Consiglio di Stato - Sez. III, Sentenza del 2 ottobre 2017, n.4578

Territorio e autonomie locali
2 Ottobre 2017
Categoria 
15 Controllo sugli Organi15.02 Scioglimento dei Consigli Comunali e Provinciali per infiltrazione della criminalità organizzata

Risorse collegate

Principi enucleati dalla pronuncia 

Articolo 143 TUOEL - Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare.

Estratto/Sintesi: 

Lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell'art.143 del d.lgs. 267/2000, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, è sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato (cfr., in ultimo, Cons. St., III, n.5023/2015).
L'art.143, al comma 1 (nel testo novellato dall'art.2, comma 30, della legge 94/2009), richiede che la situazione di condizionamento o ingerenza sia resa significativa da elementi “concreti, univoci e rilevanti”, che assumano valenza tale da determinare “un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”. Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono, quindi, caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale (cfr., Cons. Stato, III, n.1038/2016, n.196/2016 e n.4792/2015).
Le vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un Consiglio comunale, devono essere considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso. Assumono quindi rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non è sufficiente per l’avvio dell'azione penale o per l'adozione di misure individuali di prevenzione (cfr., in ultimo, Cons. Stato, III, n.1038/2016, n.4529/2015, n.3340/2015, n.2054/2015).
Stante l’ampia sfera di discrezionalità di cui l’Amministrazione dispone in sede di valutazione dei fenomeni connessi all’ordine pubblico, ed in particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, con ogni effetto sulla graduazione delle misure repressive e di prevenzione, il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come estrinseco, e cioè nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, della ragionevolezza del momento valutativo, della congruità e proporzionalità al fine perseguito (cfr. Cons. Stato, III, n.256/2016).
Compito dell’organo ispettivo è quello di delineare i fatti ritenuti rilevanti per la dimostrazione del rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata dell’amministrazione dell’ente e del suo apparato burocratico, sicché una volta acquisiti gli elementi fattuali necessari per sostenere la richiesta di scioglimento, correttamente nella relazione non si è fatto cenno agli elementi contrari (quali ad esempio gli atti amministrativi regolari, le delibere conformi a legge, ecc.), in quanto ritenuti insufficienti – in comparazione con la complessità degli elementi negativi emersi in sede istruttoria - a far cadere l’impianto “accusatorio” (cfr. Cons. Stato n.2895/2013). Del resto, se bastasse qualche operazione “di facciata” per lenire il rischio di dissoluzione sarebbe ben agevole farvi ricorso, eludendo in questo semplice modo la finalità perseguita della norma di cui all’art.143 del D.Lgs. 267/2000.
Sebbene sia corretto ritenere che la collocazione di un comune in un contesto territoriale infestato dalla malavita non costituisca di per sé prova della collusione dei suoi amministratori con la malavita stessa, essendo necessari ben altri elementi concreti univoci e rilevanti su collegamenti diretti o indiretti con essa, o su forme di condizionamento degli stessi tale da incidere sulla gestione dell’ente, nondimeno tale elemento fattuale può assumere rilievo ove sia accompagnato da una serie di circostanze di fatto indicative della permeabilità degli amministratori.
La declaratoria di illegittimità del provvedimento di scioglimento non può discendere dall’accertamento dell’insussistenza di qualche elemento, tra i tanti posti a base del provvedimento impugnato, essendo necessario dimostrare la complessiva illogicità della valutazione dell’insieme degli elementi acquisiti in sede istruttoria, valutati in connessione tra loro, come dimostrativi dell’esistenza di collegamenti degli amministratori con la criminalità organizzata, di forme di condizionamento degli amministratori stessi tali da alterare la loro libertà di autodeterminazione compromettendo il buon andamento dell’amministrazione comunale, nonché il regolare svolgimento dei servizi in modo da arrecare un grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
L’art.143 del D.Lgs.vo consente l’adozione della misura dissolutoria di cui al comma 1 anche in presenza della permeabilità e del condizionamento dei soli apparati burocratici dell’Ente. Peraltro, è stato ritenuto in giurisprudenza che sebbene l’assetto organizzativo dell’ente locale assegni ai dirigenti compiti di amministrazione attiva, decisionali e di responsabilità, da esercitarsi in autonomia rispetto agli organi elettivi, nondimeno non rende tali ultimi organi estranei al ripetersi di irregolarità ed illeciti di gestione. Restano, invero, fermi, ai sensi dell’art.107 del d.lgs. n.267 del 2000, i compiti di indirizzo e, segnatamente, di controllo “politico-amministrativo”, che se non va esercitato partitamente per ogni singola determinazione provvedimentale, deve investire trasversalmente l’operato dei funzionari con qualifiche dirigenziali (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 25 gennaio 2016, n.256). Infatti, l’esatta distinzione tra attività di gestione ed attività di indirizzo e di controllo politico-amministrativo non esclude che il non corretto funzionamento degli apparati dell’amministrazione sia addebitabile all’organo politico quando non risultano le attività di indirizzo e di controllo dirette a contrastare tale cattivo funzionamento (Cass. 27 maggio 2015 n.10945).