Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 2454 dell’8 giugno 2016

Territorio e autonomie locali
8 Giugno 2016
Categoria 
15 Controllo sugli Organi15.02 Scioglimento dei Consigli Comunali e Provinciali per infiltrazione della criminalità organizzata
Principi enucleati dalla pronuncia 

 Lo scioglimento del consiglio comunale, a norma dell’art. 143, t.u.e.l., non è una sanzione rivolta alle persone dei consiglieri comunali, ma è una misura organizzativa che riguarda l’ente locale nel suo insieme. L’incidenza sullo status dei singoli amministratori è solo indiretta e conseguenziale. Simili misure sono giustificate da un interesse pubblico preminente – in presenza di presupposti di eccezionale gravità che richiedono anche immediatezza di intervento - e comunque sono ampiamente sindacabili su ricorso degli interessati.
Nel contesto dell’art. 143, t.u.e.l., la condotta dei funzionari e dei dirigenti viene in considerazione quale sintomo a carico degli amministratori attuali, stante la funzione di indirizzo e di controllo che compete a questi ultimi; non ha rilevanza invece (per quanto previsto dall’art. 143) che quei dipendenti siano stati insediati dalla stessa amministrazione o dalla precedente.
La circostanza che alcuni dei componenti di diritto del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica non siano stati presenti non vizia il provvedimento dissolutorio, atteso che nella norma che istituisce il Comitato e ne disciplina l’attività, ossia l’art. 20 della legge n. 121/1981, non si rinviene una regola per la quale il Comitato in parola si riunisce validamente solo con la presenza di tutti i suoi componenti. La generalità degli organi collegiali amministrativi, consultivi o deliberativi, segue la regola contraria: ossia che l’organo è validamente riunito e operante anche se non sono presenti tutti i suoi membri. Semmai i singoli ordinamenti richiedono (con formule differenti) la presenza di un “numero legale” che comunque non si identifica con il plenum. La presenza necessaria di tutti i componenti (rectius: di un numero fisso di componenti, non uno di più né uno di meno) è invece la regola per i collegi giurisdizionali (ma non per la Corte costituzionale). Viene estesa anche a taluni collegi amministrativi, come ad es. le commissioni di concorso, le commissioni giudicatrici delle gare d’appalto e le commissioni di collaudo, ma si tratta di eccezioni giustificate da una disposizione espressa oppure dalla natura delle funzioni esercitate. Non pare che la natura e la rilevanza del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica siano tali da assimilarlo ai suddetti casi eccezionali. La norma istitutiva (art. 20, cit.) lo definisce «organo ausiliario di consulenza», quindi un mero supporto tecnico all’esercizio delle funzioni proprie del Prefetto quale autorità provinciale di pubblica sicurezza. E’ particolarmente significativa, poi, la circostanza che la legge configuri il Comitato come un organo a composizione variabile; variabile, per di più, a mera discrezione del Prefetto, che lo convoca, lo presiede, e se ne avvale. Infatti il secondo comma dell’art. 20 prevede una composizione ristretta e per così dire ordinaria del Comitato; i commi terzo e quarto consentono al prefetto di convocare, caso per caso e a sua piena discrezione altri soggetti, peraltro indicati dalla legge con espressioni assai generiche («le autorità locali di pubblica sicurezza e i responsabili delle amministrazioni dello Stato interessate ai problemi da trattare... i responsabili degli altri uffici delle amministrazioni locali interessate o della polizia municipale... componenti dell’ordine giudiziario...»). Trattandosi dunque di un organo “ausiliario” a composizione liberamente variabile, si deve ammettere, per coerenza logica e sistematica, che l’occasionale assenza di taluno dei membri ordinari non renda di per sé invalida la seduta, se il Prefetto-presidente ha ritenuto che il numero e la qualità dei presenti fosse sufficiente a fornirgli un adeguato supporto di consulenza. Si potrebbe ipotizzare, al più, un vizio, se risultasse che i membri ordinari assenti non fossero stati convocati.
L’art. 143 t.u.e.l. dispone: «Entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d'indagine, ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1 (...) il prefetto, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica (...) invia al Ministro dell'interno una relazione....». Come si vede, la norma non impone una rigida e vincolante consequenzialità fra le conclusioni della commissione d’indagine e il parere del Comitato: il Prefetto può proporre lo scioglimento anche basandosi su conoscenze acquisite in altro modo, dunque a fortiori può utilizzare gli elementi raccolti dalla commissione, senza dover necessariamente attendere che la relazione di quest’ultima sia formalmente perfezionata.
Il termine di quarantacinque giorni, nella disposizione citata, ha chiaramente una funzione sollecitatoria e non perentoria e manifesta l’intenzione del legislatore di indirizzare il Prefetto ad attivarsi nel più breve tempo possibile.