Dimissioni del consigliere rese fuori dalla sede istituzionale
Lo schema normativo delinea, in termini stringenti e tipizzati, il modus procedendi che deve essere osservato dal consigliere che intenda rassegnare le sue dimissioni dalla carica, al fine di garantire, da un lato, che esso sia il frutto di una deliberazione consapevole e meditata – e, quindi, non di un processo decisionale caratterizzato da avventatezza e non adeguata ponderazione delle ragioni, di segno politico o meno, che vi sono sottese e delle gravi conseguenze, anche sul piano della continuità dell'assetto consiliare e dell'indirizzo politico-amministrativo da esso espresso, che vi si ricollegano – e, dall'altro lato, che, una volta che quella decisione sia pervenuta ad un grado che l'ordinamento, rispettati gli adempimenti formali all'uopo previsti, ritiene sufficiente di maturazione ed esternazione, essa non sia più ritrattabile o modificabile, ponendola in tal modo al riparo dalla possibilità di uso distorto o strumentale della facoltà di cui costituisce espressione. Proprio perché il rigore formale cui si ispira il disposto normativo de quo costituisce il contrappeso alla negazione di qualsiasi rilevanza delle motivazioni sottese alla scelta del consigliere dimissionario ed alla irrevocabilità della stessa, con la conseguente attribuzione del carattere vincolato alla deliberazione di surroga che il consiglio comunale deve celermente adottare, la sua applicazione non tollera deviazioni dal percorso tassativamente fissato dal legislatore, né può accettare generiche quanto indeterminate equipollenze procedurali che non offrano le stesse garanzie di affidabilità ritenute congrue sul piano normativo, quale punto di approdo di un difficile equilibrio tra libertà di manifestazione della volontà (anche di rinuncia al mandato elettivo) dei consiglieri e necessità di ancorarla a presupposti univoci, tali da non generare dubbi sulla effettività e sulla serietà di quella decisione.