La sentenza opera una ricognizione sulla normativa nazionale e internazionale in tema di parità di genere. La questione trova un primo riconoscimento, sul piano internazionale, nel Preambolo della Carta dell’ONU, che sancisce tra gli obiettivi principali l’uguaglianza dei diritti di uomini e donne, ribadito dalla Convenzione sui diritti politici delle donne, adottata dall’Assemblea generale della Nazioni Unite il 20 dicembre 1952, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 24.4.1967, n. 326 e poi anche nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, adottata il 18 dicembre 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed in vigore dal 1981.La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 ha ritenuto il divieto di ogni discriminazione sulla base del sesso ed il principio di parità tra uomini e donne , come diritti fondamentali di tutti gli individui, da assicurare in ogni ambito. Il Trattato di Amsterdam ha affermato la parità di genere ed il divieto di discriminazione basata sul sesso e ha previsto l’adozione, da parte delle istituzioni comunitarie, di provvedimenti finalizzati a combattere le discriminazioni fondate sul sesso. L’art. 51 Cost., nel testo modificato con la legge costituzionale 30 maggio 2003 n. 1, prevede che, al fine del pari accesso dell’uno o dell’altro sesso alle cariche elettive, “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Principio ribadito dall’art. 117, comma 7, Cost. nonché sancito dagli artt. 3, 49, 51 e 97 Cost., sicché lo stesso opera direttamente quale limite all’esercizio del potere amministrativo. L’art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (recante il “codice delle pari opportunità fra uomo e donna”), come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 5/10, così stabilisce misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso. L’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 267/ 00, come modificato dall’art.1, comma 1, della legge 23 novembre 2012 n. 215, stabilisce, poi, che “gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991 n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti”. L’art. 46, comma 2, del precitato decreto legislativo n. 267/00, stabilisce altresì che “il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della Giunta…”. L’art. 1, comma 137, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”) stabilisce infine che “nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico”.
Ai ricorrenti, la Consigliera di Parita' Regionale e alcuni cittadini residenti nel Comune è riconosciuta la legittimazione ad agire. Il Comune resistente, ente che ricade nella sfera di applicazione dell’art. 1, comma 137, della Legge 7 aprile 2014, n. 56, ha evidenziato che il proprio statuto non consente la nomina di assessori esterni al consiglio comunale. Nel merito, è annullato il decreto di nomina della Giunta Comunale, composta di quattro uomini e di una sola donna perché lo stesso non è conforme all’art. 1, comma 137, della legge n. 56/14 e non reca alcuna effettiva prova di adeguata istruttoria finalizzata alla nomina di assessori di genere femminile, limitandosi a comprovare soltanto la rinuncia di due consigliere. L’atto impugnato “non fa alcun concreto riferimento all’attività istruttoria effettivamente espletata né alle modalità di svolgimento della stessa”. Conseguentemente, non può essere ritenuto immune da vizi di legittimità l’operato del Sindaco, che, dopo aver ricevuto il diniego da parte delle due consigliere comunali elette nel seno della maggioranza, si è considerato esonerato dall’obbligo di nomina di assessori di genere femminile.
Tar Calabria (Sezione Seconda) sentenza n. 1 del 9 gennaio 2015
Territorio e autonomie locali
Categoria
03 Organi›03.04 Giunte comunali e provinciali - Parità di genere
Principi enucleati dalla pronuncia