Parità di genere nelle giunte dei comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti

Territorio e autonomie locali
3 Gennaio 2018
Categoria 
05.03 Giunte comunali e provinciali
Sintesi/Massima 

  Parità di genere nelle giunte dei comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti. L’art 2, comma 1, lett. b) della legge n.  215/12   ha  modificato l’art. 46, comma 2, del T.U.O.E.L. disponendo che il sindaco ed il presidente nella provincia nominano i componenti della giunta “nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi”.
La normativa in discorso va letta alla luce dell’art. 51 della Costituzione, come modificato dalla  legge costituzionale n. 1/03, che ha riconosciuto dignità  costituzionale al principio della  promozione della pari opportunità  tra donne e uomini. Le previsioni in materia di parità di genere nelle giunte degli enti locali, dettate in coerenza con i principi declinati dall’art. 51 della Costituzione, dall’art. 1 del decreto legislativo dell’11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità) e dall’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,  non hanno un mero valore programmatico, ma carattere precettivo, finalizzato a rendere effettiva la partecipazione di entrambi i sessi in condizioni di pari opportunità, alla vita istituzionale degli enti territoriali.  

Testo 

E’ stato formulato un quesito in ordine alla applicazione della vigente normativa in tema di parità di genere nelle giunte  dei comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti.
Al riguardo si osserva che, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del  decreto legislativo n. 267/00,  è previsto che gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
 Come noto, tale disposizione è stata  modificata  dall’art.  1, comma 1, della legge n. 215/12  che  ha sostituito  il verbo   “promuovere”  con il verbo “garantire” ed ha aggiunto alla espressione “organi collegiali” la dicitura “non elettivi”. Ai sensi del comma 2 dell’art. 1 della citata  legge n.  215 del 2012 è previsto che gli enti locali, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge stessa, adeguino i propri statuti e regolamenti alle disposizioni del comma 3, dell’art. 6 del decreto legislativo n. 267/00.
L’art 2, comma 1, lett. b) della legge n.  215/12   ha  modificato l’art. 46, comma 2, del T.U.O.E.L. disponendo che il sindaco ed il presidente nella provincia nominano i componenti della giunta “nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi”.
La normativa in discorso va letta alla luce dell’art. 51 della Costituzione, come modificato dalla  legge costituzionale n. 1/03, che ha riconosciuto dignità  costituzionale al principio della  promozione della pari opportunità  tra donne e uomini.
Le previsioni in materia di parità di genere nelle giunte degli enti locali, dettate in coerenza con i principi declinati dall’art. 51 della Costituzione, dall’art. 1 del decreto legislativo dell’11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità) e dall’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,  non hanno un mero valore programmatico, ma carattere precettivo, finalizzato a rendere effettiva la partecipazione di entrambi i sessi in condizioni di pari opportunità, alla vita istituzionale degli enti territoriali.
Nel  parere n. 93/2015 del Consiglio di Stato, Sezione prima, reso su richiesta della scrivente amministrazione in ordine all’applicazione della stessa  legge n. 215 del 2012  è stato precisato che affinché il decreto di nomina di una giunta  monogenere possa essere considerato legittimo occorre  “la dimostrazione di una preventiva e necessaria attività istruttoria, volta ad acquisire la disponibilità allo svolgimento dell’attività assessorile da parte di persone di entrambi i sessi”, nonché “un’adeguata motivazione della mancata applicazione del principio di pari opportunità”.