Obbligo per il presidente di un consiglio provinciale di convocare il Consiglio quando lo richieda un gruppo di minoranza ai sensi dell’art. 39 comma 2 del T.U.E.L. 18 Agosto 2000, n. 67

Territorio e autonomie locali
28 Gennaio 2003
Categoria 
05.02.07 Richiesta convocazione Consiglio da parte di un quinto
Sintesi/Massima 

Obbligo per il presidente di un consiglio provinciale di convocare il Consiglio quando lo richieda un gruppo di minoranza ai sensi dell’art. 39 comma 2 del T.U.E.L. 18 Agosto 2000, n. 67

Testo 

E' stato chiesto il parere della Direzione Centrale per le Autonomie in merito ad un quesito in ordine alla sussistenza dell'obbligo per il presidente di un consiglio provinciale di convocare il Consiglio quando lo richieda un gruppo di minoranza ai sensi dell'art. 39 comma 2 del T.U.E.L. 18 Agosto 2000, n. 67.
In particolare è stato chiesto di conoscere se sia legittimo il diniego opposto dal Presidente del consiglio provinciale di convocare il medesimo consesso e, conseguentemente, se si debba ritenere applicabile al caso di specie la disposizione dall'art. 39 comma 5 del T.U.EL. 267 del 2000 che consente al Prefetto, previa diffida, di provvedere in caso di inosservanza degli obblighi previsti dalla legge.
Al riguardo occorre premettere che l'art. 43 comma 1 del T.U.E.L. n. 267 del 2000 riconosce a ciascun consigliere comunale o provinciale il 'diritto di iniziativa' su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio oltre al diritto di chiedere la convocazione del consiglio secondo le modalità dettate dall'art. 39 comma 2 e di presentare interrogazioni e mozioni.
L'art. 39 comma 2 del T.U.E.L. 267/2000 prescrive che il presidente del consiglio comunale o provinciale è tenuto a riunire il consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste.
L'omessa convocazione del consiglio comunale entro il termine di venti giorni previsto dall'art. 39 comma 2 T.U.E.L. 267/2000, nel caso in cui la convocazione sia richiesta da un quinto dei consiglieri non si traduce in un vizio di legittimità derivata della delibera adottata nella seduta convocata successivamente (sentenza Consiglio di Stato 25 luglio 2001 n. 4278).
Tale diritto di iniziativa è infatti tutelato in modo specifico dalla legge con la previsione dell'intervento sostitutivo del Prefetto contenuta nell'art. 39 comma 5 del T.U.E.L. 267/2000.
Il significato giuridicamente utile di tale procedura rafforzata di tutela va individuato nel fatto che l'ordinamento ritiene un valore essenziale del sistema democratico che alla minoranza sia assicurata effettività del diritto di iniziativa, e cioè del diritto di discussione in assemblea sull'argomento richiesto.
L'ordinamento ha voluto fare giusto bilanciamento fra due principi: da un lato il principio maggioritario, a sua volta rafforzato nel sistema elettorale degli enti locali quanto al momento di decidere; dall'altro lato, il principio del valore della funzione della minoranza espresso nel diritto di convocazione della assemblea per decidere su un argomento.
In tal modo la legge riconosce piena tutela a quelle situazioni in cui l'inerzia degli organi competenti integra l'inosservanza di un obbligo di legge e la modificazione dell'ordine delle competenze tra lo Stato, i Comuni e le Province costituisce attuazione del principio di completezza ed effettività dell'ordinamento anche quanto all'azione amministrativa ogni qual volta non si compiano atti obbligatori per legge (in tal senso si è espressa la Corte costituzionale con sentenza 28 febbraio 1988 n. 177).
Con riferimento alla denunciata violazione dell'art. 39 comma 2 del T.U.E.L. n. 267/2000 da parte del presidente del consiglio provinciale, per l'omessa convocazione del consiglio provinciale di Pisa richiesta da un gruppo di minoranza, si fa osservare che secondo la prevalente giurisprudenza in caso di richiesta di convocazione del consiglio da parte di un quinto dei consiglieri, a norma dell'art. 39 comma 2 del T.U.E.L. 267/2000, 'al presidente del consiglio provinciale spetta soltanto la verifica formale che la richiesta provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non può sindacarne l'oggetto, poiché spetta allo stesso consiglio nella sua totalità e non ai capigruppo consiliari – la verifica circa la legalità della convocazione e l'ammissibilità delle questioni da trattare, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell'assemblea in nessun caso potrebbe essere posto all'ordine del giorno' (vedasi sentenza resa dal T.A.R. Piemonte, Sez. II, 24 aprile 1996, n. 268).
Pertanto, il Presidente del consiglio provinciale, pur non potendo sindacare nel merito le richieste avanzate dal prescritto quorum di consiglieri, non è vincolato a convocare il consiglio qualora le stesse richieste vertano o su un oggetto che per legge è manifestamente estraneo alle competenze del collegio consiliare oppure su un oggetto illecito o impossibile.
