Valga quanto precisato dal Consiglio di Stato (Sez. III, 24.4.15, n. 2054), secondo cui lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose costituisce una misura straordinaria di prevenzione (Corte Cost. n. 103/1993), che l'ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell'autogoverno locale (Cons. Stato, Sezione III, 28.5.13, n. 2895); esso si basa sull'accertata diffusione sul territorio della criminalità organizzata e tale misura non ha natura di provvedimento “sanzionatorio” (Cons. Stato, Sez. III, n. 26.9.14, n. 4845), non avendo finalità repressive nei confronti di singoli, ma ha lo scopo fondamentale di salvaguardare la funzionalità dell’amministrazione pubblica.
Il D.P.R. con il quale è disposto lo scioglimento e la relazione ministeriale di accompagnamento, costituiscono, quindi, atti di “alta amministrazione”, perché orientati a determinare ugualmente la tutela di un interesse pubblico, legato alla prevalenza delle azioni di contrasto alle c.d. “mafie” rispetto alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali (Cons. Stato, Sez. III, n. 2895/13 cit.).
In relazione agli elementi sulla base dei quali può essere disposto il provvedimento di scioglimento ex art. 143 TUEL, le vicende che ne costituiscono il presupposto devono essere considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento “mafioso” (in termini: Cons. Stato, Sez. VI, 10.3.11, n. 1547).
Ne consegue che assumono rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere - nel loro insieme - plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (tra cui, in misura non esaustiva: vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni) e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (Consiglio di Stato, Sez. III, 2.7.14, n. 3340).
La norma di cui all'art. 143 cit., quindi, consente l’adozione del provvedimento di scioglimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, e perciò sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se – come detto - di livello inferiore rispetto a quello che legittima l'azione penale o l'adozione di misure di sicurezza (Cons. Stato, Sez. III, 6.3.12, n. 1266).
Nell’esercizio del potere di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, trovano perciò giustificazione i margini, particolarmente estesi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione statale nel valutare gli elementi su collegamenti, diretti o indiretti, o su forme di condizionamento da parte della criminalità di “stampo mafioso” (Cons. Stato, Sez. III, n. 3340/2014 cit.).
A ciò deve aggiungersi che, se è vero che gli elementi raccolti, devono essere “concreti, univoci e rilevanti”, come è richiesto dalla “nuova formulazione” dell’art. 143, comma 1, TUEL, è tuttavia solo dall’esame complessivo di tali elementi che si può ricavare, da un lato, il quadro e il grado del condizionamento mafioso e, dall’altro, la ragionevolezza della ricostruzione operata quale presupposto per la misura dello scioglimento degli organi dell’ente, potendo essere sufficiente allo scopo anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione nella “macchina” amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti “controindicati” (Cons. Stato, Sez. III, n. 28.5.13, n. 2895).
Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono caratterizzarsi per “concretezza” ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per “univocità”, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per “rilevanza”, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore della l. 9/2009 non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di governo garantita dalla Costituzione (Cons. Stato, Sez. III, 20.1.16, n. 197 e 19.10.2015, n. 4792).
Proprio in ragione della straordinarietà dell’indicata misura e della sua fondamentale funzione di contrasto alla capillare diffusione, tramite connivenza con le amministrazioni locali, della criminalità organizzata sull’intero territorio nazionale, deve ritenersi che la suindicata modifica dell’art. 143 cit. non implica una regressione della “ratio” sottesa alla disposizione, poiché “la finalità perseguita dal legislatore è rimasta quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo” (Cons. Stato, Sez. III, 23.4.14, n. 2038), nell'evidente necessità di evitare, con immediatezza, che l'amministrazione locale rimanga permeabile all'influenza della criminalità organizzata per l’intera durata del suo mandato elettorale (Cons. Stato, Sez. III, n. 3340/2014 cit.).
Sulla base di tali presupposti, quindi, e in riferimento al grado di ampiezza dei poteri di cui dispone il giudice amministrativo nell’esame delle impugnazioni di tali provvedimenti di scioglimento, considerata la suddetta natura del procedimento dissolutorio, può essere esercitato solo un sindacato di legittimità di tipo “estrinseco”, senza possibilità di valutazioni che, al di fuori dell’espressione dell’ipotesi di travisamento dei fatti o manifesta illogicità, si muovano sul piano del “merito” amministrativo (Cons. Stato, Sez. III n. 1266/12, cit.).
Se persino l’assenza di elementi idonei al mero avvio dell’azione penale non è considerata di ostacolo alla legittimità di provvedimenti di scioglimento ex art. 143 cit. - se fondati su un complesso di elementi indiziari previsti dalla norma - tanto più una successiva pronuncia di assoluzione su contestazione specifica e personale può ugualmente non essere considerata decisiva, tenendo conto oltretutto della circostanza per la quale la legittimità dei provvedimenti impugnati deve essere valutata – e non può essere diversamente, quale regola generale – alla luce della situazione di fatto al momento della loro adozione (TAR Lazio, Sez. I, 8.1.15, n. 165).
Non è metodo idoneo a evidenziare l’illegittimità dello scioglimento quello volto ad analizzare isolatamente i singoli aspetti o accadimenti, i quali, “presi in sé”, possono anche essere talvolta scarsamente significativi, in quanto di modesta rilevanza ovvero suscettibili di diverse interpretazioni e giustificazioni “postume” (Cons. Stato, Sez. III, 8.6.16, n. 2454).
In realtà ciò che deve concretamente verificarsi nel giudizio avanti al g.a. è se le Autorità procedenti hanno inteso che tutti gli elementi richiamati, nella loro complessità, assumono rilevanza e significato ai fini dell’applicazione dell’art. 143 cit., in quanto concorrenti e connessi fra loro, secondo una valutazione – si ricorda - tipicamente discrezionale (quale di discrezionalità “tecnica”) sindacabile solo sotto il profilo della manifesta illogicità o travisamento dei fatti.
E’ conclusione giurisprudenziale diffusa quella per la quale lo scioglimento ex art. 143 cit., in virtù della natura “non sanzionatoria” che lo contraddistingue, è legittimo sia qualora sia riscontrato il coinvolgimento diretto degli organi di vertice politico-amministrativo sia anche, più semplicemente, per l’inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri compiti di vigilanza e di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune, che impongono l'esigenza di intervenire ed apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e sostanziale cura e difesa dell'interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze estranee riconducibili all'influenza ed all'ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata (in tal senso: TAR Lazio, Sez. I, 28.8.15, n. 10899 e Cons. Stato, Sez. III, 6.3.12, n. 1266).
TAR Lazio, sentenza n. 10049 del 5 ottobre 2016
Territorio e autonomie locali
Categoria
15 Controllo sugli Organi›15.02 Scioglimento dei Consigli Comunali e Provinciali per infiltrazione della criminalità organizzata
Principi enucleati dalla pronuncia