TAR Lazio – Roma, Sez.I - Sentenza del 18 giugno 2019, n.7937

Territorio e autonomie locali
18 Giugno 2019
Categoria 
15 Controllo sugli Organi15.02 Scioglimento dei Consigli Comunali e Provinciali per infiltrazione della criminalità organizzata

Risorse collegate

Principi enucleati dalla pronuncia 

Articolo 143 TUOEL - Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare.

Estratto/Sintesi: 

Lo scioglimento del Consiglio comunale per “infiltrazioni mafiose” costituisce una misura straordinaria di prevenzione, che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale; il DPR con il quale è disposto lo scioglimento e la relazione ministeriale di accompagnamento costituiscono, quindi, atti di “alta amministrazione”, perché orientati a determinare ugualmente la tutela di un interesse pubblico, legato alla prevalenza delle azioni di contrasto alle c.d. “mafie” rispetto alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali.
La misura di cui all’art.143 cit. non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, con eminente finalità di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.
In relazione agli elementi sulla base dei quali può essere disposto il provvedimento di scioglimento ex art.143 TUOEL, le vicende che ne costituiscono il presupposto devono essere considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento “mafioso”. Ne consegue che assumono rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere - nel loro insieme - plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (tra cui, in misura non esaustiva: vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni) e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione.
La norma di cui all’art.143 cit. consente l’adozione del provvedimento di scioglimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, e perciò sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se  di livello inferiore rispetto a quello che legittima l’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza.
Nell’esercizio del potere di scioglimento del consiglio comunale per “infiltrazioni mafiose”, trovano giustificazione i margini, particolarmente estesi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione statale nel valutare gli elementi su collegamenti, diretti o indiretti, o su forme di condizionamento da parte della criminalità di “stampo mafioso”.
Se è vero che gli elementi raccolti devono essere “concreti, univoci e rilevanti”, come è richiesto dalla “nuova formulazione” dell’art.143, comma 1, TUOEL, è tuttavia solo dall’esame complessivo di tali elementi che si può ricavare, da un lato, il quadro e il grado del condizionamento mafioso e, dall’altro, la ragionevolezza della ricostruzione operata quale presupposto per la misura dello scioglimento degli organi dell’ente, potendo essere sufficiente allo scopo anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione della “macchina” amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti “controindicati”.
Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono caratterizzarsi per “concretezza” ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per “univocità”, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per “rilevanza”, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore della L.94/2009 non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del “fenomeno mafioso” con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di governo garantita dalla Costituzione.
Proprio in ragione della straordinarietà dell’indicata misura e della sua fondamentale funzione di contrasto alla capillare diffusione, tramite connivenza con le amministrazioni locali, della criminalità organizzata sull’intero territorio nazionale, deve ritenersi che la suindicata modifica dell’art.143 cit. non implica una regressione della ratio sottesa alla disposizione, poiché la finalità perseguita dal legislatore è rimasta quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo, nell’evidente necessità di evitare, con immediatezza, che l’amministrazione locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata per l’intera durata del suo mandato elettorale.
In riferimento al grado di ampiezza dei poteri di cui dispone il giudice amministrativo nell’esame delle impugnazioni di tali provvedimenti di scioglimento, può essere esercitato solo un sindacato di legittimità di tipo “estrinseco”, senza possibilità di valutazioni che, al di fuori dell’espressione dell’ipotesi di travisamento dei fatti o manifesta illogicità, si muovano sul piano del “merito” amministrativo.