Il T.A.R. Puglia, Sez. I, con una recente sentenza n. 4278 del 25 luglio 2001, ha ritenuto che appartiene ai poteri sovrani dell'assemblea decidere in via pregiudiziale che un dato argomento inserito nell'ordine del giorno non debba essere discusso (questione pregiudiziale) ovvero se ne debba rinviare la discussione (questione sospensiva). Tali poteri, secondo lo stesso collegio, sono dalla stessa assemblea sempre esercitabili anche se non sono previsti in una fonte normativa.
Lo stesso Tribunale ha però aggiunto, che: 'ogni qualvolta l'ordinamento prevede e garantisce il diritto di iniziativa della minoranza in seno al consiglio comunale mediante convocazione dell'assemblea, il potere della maggioranza di porre questioni pregiudiziali deve essere limitato a quelle sole questioni che impedirebbero la discussione dell'argomento posto all'ordine del giorno per ragioni interne e proprie della specifica procedura con esclusione di quelle strumentalmente dirette a porre nel nulla la funzione del diritto di iniziativa'. Ancora, il T.A.R. ha ritenuto che il coordinamento tra il diritto di iniziativa della minoranza e il potere della maggioranza di porre questioni pregiudiziali, va risolto nel senso che l'ordinamento dà prevalenza e garantisce comunque la effettività del primo sia al momento iniziale (convocazione del consiglio) che nel suo ineliminabile aspetto funzionale (discussione).
Infine, il T.A.R. ha censurato di illegittimità una previsione statutaria volta ad affidare al Sindaco, 'sentita la conferenza dei capigruppo', 'di valutare l'ammissibilità della richiesta di convocazione del consiglio comunale', ritenendo che tale previsione lasciasse 'un ampio e perciò illegittimo margine di discrezionalità nella decisione'.
Nel caso di specie otto consiglieri provinciali hanno chiesto al presidente del consiglio provinciale la convocazione dell'assemblea per la trattazione dei seguenti argomenti: 'situazione carte di credito intestate al presidente e al direttore generale. Determinazioni' e 'Fondi di investimento. Determinazioni'.
Gli argomenti di cui alla richiesta dei consiglieri di minoranza non sono stati ammessi alla discussione in quanto, 'in mancanza del materiale richiesto, la discussione non può concludersi con voto'.
Al riguardo si rileva, innanzitutto, che il regolamento consiliare del comune non disciplina esplicitamente la facoltà della minoranza di chiedere la convocazione del consiglio ai sensi dell'art. 39, comma 2, del T.U.O.E.L., pur affermando, all'art. 11, comma 1, l'obbligo del presidente del consiglio di iscrivere all'ordine del giorno 'gli argomenti di iniziativa . dei consiglieri'. Detta espressione generica, in relazione a quella – altrettanto generica – usata dal richiamato art. 39 T.U. ('questioni richieste') giustifica, a giudizio di questo Ufficio, la linea favorevole alla ammissibilità della richiesta della minoranza in correlazione alle richiamate recenti sentenze ed, in via generale, al costante indirizzo giurisprudenziale secondo il quale è sufficiente la sommaria e sintetica indicazione degli affari da trattare. Ciò con particolare riguardo al primo dei due punti di cui è stata richiesta la iscrizione all'ordine del giorno, potendosi dubitare, con riguardo al secondo, la presenza di quegli essenziali elementi identificativi idonei a evitare dubbi o incertezze in ordine agli affari da trattare.
Ovviamente la iscrizione degli argomenti nei termini della istanza, in assenza delle specificazioni richieste dal Presidente del Consiglio, consentono una discussione generale che potrebbe tutt'al più sfociare nella presentazione e votazione di ordini del giorno, ma non anche di atti deliberativi a contenuto dispositivo per la cui trattazione si richiederebbe la iscrizione esplicita all'ordine del giorno di una successiva seduta nell'osservanza delle garanzie procedurali di cui all'art. 49 T.U.O.E.L. e dell'obbligo della informazione preventiva dei membri del consiglio in ordine alle questioni sottoposte alla loro deliberazione.
Quanto precede non è contraddetto – a giudizio di questo Ufficio – dalle previsioni dell'art. 5 del regolamento consiliare del comune, che limita il diritto di iniziativa dei consiglieri alla 'presentazione di interrogazioni, di interpellanze, di mozioni, di atto di indirizzo, di proposta di deliberazione o di emendamenti ad atti da sottoporre a votazione'. Ciò in quanto il diritto di iniziativa della minoranza qualificata riceve dall'ordinamento una speciale e più ampia tutela rispetto al diritto di iniziativa del singolo consigliere, diritto che, a differenza del primo, può essere definito nei suoi contenuti formali e procedurali dalle previsioni regolamentari dell'ente.