TAR Lazio – Roma, Sez.I - Sentenza del 9 luglio 2019, n.9105

Territorio e autonomie locali
9 Luglio 2019
Categoria 
15 Controllo sugli Organi15.02 Scioglimento dei Consigli Comunali e Provinciali per infiltrazione della criminalità organizzata

Risorse collegate

Principi enucleati dalla pronuncia 

Articolo 143 TUOEL - Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare.

Estratto/Sintesi: 

Lo scioglimento del Consiglio comunale per “infiltrazioni mafiose” costituisce una misura straordinaria di mera “prevenzione” (Corte Cost. n.103/1993), che l'ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale; il DPR con il quale è disposto lo scioglimento e la relazione ministeriale di accompagnamento costituiscono, quindi, atti di “alta amministrazione”, perché orientati a determinare ugualmente la tutela di un interesse pubblico particolarmente incisivo e rilevante, legato alla prevalenza delle azioni di contrasto alle c.d. “mafie” rispetto alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali.
La misura di cui all’art.143 cit. non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma si pone in un quadro avente eminente finalità di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e/o all’influenza della criminalità organizzata, in cui emerge la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali ai singoli amministratori, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione o inerzia di questi nei confronti della criminalità organizzata locale.
In relazione agli elementi sulla base dei quali può essere disposto il provvedimento di scioglimento ex art.143 TUOEL, le vicende che ne costituiscono il presupposto devono essere considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, un quadro complessivo di condizionamento “mafioso”. Ne consegue che ben possono assumere rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere plausibile - nella loro globalità contingente e in base ai dati dell’esperienza - l’ipotesi di una soggezione – anche subita - degli amministratori locali alla criminalità organizzata e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione.
La norma di cui all’art.143 cit., quindi, consente l’adozione del provvedimento dissolutorio sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata idonei a influenzare l’operato dell’amministrazione comunale, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, e quindi sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se di livello inferiore rispetto a quello che legittima l’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza.
Nell’esercizio del potere di scioglimento del consiglio comunale per “infiltrazioni mafiose”, trovano giustificazione i margini, particolarmente estesi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione statale nel valutare gli elementi su collegamenti, diretti o indiretti, o su forme di condizionamento da parte della criminalità di “stampo mafioso”.
In riferimento al grado di ampiezza dei poteri di cui dispone il giudice amministrativo nell’esame delle impugnazioni di tali provvedimenti di scioglimento, dal g.a. può essere esercitato solo un sindacato di legittimità di tipo “estrinseco”, senza possibilità di valutazioni che, al di fuori dell’espressione dell’ipotesi di evidente travisamento dei fatti o manifesta illogicità, si muovano sul piano del “merito” amministrativo.
È dall’esame complessivo e non atomistico degli elementi di fatto riscontrati nel corso del procedimento che si può ricavare, da un lato, il quadro e il grado del condizionamento mafioso e, dall’altro, la ragionevolezza della ricostruzione operata quale presupposto per la misura dello scioglimento degli organi dell’ente locale, potendo essere sufficiente allo scopo anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione della “macchina” amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti “controindicati”.
Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale, come è richiesto dalla “nuova formulazione” dell’art.143, comma 1, TUOEL, devono comunque caratterizzarsi per “concretezza”, e quindi essere assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per “univocità”, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per “rilevanza”, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore della L.94/2009 non ha voluto elidere quella richiamata “ampia discrezionalità” propria di un atto di alta amministrazione, ma solo “controbilanciarla”, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del “fenomeno mafioso” con i più alti valori costituzionali alla base dell’ordinamento nazionale, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di governo garantita dalla Costituzione.
Proprio in ragione della straordinarietà dell’indicata misura e della sua fondamentale funzione di contrasto alla capillare diffusione, tramite connivenza con le amministrazioni locali, della criminalità organizzata sull’intero territorio nazionale, deve ritenersi che la suindicata modifica dell’art.143 cit. non implica una regressione della “ratio” sottesa alla disposizione, poiché la finalità perseguita dal legislatore è rimasta quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo; ciò nell’evidente necessità di evitare, con immediatezza, che l’amministrazione locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata per l’intera durata del suo mandato elettorale.
La comunicazione di avvio del procedimento, ex art.7 L.241/90, non è necessaria, tenuto conto della natura preventiva e cautelare del decreto di scioglimento e della circostanza che gli interessi coinvolti non concernono, se non indirettamente, persone, riguardando piuttosto la complessiva operatività dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale.
L’incandidabilità, pronunciata con provvedimento dell’Autorità giurisdizionale, ai sensi dell’art.143, comma 11, TUOEL, non è conseguenza automatica dello scioglimento del Comune. Anche la Corte di Cassazione ha affermato che l’incandidabilità degli amministratori non è automatica, ma richiede una valutazione delle singole posizioni in nome del diritto costituzionale all’elettorato passivo, per verificare che collusioni o condizionamenti abbiano determinato una cattiva gestione della cosa pubblica. Ne consegue che – certamente – il processo civile in questione, ma anche, ancor di più quello penale, sono orientati a valutare la posizione dei singoli nel contesto di riferimento ma non ha alcun collegamento con i presupposti dello scioglimento ex art.143 cit. riconducibile alla valutazione di opportunità per “alta amministrazione” propria delle Autorità coinvolte.
Lo scioglimento del Consiglio comunale “per infiltrazioni mafiose” costituisce una misura straordinaria di prevenzione, che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale in quanto tale. Per tale ragione ne consegue che assumono rilievo situazioni non traducibili in (anche episodici) addebiti personali ma tali da rendere - nel loro insieme - plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione, anche meramente subita o non scientemente programmata, degli amministratori locali alla criminalità organizzata e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente neanche per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione.
Lo scioglimento del Consiglio comunale prescinde dall’accertamento di responsabilità di singoli soggetti ed è rimedio attraverso il quale il legislatore ha inteso ovviare ad una condizione patologica dell’ente nel suo complesso e il relativo provvedimento non è quindi la conseguenza di responsabilità del singolo amministratore. L’unico provvedimento al quale si potrebbe quindi semmai riconoscere natura “sanzionatoria”, è, invece, quello, diverso, ex art.143, comma 11, TUOEL, con il quale viene decretata l’incandidabilità ed il quale è adottabile nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dello scioglimento. In definitiva, si tratta di giudizi autonomi che hanno ad oggetto accertamenti distinti: quello di incandidabilità una valutazione delle singole posizioni e dei singoli comportamenti, ove può essere adeguatamente tutelato l’interesse di ciascun amministratore a sentirsi dichiarare estraneo a qualunque coinvolgimento con la criminalità organizzata, laddove il presente giudizio verte sulla legittimità del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale, il quale prescinde dall’accertamento di responsabilità di singoli soggetti.
Quale presupposto per la misura dello scioglimento ex art.143 cit., è sufficiente allo scopo anche soltanto atteggiamenti di debolezza, o di omissione di vigilanza e controllo sugli organi amministrativi, o di incapacità di gestione della “macchina” amministrativa da parte degli organi politici che siano stati idonei a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti “controindicati”.
L’azione amministrativa deve sempre essere ispirata ai principi di legalità e di buon andamento ed è, in quanto tale, attività doverosa che in nessun caso può essere invocata come esimente di condotte parallele che a tali principi non sono conformi.