Nell’ambito della complessità dell’iter, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, che caratterizza l’andamento del procedimento ex art.143 del D.Lgs.267/2000, la relazione ministeriale va identificata come il momento centrale di rappresentazione analitica delle anomalie riscontrate nelle fasi antecedenti alla sua adozione, e, quindi, quale vero nucleo espressivo della determinazione tecnica sottostante allo scioglimento.
Sulla legittimità del provvedimento dissolutorio non può incidere la circostanza che il condizionamento mafioso sia esercitato da dipendenti all’insaputa degli amministratori o da alcuni degli amministratori ad insaputa degli altri: non trattandosi, infatti, di una misura “sanzionatoria”, essa non è finalizzata a punire condotte illecite caratterizzate da coscienza e volontà; ciò che conta, in definitiva, è la constatazione che l’attività dell’ente risulti asservita, anche solo in parte, agli interessi delle consorterie mafiose, giacché tale constatazione denuncia che l’organo politico non è in grado, per complicità, connivenza, timore o mera incompetenza, di prevenire o di contrastare efficacemente il condizionamento mafioso.
Dall’art.143, comma 2, TUOEL si evince che il condizionamento degli amministratori ad opera della criminalità organizzata di stampo mafioso, ovvero un loro collegamento diretto o indiretto alle relative consorterie, può legittimamente essere presunto ove tali collegamenti o condizionamenti siano acclarati – mediante l’accertamento di elementi concreti, univoci e rilevanti - in capo ai dipendenti o ai dirigenti dell’ente locale. Sicché, ad evitare la decisione di sciogliere l’ente – pur sempre possibile ai sensi dell’art.143, comma 5, TUOEL – gli amministratori hanno l’onere di dimostrare di aver agito non solo per riportare ordine nella amministrazione dell’ente, ma più specificamente per individuare e contrastare le forme e le fonti del condizionamento mafioso, e del conseguente pregiudizio per l’ente.
Sotto il particolare profilo, riguardante l’interesse dei ricorrenti ad ottenere una pronuncia che li riconosca non legati o, in qualche modo contigui, alla criminalità organizzata di “stampo mafioso”, il Collegio rileva che, in conseguenza dello scioglimento del Consiglio Comunale per presunti condizionamenti mafiosi, gli amministratori sono sottoposti a giudizio di incandidabilità ex art.143, comma 11, D.Lgs. 267/2000 nella competente sede giudiziaria. In proposito la giurisprudenza amministrativa ha osservato che l’incandidabilità, pronunciata con provvedimento dell’Autorità giurisdizionale, ai sensi dell’art.143, comma 11, TUOEL, non è conseguenza automatica dello scioglimento del Comune. Anche la Corte di Cassazione ha affermato che l’incandidabilità degli amministratori non è automatica, ma richiede una valutazione delle singole posizioni in nome del diritto costituzionale all’elettorato passivo, per verificare che collusioni o condizionamenti abbiano determinato una cattiva gestione della cosa pubblica. Viceversa lo scioglimento del Consiglio comunale “per infiltrazioni mafiose” costituisce una misura straordinaria di prevenzione, che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell'autogoverno locale; ne consegue che assumono rilievo situazioni non traducibili in (anche episodici) addebiti personali ma tali da rendere - nel loro insieme - plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione. Dunque lo scioglimento del Consiglio comunale prescinde dall’accertamento di responsabilità di singoli soggetti ed è rimedio attraverso il quale il legislatore ha inteso ovviare ad una condizione patologica dell’ente nel suo complesso. Il provvedimento di scioglimento non è quindi la conseguenza di responsabilità del singolo amministratore e l’unico provvedimento al quale si potrebbe quindi semmai riconoscere natura sanzionatoria, è, invece, quello, diverso, ex art.143, comma 11 TUOEL, con il quale viene decretata l’incandidabilità ed il quale è adottabile nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dello scioglimento. In definitiva, si tratta di giudizi autonomi che hanno ad oggetto accertamenti distinti: quello di incandidabilità una valutazione delle singole posizioni e dei singoli comportamenti, ove può essere adeguatamente tutelato l’interesse di ciascun amministratore a sentirsi dichiarare estraneo a qualunque coinvolgimento con la criminalità organizzata, laddove il presente giudizio verte sulla legittimità del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale, il quale prescinde dall’accertamento di responsabilità di singoli soggetti.