Con la “normativa antimafia”, oggi compendiata nelle previsioni contenute nel c.d. “Codice antimafia (D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 che ha abrogato il precedente quadro normativo delineato dal D. Lgs. n. 490/94 e dal D.P.R. n. 252/98) il legislatore ha accostato alle misure di prevenzione antimafia un altro significativo strumento di contrasto della criminalità organizzata, consistente nell’esclusione dell’imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamento da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti o dalla fruizione di benefici di carattere finanziario che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l’utilizzo di risorse della collettività. Invero, per espressa previsione normativa, esulano dalle prescrizioni del D. Lgs. n. 490/94, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia, tutte quelle determinazioni amministrative che solo indirettamente sono suscettibili di produrre effetti sulla attività imprenditoriale (quali, ad esempio, i nullaosta, le licenze e simili aventi contenuto tecnico, ecc.), e a maggior ragione quelle relative al perseguimento di interessi patrimoniali estranei all'attività d'impresa. Inequivocabile, in tal senso, è il precetto di cui alla lett. e) dell’allegato 3 dell’art. 4 del d.lgs. 29 ottobre 1994, n. 490 che, se pure contiene una ampia clausola di riserva di natura estensiva ai “provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo”, tuttavia ne circoscrive l’applicabilità soltanto a quelli concernenti “lo svolgimento di attività imprenditoriali”.