatorio, in quanto finalizzate a contrastare i tentativi della mafia imprenditrice di infiltrarsi capillarmente in tutte le attività economiche, ivi comprese quelle a contenuto autorizzatorio. Sul punto, consolidata giurisprudenza, condivisa dal tribunale, osserva che la risposta da parte dello Stato al fenomeno criminale finirebbe infatti per rimanere lacunosa e finanche illusoria, se si limitasse ai soli contratti pubblici, alle concessioni ed alle sovvenzioni, e quindi se la prevenzione del fenomeno mafioso non si estendesse anche al controllo ed all'eventuale interdizione di tutti gli ambiti economici nei quali, più frequentemente, la mafia si fa, direttamente o indirettamente, imprenditrice ed espleta la propria attività economica (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez.III, 9 febbraio 2017, n.565, cit.). Tali considerazioni hanno trovato recente e piena conferma nella sentenza della Corte Costituzionale n.57/2020, depositata il 26 marzo 2020 e pubblicata in data 1° aprile 2020, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 89-bis e 92, commi 3 e 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159.